Il Papa guarda con speranza al Primo Vertice Umanitario Mondiale, convocato a maggio dalle Nazioni Unite. “Occorre – afferma Papa Francesco - un impegno comune che rovesci decisamente la cultura dello scarto e dell’offesa della vita umana, affinché nessuno si senta trascurato o dimenticato e altre vite non vengano sacrificate per la mancanza di risorse e, soprattutto, di volontà politica”.
Papa Francesco denuncia ancora “l’arroganza dei potenti che strumentalizzano i deboli, riducendoli ad oggetti per fini egoistici o per calcoli strategici e politici,” che porta I migranti a “scegliere di rivolgersi a chi pratica la tratta o il contrabbando di esseri umani, pur essendo in gran parte coscienti del pericolo di perdere durante il viaggio i beni, la dignità e perfino la vita”. Per questo, il Papa rinnova l’appello a fermare il traffico di esseri umani, un altro dei temi centrali della diplomazia di Papa Francesco. “Rimarranno sempre indelebilmente impresse nelle nostre menti e nei nostri cuori le immagini dei bambini morti in mare, vittime della spregiudicatezza degli uomini e dell’inclemenza della natura”, dice il Papa che ha volute che l’isola di Lampedusa, porto di approdo dei migranti, fosse meta del suo primo viaggio.
Il problema è politico, perché – afferma il Papa – “gran parte delle cause delle migrazioni si potevano affrontare già da tempo. Si sarebbero così potute prevenire tante sciagure o, almeno, mitigarne le conseguenze più crudeli”. E anche oggi “molto si potrebbe fare per fermare le tragedie e costruire la pace,” anche se questo “significherebbe però rimettere in discussione abitudini e prassi consolidate, a partire dalle problematiche connesse al commercio degli armamenti, al problema dell’approvvigionamento di materie prime e di energia, agli investimenti, alle politiche finanziarie e di sostegno allo sviluppo, fino alla grave piaga della corruzione”.
Il Papa sottolinea la necessità di stabilire “progetti a medio e lungo termine” che vadano oltre la risposta di emergenza, atti ad “aiutare effettivamente l’integrazione dei migranti nei Paesi di accoglienza”, ma anche favorire “lo sviluppo dei Paesi di provenienza con politiche solidali”, che però “non sottomettano gli aiuti a strategie e pratiche ideologicamente estranee o contrarie alle culture dei popoli cui sono indirizzate”. Il riferimento è a un ben noto problema che i vescovi africani hanno denunciato durante il Sinodo, e cioè che gli organismi internazionali legano gli aiuti economici all’approvazione di leggi, spesso di orientamento gender, in un atteggiamento di colonizzazione politica.
Papa Francesco nota che gli sbarchi in Europa fanno “vacillare il sistema di accoglienza”, e che “di fronte all’imponenza dei flussi e agli inevitabili problemi connessi, sono sorti non pochi interrogativi sulle reali possibilità di ricezione e di adattamento delle persone, sulla modifica della compagine culturale e sociale dei Paesi di accoglienza, come pure sul ridisegnarsi di alcuni equilibri geo-politici regionali”, e sui timori “per la sicurezza, esasperati oltremodo della dilagante minaccia del terrorismo internazionale”.
Il Papa spera che l’Europa non perda i suoi valori, dai quali può avere “gli strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti”. Papa Francesco chiede anche che le Nazioni in prima linea “nell’affrontare l’attuale emergenza non siano lasciate sole, ed è altrettanto indispensabile avviare un dialogo franco e rispettoso tra tutti i Paesi coinvolti nel problema – di provenienza, di transito o di accoglienza – affinché, con una maggiore audacia creativa, si ricerchino soluzioni nuove e sostenibili”.
L’emergenza migrazioni va affrontata anche perché “l’estremismo e il fondamentalismo trovano un terreno fertile non solo in una strumentalizzazione della religione per fini di potere, ma anche nel vuoto di ideali e nella perdita d’identità – anche religiosa –, che drammaticamente connota il cosiddetto Occidente”, un vuoto da cui “nasce la paura che spinge a vedere l’altro come un pericolo ed un nemico, a chiudersi in sé stessi, arroccandosi su posizioni preconcette”. E dunque “l’accoglienza può essere dunque un’occasione propizia per una nuova comprensione e apertura di orizzonte, sia per chi è accolto, il quale ha il dovere di rispettare i valori, le tradizioni e le leggi della comunità che lo ospita, sia per quest’ultima, chiamata a valorizzare quanto ogni immigrato può offrire a vantaggio di tutta la comunità”.
Altro tema centrale per Papa Francesco è quello della famiglia. Ripercorre tutti i viaggi internazionali dell’anno appena trascorso (Sri Lanka e Filippine; Sarajevo; Ecuador, Bolivia e Paraguay; Cuba e Stati Uniti; Kenya, Uganda Repubblica Centraficana) e ricorda che “a Filadelfia, in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie, come pure nel corso del viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine e con il recente Sinodo dei Vescovi, ho richiamato l’importanza della famiglia, che è la prima è più importante scuola di misericordia, nella quale si impara a scoprire il volto amorevole di Dio e dove la nostra umanità cresce e si sviluppa”.
