Non solo: c'è un rescritto della Congregazione per l’Educazione Cattolica contro il razzismo nazista pubblicata il 13 aprile 1938 che è indicativo.
Il rescritto era stato inviato alle nunziature apostoliche di Irlanda, Argentina, Cile, Perù, Bolivia, Colombia, Cuba ed America Centrale e alle delegazioni apostoliche di Stati Uniti, Australia, Albania, Congo Belga, Indocina, Siria, Egitto e Sud Africa. Il rescritto – accompagnato da un cablo del Segretario di Stato Pacelli – e “raccomandava” eminenti ebrei convertiti al cattolicesimo e costretti a lasciare le loro terre perché trovassero lavoro in quei paesi.
Perché solo i convertiti? Spiega Ickx che “prima di tutto la prima preoccupazione del pastore è il gregge e per questo si comprende abbastanza logicamente che vescovi e cardinale cercassero prima di tutto di difendere gli ebrei cristiani.
E questo soprattutto perché “i cosiddetti ebrei cristiani non potevano contare sull’aiuto della organizzazioni di soccorse ebree e per questo erano vulnerabili”.
Un'altra spiegazione è data dalla reazione cattolica alla "notte dei cristalli", che metteva i cattolici in cattiva posizione mentre le leggi non davano possibilità di aiutare nessuno di nascita ebraica. Infine, nel contesto del Concordato con la Germania, “la Chiesa, nelle sue azioni e discorsi ufficiali, poteva solo raggiungere quelli che erano battezzati”, e per questo “la particolarità cristiana era un intervento necessario”.
Durante gli anni di guerra, gli sforzi della Santa Sede in favore dei rifugiati si moltiplicarono, e ovviamente anche quelli nei confronti degli ebrei perseguitati. “Nel gennaio 1940 – nota Ickx – l’ambasciata tedesca presso la Santa Sede ha riportato a Berlino che nell’ultimo volume delle Attività della Santa Sede si menzionava per la prima volta l’aiuto agli ebrei, definite come “persone considerate di razza non ariaan e perciò punite dalla legge in alcuni Stati”.
Pio XII, nel suo radio messaggio del 1940, si riferì a tutti i rifugiati, sottolineando che “abbiamo cominciato un altro lavoro, non piccolo, che stiamo sviluppando attivamente e realizzano. Chiediamo e trasmettiamo notizie dove è possibile e permesso”. Mentre nel concistoro del 24 dicembre 1940, Pio XII faceva riferimento all’alto “numero di rifugiati, espatriati, migranti anche tra quelli di lignaggio ebraico”.
Sono parole che lasciano comprendere come la Santa Sede fosse consapevole della particolare situazione degli Ebrei nel mezzo del problema dei rifugiati in Europa, situazione che esploderà quando nel 1941 i nazisti opteranno per la cosiddetta “soluzione finale”, vale a dire la Shoah.
Pio XII, nel radio messaggio dell’1 agosto 1941, denunciò “un grande scandalo che si sta tenendo ora, e lo scandalo è il trattamento sofferto dagli Ebrei. E per questo desidero che una voce libera, la voce del prete, sia sollevata in prospetta. In Germania, gli Ebrei sono uccisi, brutalizzati, torturati perché sono vittime senza difesa. Come può un cristiano accettarlo?”
C’è una corrispondenza “immensa” tra Pio XII e i suoi collaboratori che – nota Ickx – “rivela la reazione immediata della Santa Sede all’omicidio di Massa”.
Agenti di assistenza principali erano i rappresentanti diplomatici del Papa, a partire da Angelo Giuseppe Roncalli, delegato apostolico in Turchia e Grecia, che sarà poi Papa Giovanni XXIII, ma anche Amleto Giovanni Cicognani, che al tempo era delegato apostolico a Washington e che di Giovanni XXIII fu il Segretario di Stato.
Proprio a Washington era stato messo su un Comitato Cattolico per i rifugiati dalla Germania”, con lo scopo di aiutare Ebrei convertiti e non convertiti, e che gestiva circa un centinaio di casi di immigrazione al mese. Il comitato lavorava insieme ai comitati svizzeri e olandesi “St. Rafaelsverein”, e a New York con l’American Christian Committee e il National Coordination Committee nonché i Comitati di rifugiati ebrei e protestanti.
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Particolarmente importante è il lavoro fatto a Roma e in Vaticano, con una rete che includeva Monsignor Hugh O’Flaherty che viveva nel Campo Santo Teutonico, con monsignor Alois Hudal, il salvatoriano Pankratius Pfeiffer, l’agostoniano Anselmus Muster. Quest’ultimo fu arrestato sulla scale di Santa Maggiore nel 1944, imprigionato e brutalmente torturato dalla Gestapo. Non tradì mai i membri di quella che era chiamata “Roman Escape Line”.
Il 25 settembre 1943, la Santa Sede e la Germania raggiunsero un accordo che garantiva neutralità al Vaticano e ai suoi edifici al di fuori della proprietà vaticana.
Come era la situazione a Roma all’inizio della occupazione nazista? Il 4 giugno 1944, c’erano a Roma 9.975 ebrei, 8 mila romani e i restanti provenienti dall’estero. Di questi, 1.697 furono uccisi durante il loro arresto, e solo 117 ebrei sopravvissero alla deportazione, 495 trovarono rifugio fuori Roma e 1.324 ebrei sono sopravvissuti in case private di amici, mentre 336 ebrei romani furono salvati in parrocchie, collegi e ospedali amministrati dai preti diocesani e 4.205 ebrei rifugiati trovarono riparo in 235 conventi e 160 rifugiati ebrei sopravvissero in Vaticano e in 26 aree extra territoriali.
Come detto, nonostante l’extraterritorialità, i conventi erano sempre sotto rischio di raid e perquisizioni.
Ma c’è un altro capitolo che è degno di nota: la lista di interventi della Santa Sede in favore di ebrei romani arrestati e deportati e rifugiati nel periodo che va dal 10 settembre 1943 al 4 giugno 1944.
La Santa Sede intervenne fortemente in favore di Ebrei arrestati durante le cinque settimane tra il 10 settembre 1943 e il 15 ottobre dello stesso anno, inviando 10 richieste per sei prigionieri. La Santa Sede intervenne anche in favore di 1030 ebrei arrestati il 16 ottobre 1943 e deportati ad Auschwitz – Birkenau alle 2 del 18 ottobre 1943. Come detto, una attività che era primariamente per gli ebrei battezzati, ma anche per i non battezzati. La Santa Sede, in particolare, “tentò di intervenire con le autorità tedesche per il loro immediato rilascio fino al 22 ottobre, quando erano ancora vivi”.