Racconta il vescovo Claudiu Pop, della Curia Arcivescovile Maggiore di Alba Iulia e Fagaras: “A partire da quel momento per noi è stata una storia di amore umano e divino, perché è stato un insieme di cultura, di identità nazionale, di identità personale, di spiritualità che hanno cominciato a collegarsi e hanno creato una specie di ponte mistico spirituale tra la Romania e Roma. Non per niente Blaj si chiama la piccola Roma. Non per niente, il Papa verrà a casa qui”.
La cattedrale fu eretta nel 1700, e lì c’è una icona miracolosa di Maria Odigitria, che secondo la tradizione lacrimò durante i funerali del santo vescovo Pietro Paolo Aron il 17 marzo 1764.
Così come a Sumuleu Ciuc la statua della Vergine è stata un pilastro cattolico contro le ondate protestanti, così l’icona mariana di Blaj è stata l’ancora dei greco cattolici di Blaj negli ultimi due secoli segnati da momenti critici e da persecuzioni. Davvero la Romania è “il giardino della Madre di Dio”, come fu detto quando fu annunciato il viaggio di Papa Francesco.
La persecuzione più atroce fu vissuta sotto il tempo comunista. Ed è una persecuzione che Papa Francesco ricorderà, celebrando la beatificazione di sette vescovi greco-cattolici, quasi tutti arrestati nello stesso giorno, il 25 ottobre 1948, morti nelle prigioni comuniste e sepolti in fosse comuni per impedirne la memoria.
Furono una presenza costante anche nel viaggio a Bucarest di San Giovanni Paolo II, venti anni fa.
“Vengo ora – disse il Papa polacco nell’omelia dell’8 maggio 1999 nella cattedrale di San Giuseppe a Bucarest - dal cimitero cattolico di questa città: sulle tombe dei pochi martiri noti e dei molti, le cui spoglie mortali non hanno neppure l’onore di una cristiana sepoltura, ho pregato per tutti voi, ed ho invocato i vostri martiri e i confessori della fede, perché intercedano per voi presso il Padre che sta nei cieli. Ho invocato in particolare i Vescovi, perché continuino ad essere vostri Pastori dal cielo: Vasile Aftenie e Ioan Balan, Valeriu Traian Frentiu, Ioan Suciu, Tit Liviu Chinezu, Alexandru Rusu. Ho invocato anche il Cardinale Iuliu Hossu, che preferì restare con i suoi fino alla morte, rinunciando a trasferirsi a Roma per ricevere dal Papa la berretta cardinalizia, perché questo avrebbe significato lasciare la sua amata terra”.
Eppure, sottolinea il vescovo Pop, “leggendo le memorie dei vescovi non c’è traccia di negatività, né di odio. È tutto un segno di offerta, di gioia, di presenza del Signore pur nelle sofferenze”.
Perché la persecuzione contro la Chiesa Greco Cattolica fu così forte?
Per comprendere la storia, si devono andare a vedere gli antefatti. Dopo l’ampliamento del suo territorio (e l’arcivescovo Hossu fu tra i firmatari della dichiarazione che portò all’annessione della Transilvania), la Romania si trovò a fare i conti con una nuova minoranza etnica e religiosa, quella ungherese e cattolica. Era una situazione nuova, per un Paese allora quasi interamente ortodosso.
Nel 1927, poi, Santa Sede e Romania stipularono un concordato, che diventò effettivo nel 1929, e che rafforzò la componente cattolica. Anche questa, era una situazione nuova, tutta da gestire.
Poi, arrivò la Seconda Guerra Mondiale, la Romania si trovò nel blocco sovietico e così la nazione, ancora in via di costruzione, fu colpita dallo stalinismo, che mirava ad annientare sia i valori spirituali che si opponevano alla costruzione della società comunista che i poteri esterni che si opponevano al sistema sovietico. Il cattolicesimo era, da questo punto di vista, un nemico naturale, così incarnato nella storia, così fedele al Papa.
Il regime comunista romeno avviò una campagna di terrore, puntando ad annientare sia la componente latina che la componente di rito orientale della Chiesa cattolica in Romania. Quest’ultima, che nel 1948 contava sei diocesi ed oltre un milione e mezzo di fedeli, fu sciolta, privata dei beni e delle Chiese e riportata a forza nell’ortodossa con un atto di imperio politico che è paragonabile a quello che successe in Ucraina con lo pseudo-sinodo di Livi nel 1948. Fu in questa situazione che i vescovi greco cattolici subirono il loro martirio.
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Il vescovo Pop ricorda che “la persecuzione comunista è stato un periodo estremamente duro per i sacerdoti, per i laici, per i monaci, per le monache, per i vescovi. È stata praticamente una persecuzione che ha cercato di sopprimere la Chiesa Greco Cattolica. Una sola cosa i persecutori non hanno tenuto in conto: il fatto che si tratta di una Chiesa fondata sulla stessa pietra di cui parla la promessa di Cristo, che è che le porte degli inferi non prevarranno. Noi lo abbiamo sperimentato: un regime come quello comunista romeno, che ha spazzato via istituzioni molto più vistose, molto più importanti, non è riuscito a distruggere la piccola Chiesa Greco Cattolica”.
Una testimone di questa persecuzione è suor Cecilia Fluieras, che visse la sua vocazione nel periodo comunista. “Faccio parte - racconta della Congregazione delle Suore della Madre di Dio. È una Congregazione nata nella Chiesa Greco Cattolica, fondata da un metropolita della Chiesa, Vasile Suciu, nel 1921”.
Suor Cecilia ricorda che negli Anni Quaranta la congregazione era stata soppressa, e una delle sue zie, che era stata suora in questa congregazione, era tornata in famiglia. Fino agli anni Ottanta, prosegue, “le suore non ricevevano giovani novizie, anche perché la superiora e altre suore sono state imprigionate durante il comunismo. Però, piano piano, questa paura è diminuita. Io, con un gruppo di amiche, ho potuto così entrare a far parte della Congregazione, ma in segreto, rimanendo in famiglia, senza farlo sapere nemmeno ai nostri genitori”.
Sono storie comuni, nella Piccola Roma, cittadina piccola dal punto di vista spaziale, ma importantissima e grande dal punto di vista spirituale e culturale.
Lì si trova anche la Bibbia di Blaj.
Si tratta, spiega monsignor Barta, “della prima Bibbia tradotta dalla Chiesa greco cattolica, da Samuel Myko. In verità è la seconda traduzione in rumeno della Bibbia dopo quella di Bucarest, però questa traduzione è veramente un gioiello di cultura e di lingua”.