Eppure - nota il Papa - la famiglia è messa alla prova da numerose sfide, perché c’è “oggi una diffusa paura dinanzi alla definitività che la famiglia esige e ne fanno le spese soprattutto i più giovani, spesso fragili e disorientati, e gli anziani che finiscono per essere dimenticati e abbandonati”. Eppure si deve partire dalla fraternità vissuta in famiglia per diventare “responsabili l’uno dell’altro. Ciò è possibile solo se nelle nostre case, così come nelle nostre società, non lasciamo sedimentare le fatiche e i risentimenti, ma diamo posto al dialogo, che è il migliore antidoto all’individualismo così ampiamente diffuso nella cultura del nostro tempo”.
L’antidoto all’individualismo è proprio la misericordia, linea guida della diplomazia del Papa secondo sue stesse parole. Papa Francesco ricorda che il Giubileo della Misericordia è iniziato in maniera straordinaria con l’apertura simbolica della Porta Santa nella Cattedrale di Bangui, che vuole essere “un segno di incoraggiamento ad alzare lo sguardo, riprendere il cammino”. “Laddove il nome di Dio è stato abusato per commettere ingiustizie, ho volute ribadire con la comunità musulmana della comunità centrafricana che chi dice di credere in Dio deve essere anche un uomo di pace e di misericordia” . Chiosa il Papa: “Solo una forma ideologica e deviata di religione può pensare di rendere giustizia nel nome dell’Onnipotente, deliberatamente massacrando persone inermi, come è avvenuto nei sanguinari attentati terroristici dei mesi scorsi in Africa, Europa e Medio Oriente”.
Papa Francesco ricorda anche gli accordi internazionali stabiliti dalla Santa Sede , da quello fiscale con Italia e Stati Uniti, a quelli sottoscritti con Ciad, Sri Lanka, Palestina, tutti volti a garantire la libertà della Chiesa di portare avanti la propria missione.
Senza dimenticare le situazioni in Iraq e Yemen, il Papa auspica che “quest’Anno Santo della Misericordia sia anche l’occasione di dialogo e riconciliazione volto all’edificazione del bene comune in Burundi, nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan”, e che “sia un tempo propizio per porre definitivamente termine al conflitto nelle regioni orientali dell’Ucraina. è di fondamentale importanza il sostegno che la Comunità internazionale, i singoli Stati e le organizzazioni umanitarie potranno offrire al Paese sotto molteplici punti di vista, affinché esso superi l’attuale crisi”.
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Il Papa plaude alle nazioni che hanno sostenuto l’impatto delle migrazioni (come la Giordania) e sottolinea – citando il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2016 – che bisogna vincere l’indifferenza per conquistare la pace. “A livello diplomatico – conclude il Papa - la Santa Sede non smetterà mai di lavorare perché la voce della pace possa essere udita fino agli estremi confini della terra”.
Un lavoro che passa proprio attraverso le relazioni diplomatiche, il mezzo attraverso cui la Santa Sede può portare avanti il suo lavoro in favore del bene commune. La Santa Sede ha relazioni diplomatiche con 180 Stati, e sono 86 le Cancellerie di Ambasciata con sede a Roma (incluse quella dell’Unione Europea e del Sovrano Militare Ordine di Malta). L’anno scorso erano 83. Quest’anno si sono aggiunte le ambasciate di Belize, Burkina Faso e Guinea Equatoriale.
Insieme alla Santa Sede, sono chiamate a collaborare per il bene commune. Armindo Fernandes de Espirito Santo Vieira, ambasciatore di Angola e decano del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, sottolinea – in un indirizzo di saluto tenuto in francese, la lingua della diplomazia – che “il terrorismo prende al giorno di oggi dimensioni planetary, e l’intolleranza si è pericolosamente estesa nel corso dell’anno, in particolare nella forma di persecuzioni di carattere religioso”. Sarà anche questa una sfida globale dell’anno, sulla scorta di quello che Papa Francesco ha detto durante l’Angelus che tenne all'indomani della strage di Parigi: “Utilizzare il nome di Dio per giustificare queste azioni è una blasfemia”.
Ma anche il tema del nucleare sarà importante. Lo delinea anche il Papa, da una parte plaudendo all’accordo con l’Iran sul nucleare, dall’altro stigmatizzando i recenti esperimenti nucleari in Corea del Nord. “Da parte sua – nota il Papa - l’anno da poco iniziato si preannuncia carico di sfide, e non poche tensioni si sono già affacciate all’orizzonte. Penso soprattutto ai gravi contrasti sorti nella regione del Golfo Persico, come pure al preoccupante esperimento militare condotto nella penisola coreana. Auspico che le contrapposizioni lascino spazio alla voce della pace e alla buona volontà di cercare intese. In tale prospettiva, rilevo con soddisfazione come non manchino gesti significativi e particolarmente incoraggianti.”
Ci sono però anche dei segnali incoraggianti. Il Papa ricorda il percorso di pace in Colombia, le elezioni in Repubblica Centrafricana, le nuove iniziative avviate a Cipro (l'isola è divisa tra turchi e greci) e guarda "con speranza gli importanti passi intrapresi dalla Comunità internazionale per raggiungere una soluzione politica e diplomatica della crisi in Siria, che ponga fine alle sofferenze, durate troppo a lungo, della popolazione". Sulla Siria si focalizzerà molto dell'impegno delle associazioni di carità della Santa Sede. Una attività che si basa anche sull'accoglienza dei rifugiati, che ha visto protagoniste Libano e Giordania, ma anche Grecia e Turchia (tutte menzionate, a vario titolo, dal Papa nel discorso).