Il rito di benedizione era molto strutturato: la rosa d’oro veniva posta su un piccolo altare, con due candelabri accesi, e il Papa si avvicinava all’altare dove era collocata la rosa, deponeva la mitra, cominciava il saluto liturgico e l’orazione di benedizione. Quindi il Papa la ungeva con il balsamo e introduceva una piccola parte di unguento, mista a muschio più grande, nel piccolo serbatoio ricavato nel bocciolo più grande. Il Papa aspergeva poi la rosa con acqua benedetta, la incensava. Il chierico di camera la consegnava al cardinale diacono che a sua volta la dava al Papa. Il Papa, con la mano destra benedicente e la rosa nella mano sinistra, andava ad assistere alla cappella. Quindi, il Papa riconsegnava la rosa al cardinale diacono, e questi la consegnava al chierico di camera, il quale la poneva sull’altare.
Infine, racconta ancora monsignor Sanchirico, “al termine della messa, ripetuta l'orazione al faldistorio davanti all'altare, il Papa riprendeva la rosa con le stesse modalità e ritornava nella sala dei Paramenti, o nei suoi appartamenti, dove veniva ammesso il principe o il personaggio a cui la rosa era destinata. Questi genuflesso ai piedi del Pontefice riceveva il dono. Qualora il destinatario non fosse presente, la rosa veniva fatta pervenire per mezzo di un'apposita legazione, della quale facevano parte anche i latori della rosa d'oro, membri del patriziato romano, la cui carica era prevista sino alla riforma della cappella e della famiglia pontificia compiuta da Paolo VI. La consegna della rosa era accompagnata da una lettera apostolica che ne illustrava il significato e da un'apposita istruzione dei maestri di cerimonia apostolici sui riti da osservare”.
Solo il Papa poteva benedire la rosa. Quando nella domenica in laetare il Papa era fuori Roma, come accadde nel corso della visita di Pio VI a Vienna nel 1782, la rosa non veniva benedetta, ma si esponeva nella cappella papale quella benedetta l’anno precedente. Se invece il Papa era impedito, per malattia o età avanzata, la rosa veniva benedetta nella cappella privata. Quando la domenica in laetare coincideva con la solennità dell’Annunciazione, la rosa si benediceva nella sagrestia della Basilica di Santa Maria sopra Minerva, dove si teneva la cappella papale.
Monsignor Sanchirico spiega che “originariamente la rosa d'oro indicava principalmente gioia e allegrezza per la Pasqua imminente, e aveva un profondo significato cristologico, in quanto - come recitava la preghiera di benedizione - essa rappresentava il giglio delle valli, il fiore di campo: cioè Cristo”. Insomma, “all'unico Signore si chiedeva che la Chiesa, per mezzo delle buone opere, potesse associarsi alla fragranza di quel fiore e spandere il buon profumo di Cristo nel mondo. Così, a chi la riceveva in dono, veniva riconosciuto il compito di portare il buon odore di Cristo, con la vita e le opere al servizio della Chiesa. Anche il dono a una chiesa o a un santuario mariano riconduceva allo stesso significato: portare Cristo al mondo”.
Ma come nasce la rosa d’oro? Si sa che Leone IX aveva chiesto ai monasteri da lui fondati in Alsazia di far giungere ogni anno a Roma una rosa d’oro già fusa, o il quantitativo d’oro sufficiente a confezionarla, che arrivasse in tempo per la statio quaresimale della domenica laetare.
Molto di quello che sappiamo sulla storia della rosa d’oro si deve a Benedetto XIV, che fece studiare a fondo il significato e l’origine della rosa. “E molti sono concordi – racconta monsignor Sanchirico - nel dire che Leone IX volle sottoporre immediatamente alla Sede romana, esentandolo dalla giurisdizione del vescovo locale, il monastero di Santa Croce nella diocesi di Tulle. E a ricordo di questa libertà, impose di mandare al Papa, ogni anno, otto giorni prima della quarta domenica di Quaresima, una rosa d'oro o due once romane dello stesso metallo. Il pagamento di tale quantità di oro verrà puntualmente registrata nel Liber censuum di Cencio Camerario”.
