Prima, il riassunto dell’anno passato. Linee guida della diplomazia pontificia sono “pace e sviluppo umano integrale”, che si sostanziano negli interventi nel multilaterale, ma anche negli accordi bilaterale con gli Stati (quest’anno, sono stati firmati accordi tra la Santa Sede e Repubblica del Congo, Repubblica Centroafricana, Burkina Faso e Angola nonché quello sul riconoscimento dei titoli di studio con la Repubblica Italiana).
Papa Francesco sviluppa i temi che gli stanno a cuore a partire dai viaggi, cominciando con il viaggio a Panama del gennaio 2019 per la Giornata Mondiale della Gioventù. I giovani – dice Papa Francesco - “sono il futuro e la speranza della nostra società”. Il Papa condanna gli abusi sui minori di cui si rendono responsabili “non pochi adulti, compresi diversi membri del clero”, afferma che “sono crimini che offendono Dio”, ricorda che il summit anti-abusi dello scorso febbraio, che ha certificato che “la Santa Sede rinnova il suo impegno affinché si faccia luce sugli abusi compiuti e si assicuri la protezione dei minori, attraverso un ampio spettro di norme che consentano di affrontare detti casi nell’ambito del diritto canonico e attraverso la collaborazione con le autorità civili, a livello locale e internazionale”.
Per Papa Francesco, si tratta di un problema educativo, per quello ha lanciato il Patto Educativo Globale, anche questo strumento diplomatico, tanto che è stato recentemente oggetto di un incontro tra l’arcivescovo Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, e gli ambasciatori. “Mai come ora – afferma Papa Francesco - c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna”, costruendo un “villaggio dell’educazione” che metta “al centro la persona, favorire la creatività e la responsabilità per una progettualità di lunga durata e formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità”.
Papa Francesco ricorda che “l’educazione non si esaurisce nelle aule delle scuole o delle Università, ma è assicurata principalmente rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a educare, e il diritto delle Chiese e delle aggregazioni sociali a sostenere le famiglie e collaborare con esse nell’educazione dei figli”. È un forte sostegno alla libertà di educazione da parte di famiglia e Chiesa, messa sotto attacco in diversi Paesi del mondo.
Papa Francesco sottolinea anche la necessità di una “solidarietà intergenerazionale”, sempre più necessaria di fronte ad un società che invecchia e che tende a “proteggere i diritti e i privilegi acquisiti”. Si deve dare ai giovani esempio, ma anche ricordare che gli stessi giovani “hanno molto da offrire con il loro entusiasmo, con il loro impegno e con la loro sete di verità, attraverso la quale ci richiamano costantemente al fatto che la speranza non è un’utopia e la pace è un bene sempre possibile”, e questo si vede nel movimento dei giovani per il cambiamento climatico (non è la prima volta che Papa Francesco lo esalta”.
Sono i giovani a chiamarci ad una “conversione ecologica”, urgente quanto non compresa dalla “politica internazionale, che risponde debolmente, come – denuncia Papa Francesco – è successo al Cop25 di Madrid dello scorso ottobre definita “un grave campanello di allarme circa la volontà della Comunità internazionale di affrontare con saggezza ed efficacia il fenomeno del riscaldamento globale, che richiede una risposta collettiva, capace di far prevalere il bene comune sugli interessi particolari”.
Ed è qui che si inserisce il tema del Sinodo Panamazzonico, evento “essenzialmente ecclesiale”, che pure ha toccato anche la tematica della ecologia integrale, fondamentale nel “polmone biologico” dell’Amazzonia.
Papa Francesco guarda poi alla crisi politiche “in un crescente numero di Paesi nel continente americano”, menziona specificamente il Venezuela, sottolinea che in generale tutti i conflitti dell’area “sono accomunati dalle profonde disuguaglianze, dalle ingiustizie e dalla corruzione endemica, nonché dalle varie forme di povertà che offendono la dignità delle persone”, chiede che “i leader politici si sforzino di ristabilire con urgenza una cultura del dialogo per il bene comune e per rafforzare le istituzioni democratiche e promuovere il rispetto dello stato di diritto, al fine di prevenire derive antidemocratiche, populiste ed estremiste”.
Papa Francesco continua poi la disamina dei suoi viaggi con gli Emirati Arabi, dove ha firmato con il Grande Imam di Al Azhar il Documento sulla Fratellanza Umana per pace mondiale e la convivenza comune, definito “un testo importante” che serve a favorire la mutua convenzione e “richiama l’importanza del concetto di cittadinanza” – tema cruciale nei Paesi islamici, e oggetto di un movimento di intellettuali cominciato con la conferenza di Marrakech – che “esige il rispetto della libertà religiosa e che ci si adoperi per rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze”.
