Questo punto di vista viene portato avanti anche dal Pontificio Consiglio dei Migranti, che ha il compito di coordinare e osservare con attenzione gli sforzi fatti dagli enti ecclesiali sul territorio, collaborando a volte anche con la Segreteria di Stato.
Per questo motivo, il Cardinal Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio dei Migranti, spiega a Catholic News Agency che “la domanda su cosa fa la Chiesa può portare in inganno, perché tanti vogliono identificare la Chiesa cattolica con lo Stato vaticano.”
E invece – aggiunge – “la risposta ecclesiale è come una sinfonia dove ognuno ha la sua voce, la sua responsabilità, la sua importanza, il suo spazio.”
Il lavoro, insomma, viene fatto sul territorio, secondo un protocollo delineato dall’istruzione “Erga Migrantes Caritas Christi,” del 2004.
In quell’istruzione, tra le varie cose, veniva stabilito che “affinché la pastorale dei migranti sia di comunione (che nasce cioè dall'ecclesiologia di comunione e tende alla spiritualità di comunione) è indispensabile che tra le Chiese di partenza e quelle di arrivo delle correnti migratorie si instauri una intensa collaborazione, che nasca in primo luogo dall'informazione reciproca su quanto è di comune interesse pastorale.”
Questo dialogo costante viene fatto soprattutto tra le Chiese europee e quelle africane del Medio Oriente.
Perché il Medioriente sta sperimentando l’Esodo dei cristiani, specialmente dei siriani che, spinti dalle minacce e dalle violenze dell’ISIS, stanno spostandosi sempre più a Nord.
Secondo dati dal 9 luglio scorso, i rifugiati siriani si contano in 4 milioni. In quei giorni, il nunzio apostolico in Siria, l’arcivescovo Mario Zenari, era in Vaticano, per incontri al Pontificio Consiglio della Famiglia, a Caritas Internationalis, a Cor Unum. L’obiettivo era sollecitare una risposta comune per il dramma dei rifugiati.
Le Caritas locali hanno fatto tantissimo. Molto del peso della crisi siriana è andato sulle spalle di Caritas Turchia, e ad Istanbul c’erano quasi un milione di profughi siriani già nei giorni in cui Papa Francesco era in visita nella nazione, dal 28 al 30 novembre.
Ma ora c’è bisogno di uno sforzo più coordinato. Arrivati al confine tra Grecia e Macedonia, negli scorsi giorni alcuni profughi hanno forzato le frontiere, e si sono riversati sulla strada dei Balcani, la più veloce che porta loro salvezza in Europa.
Eppure, la crisi non è solo lì. Continuano i “viaggi della speranza” sui barconi dall’Africa, e significativamente Papa Francesco ha fatto il suo primo viaggio apostolico sull’isola di Lampedusa, l’8 luglio 2013, nel punto di approdo di molti dei migranti del Mediterraneo.
Ma il problema non è solo nella difficoltà del viaggio, quanto nella situazione stessa dell’Africa, dove ci sono oltre 20 milioni di sfollati, che girano di nazione in nazione in cerca di asilo. Per esempio, il Gabon, con una operazione che ha coinvolto le forze di sicurezza, ha 'rimpatriato' (il termine espulsione in Africa non viene utilizzato) 400 clandestini verso i Paesi d'origine, non tutti poveri o insanguinati da conflitti: Mali, Burkina Faso, Senegal, Togo, Nigeria, Benin, Ghana, Gambia. Quello delle migrazioni in Africa è fenomeno antico che però è assurto a problema quando ha determinato contraccolpi negativi sociali per gli Stati ospitanti.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.
Nell'ambito di questo servizio gratuito, potrete ricevere occasionalmente delle nostre offerte da parte di EWTN News ed EWTN. Non commercializzeremo ne affitteremo le vostre informazioni a terzi e potrete disiscrivervi in qualsiasi momento.
Quale è la posizione della Dottrina Sociale della Chiesa? Il Cardinal Vegliò spiega che “sono tre i diritti che emanano dalla dottrina sociale della Chiesa: diritto a migrare, diritto dei paesi a regolare i flussi migratori, e diritto a non emigrare.”
Il Cardinal Vegliò sottolinea che “in riferimento a quelli che emigrano, abbiamo l’obbligo di salvaguardare la loro dignità, attraverso l’accoglienza, l’accompagnamento materiale e spirituale, la sensibilizzazione, la denuncia, ecc.”
Concede, il Cardinale, che “i paesi hanno il diritto di regolare i flussi migratori, attuando politiche che scaturiscono dalle esigenze generali del bene comune. Ma questo si deve fare sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana, migranti inclusi. E in questo ambito la Chiesa vuole farsi voce di chi non ha voce davanti alla comunità internazionale. Risvegliando le coscienze di fronte a questa realtà, le comunità ecclesiali denunciano l’indifferenza e la mancanza di giustizia, e propongono strade di solidarietà.”
Conclude, il presidente del Pontificio Consiglio dei Migranti, che “sono tanti i cristiani e le organizzazioni ecclesiali che a livello locale fanno tanti sforzi nei paesi d’origine, sia nell’ambito della sensibilizzazione, sia nel mettere in atto proposte concrete di formazione e sviluppo.”
Una risposta in linea con l’approccio della Chiesa. Già Benedetto XVI, nell’enciclica Caritas in Veritate, aveva sottolineato che c’era bisogno di una politica da sviluppare “a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati”. E Papa Francesco aveva aggiunto, nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante 2014, che “lavorare insieme per un mondo migliore richiede il reciproco aiuto tra Paesi, con disponibilità e fiducia, senza sollevare barriere insormontabili. Una buona sinergia può essere di incoraggiamento ai governanti per affrontare gli squilibri socio-economici e una globalizzazione senza regole, che sono tra le cause di migrazioni in cui le persone sono più vittime che protagonisti.”