Ne consegue – sottolinea il Patriarca – che “ogni società ha bisogno di istituzioni di trascendenza, che rappresentano pubblicamente la dimensione del divino”.
Di quale religione abbiamo bisogno? Di una religione “che non tradisce la terra per amore del cielo – risponde Bartolomeo –, che non esima gli esseri umani dalla loro responsabilità nel mondo e per il mondo, che al contrario aumenta il loro impegno alla responsabilità e all’azione mentre estendono la loro testimonianza per la libertà, la giustizia e la pace”.
Il Patriarca ci tiene a difendere la Chiesa ortodossa dagli attacchi di essere una realtà “disincarnata”, che rifiuta la modernità. Anzi, chiede di non identificare la fede ortodossa con il tradizionalismo e il conservatorismo, e anche l’etnocentrismo (e si potrebbe leggere qui una critica alle confessioni ortodosse dalla forte identità nazionale”.
Ma va da sé che “per i credenti ortodossi la fede rimane la condizione principale per un corretto approccio alla realtà terrena”, perché “la fede riempie di significato.
Bartolomeo indica implicitamente la strada verso la modernità indicando le sfide moderne come sono state presentate dal Grande e Santo Concilio Pan Ortodosso, la prima assise di tutte le Chiese ortodosse che ha indicato un primo passo verso un cammino ecumenico più pieno.
Tra le sfide, quella di una nuova economia “fondata sui principi del Vangelo avendo come bussola le parole del Signore” e che “serve l’umanità e le sue esigenze esistenziali”. E la rivendicazione dei diritti umani, respingendo il fatto che le confessioni cristiane li rifiutino.
“La critica contro i diritti individuali – afferma il Patriarca - ha origine in religioni non cristiane. La Chiesa ortodossa sostiene i diritti umani e critica la loro deriva individualistica. Sottolineiamo le radici cristiane dei moderni diritti umani, ma la loro etica non è l’ethos finale e supremo. I diritti umani non possono raggiungere la profondità del pensiero cristiano”. Certo – concede il Patriarca – alcuni studiosi ortodossi prendono un differente approccio, affermano che i diritti umani sono “importati o stranieri per la tradizione ortodossa”, ma queste tensioni “non sono radicate in valori di principio”.
Alla fine, Bartolomeo traccia una unica grande risposta: quella dell’amore, una scelta attiva “che si irradia al di là dello stretto quadro delle costruzioni giuridiche”, perché “il vero cristiano si sacrifica” e “contribuisce allo sviluppo con la testimonianza”. “La pace – dice Bartolomeo – non si ottiene con la forza delle armi, ma solo attraverso l’amore che non cerca il proprio interesse”.
Anche quello dell’amore, un tema che viene dalla fede, tanto che per Bartolomeo “il “il dilemma essenziale dell’umanità non è se adottare o meno la religione, ma piuttosto che tipo di religione abbracciare”. E traccia l’identikit di una religione che “possa guidare ad un cambiamento di mentalità e ad una autenticità di vita. Come ci è stato insegnato, bisogna conoscere la verità, e la verità vi farà liberi”.
Solo guardando verso il cielo, solo ricordandosi che “un essere umano non è cittadino del mondo, ma anche un cittadino del cielo, pieno di nostalgia per la vita eterna”, si può creare un modello di vita comune “all’interno di una globalizzazione che dà doni preziosi ma spinge le persone all’autosufficienza e all’egocentrismo,ignorando gli altri”.
Ricorda Bartolomeo: “Qualunque cosa la Chiesa faccia, qualunque cosa la Chiesa dica, lo fa per la gloria di Dio in quanto divinità e per la tutela della dignità umana. Essa può anche scegliere di mantenere il silenzio per le stesse ragioni. Impossibile per la Chiesa chiudere gli occhi di fronte al male, essere indifferente di fronte al grido dei poveri e degli oppressi. La fede della Chiesa afferma e fa avanzare la lotta contro tutte le forze della disumanità”.
Il Patriarca di Costantinopoli definisce l’attuale crisi come “una opportunità per la costruzione di ponti e per la solidarietà”, perché questo è un tempo “di dialogo e di azione comune, di apertura e fiducia, di coraggio nell’assumersi responsabilità e di impegnarsi in una attendibilità trasparente. Il nostro futuro è comune e la via per questo futuro è un viaggio comune. La nostra forza rimane spirituale”.
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Il futuro, in fondo – conclude il Patriarca – “Il futuro non appartiene all’avere e alla cupidigia, ma all’essere e al condividere. Non all’individualismo, ma alla comunione e all’amore”.