Secondo monsignor Lonigio invece Leone IX avrebbe chiesto il pagamento della rosa d'oro alla badessa del monastero di Bamberga, a ricordo dell'esenzione dalla giurisdizione dell'ordinario, mentre Besozzi sosteneva la tradizione di benedire la rosa esisteva già da qualche tempo, e Benedetto XIV sposò questa affermazione. Monsignor Sanchirico conclude che “possiamo, pertanto, convenire con Benedetto xiv che si tratta di un rito particolarmente antico, già in uso al tempo di Leone IX”.
Ma – racconta Sanchirico – “anche la forma della rosa mutò con il tempo. Originariamente era composta da un solo fiore, tinto di rosso nel bocciolo. Il rosso fu poi sostituito da un rubino e da altre pietre preziose. Successivamente la rosa assunse la forma di un ramo spinoso con più fronde, fiorito e con in cima una rosa più grande, in oro puro. Nel mezzo della principale era inserita una piccola coppa, con un coperchio o una sottile lamina forata, nella quale il Papa versava il balsamo e il muschio tritato, rito introdotto per imitare la fragranza soave della rosa e anche per sottolineare il profondo significato cristologico che le veniva attribuito”.
A partire dal XVI secolo, poi, “si cominciò a inserire il ramo di rose in un vaso e a sostituire l'oro con argento dorato. L'introduzione del vaso renderà scomodo al Papa reggerla nella mano sinistra e per questo il chierico di camera che presentava al Pontefice la rosa avrà il compito di portarla nel tragitto dalla sala dei Paramenti alla cappella, precedendo il Pontefice”.
Tra gli oltre 180 destinatari della rosa d’oro, si trovano una serie di personalità e di storie. Racconta monsignor Sanchirico: “La prima rosa consegnata fuori Roma toccò a Fulcone d'Angers, che aveva dato ospitalità a Urbano ii (1088-1099). Le rose date ai dogi di Venezia erano, invece, considerate non come dono alla persona, ma alla Repubblica. Quella che Benedetto XI inviò nel 1304 al convento dei domenicani di Perugia fu ben presto venduta per sopperire alla necessità dei poveri. Enrico VIII d'Inghilterra ne ricevette ben due: la prima da Giulio II, l'altra da Leone x. Quelle donate da Martino v alla basilica vaticana e da Clemente vii alla confraternita del Gonfalone saranno parte del bottino dei lanzichenecchi nel sacco di Roma del 1527.
Nel 1462 Pio ii la donò a Tommaso Paleologo, fratello di Costantino XI, ultimo imperatore di Costantinopoli, che il 29 maggio 1453 aveva trovato la morte sulle mura della città, ormai caduta in mano turca”.
Sisto IV volle inviare alla sua città di Savona non una rosa d'oro, ma un ramo di rovere, allusivo al suo cognome e al suo stemma. Alessandro vi, invece, la concesse a Cesare Borgia. Paolo VI donò la rosa d’ora alla basilica vaticana per la traslazione dei Papi santi di nome Leone nel 1608. Molte rose d’oro furono, poi, inviate alle cattedrali dove i Pontefici erano stati precedentemente vescovi: Innocenzo XII a Napoli, Urbano VIII a Spoleto, Benedetto XIV a Bologna.
E ancora: Pio IX la mandò a Maria Adelaide di Savoia, consorte di Vittorio Emanuele ii, mentre Leone xiii ne fece dono a Mary Caldwell, unica borghese ad averla ottenuta, per i meriti acquisiti nella fondazione dell'università cattolica di Washington. L'ultima sovrana italiana a riceverla sarà la regina Elena, sposa di Vittorio Emanuele iii di Savoia, nel 1937, da parte di Pio XI.
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.
Nell'ambito di questo servizio gratuito, potrete ricevere occasionalmente delle nostre offerte da parte di EWTN News ed EWTN. Non commercializzeremo ne affitteremo le vostre informazioni a terzi e potrete disiscrivervi in qualsiasi momento.
(12 – fine)