Quindi, il viaggio in Marocco, con l’appello congiunto su Gerusalemme lanciato con il Re Mohammad VI, che fa estendere il pensiero a tutta la Terra Santa. Papa Francesco chiede che la comunità internazionale “con coraggio e sincerità e nel rispetto del diritto internazionale, riconfermi il suo impegno a sostegno del processo di pace israelo-palestinese”, e più in generale nel Medio Oriente, puntando il dito contro "la coltre di silenzio che rischia di coprire la guerra che ha devastato la Siria nel corso di questo decennio", e sottolineando che è "particolarmente urgente trovare soluzioni adeguate e lungimiranti che permettano al caro popolo siriano, stremato dalla guerra, di ritrovare la pace e avviare la ricostruzione del Paese".
Papa Francesco esprime gratitudine a Giordania e Libano per l’accoglienza dei profughi, e nota che anche questi Paesi vivono tensioni; si dice preoccupato per i segnali che “giungono dall’intera regione, in seguito all’innalzarsi della tensione fra l’Iran e gli Stati Uniti e che rischiano anzitutto di mettere a dura prova il lento processo di ricostruzione dell’Iraq, nonché di creare le basi di un conflitto di più vasta scala che tutti vorremmo poter scongiurare”; pone l’attenzione su un conflitto dimenticato come quello nello Yemen; guarda alla Libia che “da molti anni attraversa una situazione conflittuale, aggravata dalle incursioni di gruppi estremisti e da un ulteriore acuirsi di violenza nel corso degli ultimi giorni”, in un contesto “fertile terreno per la piaga dello sfruttamento e del traffico di essere umani, alimentato da persone senza scrupoli che sfruttano la povertà e la sofferenza di quanti fuggono da situazioni di conflitto o di povertà estrema”.
Papa Francesco denuncia che “nel mondo vi sono diverse migliaia di persone, con legittime richieste di asilo e bisogni umanitari e di protezione verificabili, che non vengono adeguatamente identificati”, e che dunque è “sempre più urgente, dunque, che tutti gli Stati si facciano carico della responsabilità di trovare soluzioni durature”, fornendo anche agli sfollati a causa di emergenze umanitarie “un posto sicuro in cui vivere, un’educazione, nonché la possibilità di lavorare e di ricongiungersi con le proprie famiglie”.
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Papa Francesco guarda poi ai viaggi nei Balcani, in Bulgaria, Macedonia del Nord e Romania, Paesi ponti tra Oriente e Occidente che hanno confermato al Papa “quanto siano importanti il dialogo e la cultura dell’incontro per costruire società pacifiche, nelle quali ognuno possa liberamente esprimere la propria appartenenza etnica e religiosa”.
Papa Francesco guarda poi ai conflitti congelati, quelli nei Balcani occidentali e il Caucaso meridionale, menzionando esplicitamente la Georgia. Tra l’altro, sia il Cardinale Parolin quest’anno, che l’arcivescovo Gallagher lo scorso anno sono arrivati in visita fino alla zona del conflitto.
La Santa Sede poi incoraggia “i negoziati per la riunificazione di Cipro, che incrementerebbero la cooperazione regionale, favorendo la stabilità di tutta l’area mediterranea”, e apprezza “i tentativi volti a risolvere il conflitto nella parte orientale dell’Ucraina e porre fine alla sofferenza della popolazione”.
L’Ucraina, e l’impegno dell’OSCE in Ucraina, sono occasione per ricordare il 45esimo anniversario dell’Atto Finale di Helsinki, che portò proprio alla Costituzione dell’Organizzazione, cui la Santa Sede partecipò includendo il principio di libertà religiosa, che secondo tutti portò alla lenta dissoluzione del blocco sovietico.
Ma quest’anno è anche il 50esimo anniversario del Consiglio d’Europa, che gettò le basi dell’integrazione europea – il “ministro degli Esteri” vaticano Gallagher ha partecipato alle celebrazioni questa settimana – ed è anche il 50esimo della presenza della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, segno dell’interesse subitaneo della Santa Sede al processo europeo con l’intenzione di sottolineare “un’idea di costruzione inclusiva, animata da uno spirito partecipativo e solidale, capace di fare dell’Europa un esempio di accoglienza ed equità sociale nel segno di quei valori comuni che ne sono alla base”.
Papa Francesco sottolinea che “il progetto europeo continua ad essere una fondamentale garanzia di sviluppo per chi ne fa parte da tempo e un’opportunità di pace, dopo turbolenti conflitti e lacerazioni, per quei Paesi che ambiscono a parteciparvi”, e chiede che “l’Europa non perda dunque il senso di solidarietà che per secoli l’ha contraddistinta, anche nei momenti più difficili della sua storia”, né quello “spirito che affonda le sue radici, tra l’altro, nella pietas romana e nella caritas cristiana, che ben descrivono l’animo dei popoli europei”.