Città del Vaticano , martedì, 9. febbraio, 2021 13:00 (ACI Stampa).
“La pandemia ha fatto emergere una duplice consapevolezza: da una parte l’interdipendenza tra tutti e dall’altra la presenza di forti disuguaglianze. Siamo tutti in balìa della stessa tempesta, ma in un certo senso, si può anche dire che stiamo remando su barche diverse: le più fragili affondano ogni giorno. È indispensabile ripensare il modello di sviluppo dell’intero pianeta. Tutti sono interpellati: la politica, l’economia, la società, le organizzazioni religiose, per avviare un nuovo assetto sociale che metta al centro il bene comune dei popoli. Non c’è più nulla di privato che non metta in gioco anche la forma pubblica dell’intera comunità. L’amore per il bene comune non è una fissazione cristiana: la sua articolazione concreta, adesso, è diventata una questione di vita o di morte, per una convivenza all’altezza della dignità di ciascun membro della comunità”. Lo scrive la Pontificia Accademia per la Vita nel Documento “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia”, pubblicato oggi.
“Gli anziani – sottolinea il testo - sono stati tra i più colpiti dalla pandemia. Il numero di morti tra le persone oltre i 65 anni è impressionante. Durante la prima ondata della pandemia una parte considerevole dei decessi da Covid-19 si è verificato nelle istituzioni per anziani, luoghi che avrebbero dovuto proteggere la parte più fragile della società e dove invece la morte ha colpito sproporzionatamente di più rispetto alla casa e all’ambiente familiare. Dai calcoli comparati dei dati si rileva che la famiglia, invece, a parità di condizioni, ha protetto molto di più gli anziani. L’istituzionalizzazione degli anziani, soprattutto dei più vulnerabili e soli, proposta come unica soluzione possibile per accudirli, in molti contesti sociali rivela una mancanza di attenzione e sensibilità verso i più deboli, nei confronti dei quali sarebbe piuttosto necessario impiegare mezzi e finanziamenti atti a garantire le migliori cure possibili a chi ne ha più bisogno, in un ambiente più familiare. Tale approccio manifesta in maniera evidente ciò che Papa Francesco ha definito la cultura dello scarto”.
“E’ quanto mai opportuno – ribadisce la PAV - avviare una riflessione attenta, lungimirante e onesta su come la società contemporanea debba farsi prossima alla popolazione anziana, soprattutto laddove sia più debole. Peraltro, quanto è accaduto durante il Covid-19 impedisce di liquidare la questione della cura degli anziani con la ricerca di capri espiatori, di singoli colpevoli e, di contro, che si alzi un coro in difesa degli ottimi risultati di chi ha evitato il contagio nelle case di cura. Abbiamo bisogno di una nuova visione, di un nuovo paradigma che permetta alla società di prendersi cura degli anziani”.
Secondo l’Accademia “è indispensabile rendere le città abitabili anche per” gli anziani. “E’ essenziale rendere le nostre città luoghi inclusivi e accoglienti per gli anziani e, in generale, per tutte le forme di fragilità”.
“A livello culturale e di coscienza civile e cristiana – si legge ancora nel testo - è quanto mai opportuno un profondo ripensamento dei modelli assistenziali per gli anziani. Imparare ad onorare gli anziani è cruciale per il futuro delle nostre società e, in ultima istanza, per il nostro futuro”. Abbiamo “il dovere di creare le condizioni migliori affinché gli anziani possano vivere questa particolare fase della vita, per quanto possibile, nell’ambiente a loro familiare, con le amicizie abituali. L’assistenza domiciliare deve essere integrata, con la possibilità di cure mediche a domicilio e un’adeguata distribuzione di servizi sul territorio. E’ necessario e urgente attivare una presa in carico dell’anziano laddove si svolge la sua vita. Tutto ciò richiede un processo di conversione sociale, civile, culturale e morale”.