Quando cento anni fa Benedetto XV decise di scrivere la Maximum Illud, l’evangelizzazione stava cambiando. Il Papa raccolse quello che era già presente nella vita della Chiesa e diede a tutto questo una forma ben fatta, ben espressa, ben indicativa. Benedetto XV sottolineò che l’evangelizzazione deve essere preminente rispetto ad altri calcoli ed interessi che al tempo andavano di moda. Non dimentichiamo che in tutta l’Africa del Nord e il Medio Oriente, con la fine dell’Impero Ottomano, ci si era trovati una serie di nazioni diverse, mentre l’Africa era sotto la pressione di grandi Paesi, al tempo chiamati colonialisti, che ne occupavano le terre. Anche l’America Latina aveva una situazione simile. Benedetto XV chiese di non usare gli interessi commerciali, sociali, idealistici come strumento di penetrazione del Vangelo.
Quale era la priorità?
Prima veniva l’evangelizzazione, la missionarietà, che doveva essere presente indipendentemente dagli interessi colonialistici. La Chiesa si riqualificava prendendo su di sé il mandato di Gesù, senza delegarlo ad altri. Fu una lettera importante. C’erano stati tanti istituti missionario sorti nella metà del 1800 – inizio 1900, a testimonianza che l’interesse missionario era fortissimo. Tutte le Chiese desideravano avere queste relazione con il mondo missionario, e così Benedetto XV mise insieme questa spinta e sottolineò che la priorità era proprio l’evangelizzazione, fatta dalla Chiesa e slegata da altri interessi.
Una delle caratteristiche della Maximum Illud era l’enfasi posta sulla formazione di sacerdoti locali. E questo portò poco dopo all’ordinazione dei primi vescovi cinesi da parte di Pio X…
Benedetto XV diede l’impegno di essere strumenti dell’annuncio del Vangelo che deve servire a creare nuove Chiese. C’erano, ovviamente, livelli diversi di evangelizzazione. La nomina dei primi vescovi locali faceva uscire le missioni da un contesto molto legato ai Paesi coloniali presenti in quelle aree e portava ad una maggiore autonomia e indipendenza della Chiesa nella realtà locale. Questo poteva avvenire in Cina, ma in altre realtà, come l’Africa, si dovevano creare le strutture, perché l’evangelizzazione appena cominciava. Abbiamo festeggiato recentemente il primo secolo di evangelizzazione di alcuni posti. C’erano, dunque, situazioni in cui si poteva sviluppare la Chiesa ed altre in cui questo non era possibile, e bisognava avviare il processo. Benedetto XV guardò ad entrambe le realtà, e rappresentò uno spartiacque rispetto al passato.
Come si sviluppò il lavoro?
Guardando oggi in retrospettiva, possiamo notare come in cinquanta anni il lavoro missionario fu enorme. E, appena cinquanta anni dopo, arrivò il Concilio Vaticano II, un altro spartiacque. Il Concilio costruisce dai 50 anni precedenti e dà una prospettiva verso il futuro. Il mese missionario nasce proprio i n questo contesto, perché si tratta di rilanciare la missionarietà in contesti e luoghi diversi.
“Battezzati e inviati” è il tema di questo mese missionario, e ricalca un po’ quello che il Cardinale Bergoglio fece a Buenos Aires, con l’iniziativa “El Bautismo como obra misionera”. Ma l’idea del Battesimo non sa un po’ di proselitismo, in un periodo in cui lo stesso Papa Francesco invita a non fare proselitismo?
Il Battesimo è un cammino che si conclude. Quello di cui parliamo non è il battesimo di chi arriva e battezza, ma quello di chi è presente in un determinato luogo, crea le condizioni delle relazioni con le popolazioni. Queste relazioni sono relazioni di conoscenza, di sviluppo intellettuale e culturale con l’alfabetizzazione, di assistenza per le necessità materiali, come per esempio il lavoro nel campo educativo e sanitario. Un lavoro che crea il presupposto perché le persone facciano la domanda: “Perché fai tutto questo?” E la risposta è: “Mi spinge il Vangelo”. Quindi, la domanda: “Cosa è il Vangelo?” Da qui viene la catechesi che forma le persone. La gente che aderisce arriverà dunque al Battesimo come fase conclusiva del primo approccio. Non c’è niente se non la proposta: è questa la metodologia del Vangelo.
In cosa si caratterizza questa metodologia?
Ogni forma di accaparramento delle anime delle persone non è evangelica, né accettabile. Anche i missionari devono tenere conto delle realtà del posto. A questo proposito, Benedetto XV diceva di formare le persone in modo che fossero i primi missionari di loro stessi. Anche la missionarietà cambia: gli inviati e battezzati non sono solo i missionari, ma ogni battezzato. Perché se io amo il Battesimo, se ritengo che la mia fede è una ricchezza, io divento missionario. La fede non può essere una cosa egoisticamente da tenersi per sé. La si comunica. È il battesimo che ci abilita ad essere missionari, a testimoniare la nostra fede.
C’è più bisogno oggi di testimoni o missionari?
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La testimonianza non è un pacchetto, non si può guardare alla testimonianza da un punto di vista sociologico. La testimonianza non è buona volontà. È un dono di Dio, viene dell’alto. Il testimone non sa di essere testimone, ma accettando e vivendo il Vangelo si adegua a questa realtà, che è soprannaturale. Altrimenti si tratta di una questione sociologica, che si basa su ciò che si è fatto o proposto. Il testimone non sa mai di essere testimone.
Quale è la differenza tra missionario e testimone?
Prendiamo l’esempio di Matteo Ricci in Cina. Noi lo ricordiamo come una grande figura occidentale, ma camminiamo senza una gamba, la gamba cinese, Hsu Kuang Chu. Questi era un mandarino, vice primo ministro nella corte imperiale. Kuang Chu aveva veramente accolto la fede in un modo straordinariamente bello. Quando l’imperatore gli chiese perché era diventato cristiano, lui rispose: “Sono diventato cristiano perché noi abbiamo tanta cultura, ma quello che dice il Vangelo è un dono soprannaturale, che noi non possiamo avere”. Il perdono del nemico non è umano. Perdonare non è umano. Perdonare può essere solo un dono di Dio. Hsu Kuang Chi accolse la fede e diede tutti i suoi averi ai poveri, tanto che quando morì non si poteva fare il funerale. Ma l’imperatore pagò il suo funerale. Fu così che Hsu Kuang Chi divenne testimone di riflessione e testimonianza, ma senza averne l’intenzione.
L’obiettivo del mese missionario straordinario è di avere più missionari o più testimoni?
Più missionari, perché non possiamo pensare che la missionarietà sia delegabile. Allo stesso modo, non si può essere missionari se al tempo stesso non si è testimoni. Il fascino della vocazione nasce dal fatto che si testimonia qualcosa che normalmente l’uomo non vede e non capisce. La missionarietà comincia con la testimonianza, con quello che viene fatto in nome di Dio.
Quali saranno gli appuntamenti del mese missionario?