E così, il presidente francese Emmanuel Macron, che alla riapertura ha invitato oltre 50 capi di Stato e di governo (è arrivato persino il presidente ucraino Zelensky), in nome della legge della separazione tra Stato e Chiesa si sarebbe dovuto limitare a parlare sul parvis della cattedrale, riconsegnando, come ente assegnatario, la cattedrale alla Chiesa di Parigi. Le condizioni atmosferiche hanno invece permesso al presidente di parlare all’interno della cattedrale.
Non si è trattato di un atto formale. C’era, idealmente, il mondo davanti a Notre Dame, mentre Emmanuel, la campana di 13 tonnellate di 2,62 metri di diametro cui fu dato il nome nientemeno da Luigi XIV, rintoccava gravemente in fa diesis richiamando i fedeli al grande momento della riapertura.
E lì, impugnando un pastorale realizzato da Sylvain Dubuisson con una delle travi scampate all’incendio del 2019, ha fatto la sua comparsa l’arcivescovo Laurent Ulrich. Tutto era studiato perché fosse la cattedrale stessa a simbolicamente aprire le porte sulla richiesta dell’uomo. Tre volte tre colpi, con riferimento alle virtù di fede, speranza e carità, prima che la cattedrale aprisse le porte, accettando l’appello dell’uomo alla fede.
L’arcivescovo, però, non entra subito nella cattedrale. In segno di ringraziamento, traccia un segno della croce sulla soglia della chiesa. Poi entra, e si ferma nei pressi del Battistero ad accogliere i fedeli.
Quindi, l’arcivescovo raggiunge l’altare attraversando la navata, contornato da 113 vessilli che rappresentano le 106 diocesi di Parigi e le sette parrocchie cattoliche di rito orientale.
Dall’altare, Ulrich riprende il dialogo con la cattedrale. Chiede di far sentire la sua voce. Si rivolge al maestoso organo del XIX secolo, ottomila canne di foresta sonora costruito da Aristide Cavaillé-Coll, risparmiate dalle fiamme e restaurate con cura, una ad una, ripulite da ogni traccia di fumo e fuliggine in un lavoro che è durato sei mesi. E poi, di notte, nelle pause dei lavori, quando le oltre 2000 persone che hanno lavorato alla rinascita della cattedrale, i musicisti hanno accordato l’organo, che quindi ha potuto rispondere all’arcivescovo che lo invocava.
Anche qui, il gioco del tre. Tre intonazioni crescenti, da una voce timida e sommessa a quella potente che libera tutti i colori dell’organo.
C’è commozione, come c’era quel 19 aprile di cinque anni fa, quando il popolo di Parigi si ritrovò in ginocchio davanti alla sua cattedrale in fiamme, spesso pregando senza nemmeno avere la consapevolezza di saper pregare. Sono stati raccolti, per la ricostruzione, quasi un miliardo di euro, più del necessario, e dunque il “sacrificio” di Notre Dame è servito anche ad avere fondi per salvare e ricostruire altre chiese di Francia. Non solo. Notre Dame ha ricordato agli uomini di quel tempo in cui le cattedrali erano volute dal popolo, che si finanziava, e curate dagli artigiani di mestieri che non ci sono più ma che sono stati ripristinati per l’occasione.
Nella cerimonia di apertura, anche l’omaggio ai 160 vigili del fuoco che hanno salvato la cattedrale della fiamme, con un Merci proiettato sulla facciata della cattedrale mentre dentro i pompieri sfilano nella navata centrale.
L’8 dicembre, è il giorno della consacrazione dell’altare. L’arcivescovo Ulrich pronuncia una breve omelia, che prende le mosse dal Vangelo, dall’annuncio a Maria, una storia – dice – che potrebbe sembrare “ingenua e ottimistica”, ma che invece è reale. “il Signore non abbandona mai i suoi”, nemmeno di fronte ad un compito non facile, ma che “trova grandi occasioni per verificarsi, per mostrarsi, come ha dimostrato la realizzazione esemplare di questo progetto di ricostruzione di Notre-Dame de Paris”.
Per l’arcivescovo di Parigi, la riconsacrazione dell’altare è la cancellazione della “sentenza del 19 aprile 2019”, il cui dolore era già stato superato dalla preghiera di “centinaia di milioni di cuori in tutto il mondo”.
Ulrich si sofferma sull’altare che sta per consacrare, fatto in un bronzo che “entra in dialogo franco con l’edificio in pietra”, e forma con l’ambone “in uno scambio senza confusione, la mensa della Parola e quella dell'Eucaristia”, con linee semplici da cui “emana una forza di vita, una forza pacificatrice, che risponde alla richiesta della Chiesa che le componenti della liturgia siano tutte improntate ad una nobile semplicità”.
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Un altare che “non è certo un oggetto magico, ma è uno strumento attraverso il quale impariamo a vedere Cristo in mezzo a noi, come la solida roccia su cui poggia la nostra fede, come il Calvario su cui scopriamo anche dove vanno la donazione e l'amore totale. , e come la tavola attorno alla quale Cristo forma i suoi discepoli”.
L’arcivescovo Ulrich ricorda poi che ci sono cinque santi le cui reliquie saranno poste nell’altare,
provenienti da diverse province della Francia e anche dalla Romania e aventi un forte legame con Parigi. Sono Santa Caterina Labouré, la santa della medaglia miracolosa; Santa Madeleine -Sophie Barat, fondatrice della società del Sacro Cuore nei tempi post-rivluzionari; Santa Maria Eugenia Milleret, fondatrice delle Religiose dell’Assunzione; San Charles di Foucauld, il santo del deserto, lo studioso della cultura Tuareg; e il Beato Vladimir Ghika, il sacerdote che portò la corona di spine in Romania e che lì fu martirizzato dal regime socialista.
Quindi, l’arcivescovo invita tutti, come Madeleine Delbrêl – umile credente che frequentava questa chiesa, serva dei poveri dei nostri quartieri e di quelli della regione parigina –, a lasciarsi “abbagliare da Dio”!
A sentire queste parole, c’erano 170 vescovi provenienti dalla Francia e dal mondo, un sacerdote di ciascuna delle 106 parrocchie della diocesi di Parigi e un sacerdote di ciascuna delle sette chiese cattoliche orientali presenti a Parigi. E poi, il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei Maroniti, e il Cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, che hanno saltato il concistoro per essere a Parigi.
Se il 7 dicembre è stato denso di simboli, anche la Messa dell’8 dicembre ha vissuto dei simboli, che sono poi quelli della liturgia.