Roma , venerdì, 13. dicembre, 2024 12:00 (ACI Stampa).
La solita cagnara, bambini che strillano e saltano ovunque, tanto nessuno li verrà a cercare, visto che sono orfani o abbandonati, pellegrini che vengono a chiedere soccorso, un letto, un pasto caldo, poveretti che soffrono e non sanno come fare per curarsi. Filippo cerca di ascoltare tutti, ha una parola per tutti, spesso una battuta scherzosa, perché sì, è vero, a guardare quel che gli succede tutt’intorno, ogni giorno, o a sentire i racconti raccolti in confessione, non c’è da stare allegri: ingiustizie, violenze, soprusi, miseria – tanta miseria - guerre continue, carestie, pestilenze. Eppure Filippo Neri (“Pippo bono”, per il popolo) è convinto che la realtà è fondamentalmente buona, creata da Dio per amore e che dunque basta lasciarsi amare dal Signore e diventare amabile con tutti. Pensa inoltre che tutto sia prezioso e insostituibile. Così la vita scorre, nonostante i suoi errori e orrori, come un fiume verso il suo mare, l’amore di Dio. Ma in questo fiume, o meglio valle di lacrime, come recita il "Salve Regina", ci sono cose, legami, forze che rendono il cammino più leggero. L’amicizia, tanto per cominciare. E lui la sperimenta tutti i giorni, in una Roma di metà Cinquecento, ricca di rovine, di chiese in costruzione o in ricostruzione, botteghe di artigiani e artisti, una folla multicolore e rissosa ma ricca di umanità, con i tanti che lo seguono e che vogliono stare insieme, pregando, cantando, cercando di vivere, non solo sopravvivere.
La storia di san Filippo Neri non smette mai di affascinare, tanto è vero che ha ispirato film, serie tv, con protagonisti attori straordinari come Johnny Dorelli e Gigi Proietti. E tanti libri. Ne è appeno uscito uno scritto da Pina Baglioni, pubblicato da Edizioni Ares, con un “taglio” mirato all’amicizia, nell’ottica cristiana. E la storia si dipana come un racconto che avvince e rasserena.
«Tutti i suoi legami erano guardati con gli occhi di Dio e amati del suo amore» – scrive padre Rocco Camillò nella Prefazione –, «uomo o donna, cane o gatto o canarino: anche gli animali che egli deteneva si legavano a lui in un modo unico». Nato a Firenze il 21 luglio 1515, Filippo arriva a Roma intorno al 1534, comincia a frequentare il centro storico della città, fino a conoscerne ogni vicolo, bottega e piazza; dopo varie vicissitudini darà vita alla congregazione dell’Oratorio, una delle esperienze più originali della storia della Chiesa, rendendo affascinanti e attraenti i tesori della Tradizione: la devozione eucaristica, i sacramenti, la musica sacra, i pellegrinaggi, l’orazione continua. Come ci riesce? Osserva padre Maurizio Botta: «Filippo è stato un mistico. Ha ricevuto quel dono che hanno alcune persone che non riescono neanche ad allacciarsi le scarpe senza chiedersi il perché […]. Questi sono i contemplativi. E certi contemplativi diventano santi».
Pippo bono ha sempre avuto un posto speciale nel cuore dei romani; la sua sagoma è diventata a poco a poco familiare per il suo singolare apostolato ambulante proposto a nobili e straccioni, giovani e vecchi, ladruncoli e strozzini, ignoranti e colti. L’Oratorio, nato proprio da questo suo modo di stare con gli altri nel nome di Cristo, diventa, come si diceva, una delle esperienze cristiane più affascinanti e originali della storia della Chiesa. Essere devoti, pregare, accostarsi costantemente ai sacramenti non esclude certamente l’essere allegri, amare la compagnia, vedere il lato buffo della vita. Anzi, tutto si tiene, si integra, si completa. L’amicizia diventa il pilastro su cui si regge lo spirito dell’Oratorio; del resto il cristianesimo nasce proprio dal rapporto di Gesù con chi subito sarà con lui: vi ho chiamato amici, dice rivolgendosi loro. Amicizia, dunque, è il segno congeniale dello stare insieme nel nome di Cristo, del cristianesimo. E lo sarà certamente per Filippo Neri. I suoi amici più fidati, quelli che gli sono stati vicini nella vita, sono stati numerosi, a cominciare dal sacerdote Persiano Rosa, umile, povero e allegro come Filippo, e ragazzi che lui aveva accolto fin da ragazzini come ad esempio Cesare Baronio e Alessandro Fedeli, molto legati al loro padre spirituale. E anche il cardinale Federico Borromeo, che sempre lo ha ammirato e sostenuto. Nell'aprile del 1595, Filippo Neri viene colpito ancora più gravemente dalla malattia che da tempo lo affligge. Federico Borromeo allora arriva a Roma proprio per amministrargli personalmente l'eucaristia. Il santo, come lo stesso Borromeo in seguito ha raccontato, benché moribondo dimostrava ancora una forza d'animo eccezionale. Morirà nella notte tra il 25 e il 26 maggio, colpito da una grave emorragia, dopo aver benedetto la propria comunità. Nel momento del trapasso, come raccontano i numerosi testimoni, sul suo viso appare l'ombra di un sorriso.