E’essenziale sottolineare che il sacramento della Riconciliazione. Essendo un atto di culto, non può e non deve essere confuso con una seduta psicologica o una forma di counselling. In quanto atto sacramentale, tale sacramento deve essere tutelato in nome della libertà di religione e ogni ingerenza deve essere ritenuta illegittima e lesiva dei diritti della coscienza.
Quindi il confessore deve mantenere il segreto e nello stesso tempo aiutare a denunciare i delitti alle autorità ecclesiali e civili, in che modo può farlo ?
Tutto quanto detto in confessione, cioè dal momento in cui ha inizio questo atto di culto con il segno della croce e il momento in cui termina o con la assoluzione, o con la assoluzione negata, è sotto sigillo assolutamente inviolabile. Tutte le informazioni riferite in confessione sono “sigillate” perché date a Dio solo, per cui non sono nella disponibilità del sacerdote confessore (cf canoni 983-984 CIC; 733-734 CCEO). Anche nel caso specifico in cui, durante la confessione, per esempio un minore riveli di aver subito abusi, il colloquio deve rimanere, per sua natura, sempre e comunque sigillato. Ciò non toglie che il confessore raccomandi vivamente al minore stesso di denunciare l’abuso ai genitori, agli educatori, alla polizia.
Se il confessore non ha alcun dubbio sulle disposizioni del penitente e questi chiede la assoluzione, essa non può essere negata né differita (cf can. 980). Esiste certamente il dovere di riparare ad una ingiustizia perpetrata e di impegnarsi sinceramente ad evitare che l’abuso si ripeta, ricorrendo , se necessario, ad un aiuto competente, ma questi doveri gravi legati al percorso di conversione non comportano la autodenuncia. Il confessore dovrà comunque invitare il penitente ad una riflessione più profonda e a valutare le conseguenze del suo agire, soprattutto quando un’altra persona sia stata sospettata o condannata ingiustamente.
Come si può rispondere ai vescovi che sono tentati, anche se per una giusta causa, di cedere “parte” del dovere del segreto confessionale, che non è certo un “segreto professionale”?
L’analogia fra il sigillo sacramentale e il segreto professionale cui sono tenuti, per esempio, medici, farmacisti, avvocati ecc, va assolutamente evitata. Al di fuori della penitenza sacramentale, non esiste alcun segreto che non possa cedere ad esigenze in senso contrario stabilite dalla legge o dal giudice, da codici deontologici o dallo stesso soggetto interessato che ne autorizzi la rivelazione. Il segreto della confessione invece, non è un obbligo imposto dall’esterno, ma una esigenza intrinseca del sacramento, e come tale non può essere sciolto neppure dallo stesso penitente (cf can 1550,§2, n.2 CIC; can. 1231,§2, n.2 CCEO). Il penitente non parla al confessore uomo, ma a Dio. Onde impossessarsi di quello che è di Dio risulterebbe sacrilegio. Vi accede la tutela dello stesso sacramento, istituito da Cristo per essere porto sicuro di salvezza per tutti i peccatori. L’accostarsi al sacramento della confessione da parte dei fedeli potrebbe crollare qualora venisse meno la fiducia nel sigillo, con gravissimo danno per le anime e per tutta l’opera di evangelizzazione.
E’ essenziale insistere sulla incomparabilità del sigillo confessionale rispetto al segreto professionale, per evitare che le legislazioni secolari applichino al segreto confessionale inviolabile, le deroghe al segreto professionale per giusta causa.
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