Il Cardinale sottolinea che “la sinodalità è un dono e una dimensione della Chiesa-Popolo di Dio che lo Spirito ci fa riscoprire e sperimentare”, secondo “uno stile e una forma che era abituale nella Chiesa dei padri”.
Oggi – sottolinea il Cardinale Grech “ci basta vivere la gioia di essere parte del Popolo di Dio in cammino, ciascuno mettendo a servizio degli altri i doni, i carismi, i ministeri, le funzioni che lo Spirito ha distribuito con abbondanza tra quanti siamo qui, grati di condividere l’impegno di questa prima tappa della dinamica sinodale”.
Il lavoro – tuttavia – è “appena iniziato”, e ci sono altre due tappe da compiere, la celebrativa dell’assemblea del Sinodo e quella successiva, quella attuativa, due “tappe assai diverse”. La prima “può giovarsi dell’esperienza di tante assemblee sinodali: ordinarie, straordinarie, speciali”; la seconda “non va molto al di là di una prima formulazione terminologica”.
Il Cardinale Grech sottolinea che “perché il processo sinodale sia vero; perché, in altre parole, non ci siano – o si riducano al minimo – i rischi di precostituire un risultato, bisogna garantire la libertà non solo nello Spirito, ma dello Spirito. È lo Spirito Santo il primo soggetto della sinodalità”.
È facile, nota il cardinale Grech, essere tentati “di risolvere l’ascolto attraverso le dinamiche democratiche; soprattutto di conferire al voto un valore che rischia di trasformare l’Assemblea sinodale in un parlamento, introducendo nella Chiesa le logiche della maggioranza e della minoranza”.
Certo, la questione del voto è presene in molte situazioni. Ma “è così impossibile immaginare, ad esempio, di ricorrere al voto sul Documento finale e sui suoi numeri singoli solo quando il consenso non sia certo? Non basta prevedere obiezioni motivate al testo, magari firmate da un numero congruo di membri dell’Assemblea, risolte con un supplemento di confronto, e ricorrere al voto come istanza ultima e non desiderata?” Sono domande aperte, un “problema su cui riflettere”.
Altra questione aperta: “Se invece di terminare l’assemblea consegnando al Santo Padre il documento finale, facessimo un altro passaggio, quello di restituire le conclusioni dell’assemblea sinodale alle Chiese particolari dalle quali è iniziato tutto il processo sinodale?”
Perché così “il documento finale arriverebbe al vescovo di Roma” con il consenso di tutte le Chiese locali, che “potrebbe non limitarsi solamente al placet del Vescovo, ma estendersi anche al popolo di Dio da lui nuovamente convocato per chiudere il processo sinodale aperto il 17 ottobre 2021”.
Così “il Vescovo di Roma, principio di unità di tutti i battezzati e di tutti i vescovi, riceverebbe un documento che manifesta insieme il consenso del Popolo di Dio e del Collegio dei Vescovi: si darebbe il caso di un atto di manifestazione del sensus omnium fidelium, che sarebbe al contempo anche un atto di magistero dei Vescovi sparsi per il mondo in comunione con il Papa”.
Sono due suggerimenti, su cui confrontarsi. Ma – conclude il Cardinale Grech – “dobbiamo fare le cose con ordine: ora ci aspetta il compito di riflettere sul tema che ci siamo assegnati per i gruppi di studio: Come accompagnare le diocesi nella prima fase Sinodale?”
Il benvenuto del Cardinale Grech si concentra sull’entusiasmo generato a suo dire dal documento preparatorio. “Qui – dice - siamo di fronte ad un moto generato dallo Spirito Santo che è già all’opera e ci precede in questo cammino tutto da scoprire”. Un cammino “volutamente lasciato aperto”, ma che, al di là dei timori, vuole ricorda che “la Chiesa è una famiglia. E, in quanto famiglia, sono certo che il vincolo di amore, che permette ad ogni famiglia di vivere e rimanere unita, e di riconoscersi famiglia anche nei momenti di incomprensione o paura, saprà preservare la nostra unità di membri della famiglia di Dio”.
Nel suo saluto, il Cardinale Hollerich nota che “una Chiesa sinodale è una Chiesa in relazione, una Chiesa di incontro”, sottolinea che “ci saranno incontri a livello di differenti gruppi, di diocesi, di conferenze episcopali, continenti” fino ad arrivare all’assemblea generale dei padri Sinodali nell’ottobre 2023.
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Si tratta – dice il relatore generale del Sinodo – di “incontri destinati a rimanere nel tempo”, per prendere tempo “l’uno per l’altro, camminando insieme”, decidendo una direzione, partecipando, ed evitando le “tentazioni del diavolo” che fanno pensare che magari non c’è tempo, che magari tutto è deciso prima, che magari sentire le esperienze di tutti è una utopia, che non si vuole il cambiamento.
Gli antidoti, per il Cardinale Hollerich, sono dati dall’ascolto “della voce di Dio”, con approccio “umile”, per passare “dall’io a noi”. Il Cardinale confessa che non sa “che tipo di instrumentum laboris scriverò, perché “le pagine sono bianche, e le dovete riempire voi”. “Non lo farò da solo – dice – è un sinodo di vescovi, ma ora pensato e proposto come un processo che coinvolge tutto il popolo di Dio”.
Ai confratelli vescovi, il Cardinale Hollerich dice che “non siamo i padroni del Vangelo, ma siamo i suoi servi”, e dunque il nostro ascolto “deve sempre includere la nostra conversione al Vangelo, che è, allo stesso tempo, la parola vivente diCristo e la parola della Chiesa”.
Per questo, ogni diocesi dovrebbe aprire il cammino sinodale “con piena e profonda preghiera”, perché “solo la preghiera ci può portare ad una attitudine interiore di apertura e disponibilità e a quella pace che ci permette di fare delle scelte in libertà”.
Il Cardinale Hollerich sottolinea che il noi permette anche di vedere “la Chiesa gerarchica al lavoro” (è gesuita, l’espressione è di Sant’Ignazio, e anche Papa Francesco la usa sempre) e questa “è una garanzia che non siamo meramente in questo cammino con un gruppo di amici, che la pensano come me”.
C’è bisogno, dunque, di cominciare questa missione sicuri “di un tempo e uno spazio che condividiamo”, di un discernimento che permette “il movimento da un livello all’altro”. La sinodalità – dice il relatore generale del Sinodo – “entrare in un noi sempre più grande, è cercare di vedere cosa ci costruisce come comunità”, perché “non è rimanendo seduti che saremo capaci di discernere la volontà del Padre”.