Per un periodo lavorò come ragioniere in un Ospedale civile, ma oltre al lavoro, le sue cure erano rivolte ai malati che visitava, sacrificando tutto, anche la propria biancheria personale.
Assolto il servizio militare, con onore, come ufficiale, ed ottenuto il placet della famiglia, poté coronare il suo sogno, chiedendo di essere ammesso nel clero diocesano.
Brillante alunno del Seminario diocesano e di quello Lombardo, a Roma, qualcosa sembrava fermarlo, fin quando non incontrò un quadro di San Camillo, in una chiesa a Como.
La sua vita da quel momento cambiò, entrando nella Congregazione religiosa dei Ministri degli infermi. Figlio di San Camillo de Lellis, compì il noviziato ed il 14 aprile 1889 fu ordinato sacerdote.
Dal 1881 al 1899 fu cappellano all'Ospedale, prima militare e poi civile di Verona e successivamente dal 1 maggio 1899 fino al 1938, fu destinato alla Casa di Cura San Camillo a Cremona, retta dai religiosi camilliani.
In questa città, Padre Rebuschini, quando usciva di casa, era chiamato il padrino santo tanto era forte il suo affetto per le persone e da queste era ricambiato.
Nel nosocomio non si conta il bene che fece e le tante voci di riconoscenza che raccolse. In questo luogo ricoprì la carica di economo e, per ben tre volte, fu superiore della comunità, per circa 11 dei 39 anni che spese a Cremona. Passò la Prima Guerra Mondiale ed il religioso rimase al suo posto non solo fisicamente, ma con il cuore.
Chi visse con lui, lo ricorda come un sacerdote, sempre, presente fra i malati e pronto ad ogni sacrificio pur di servire e bene i degenti.
Di giorno era disponibile, per ogni incombenza, purché tutto funzionasse nel miglior modo possibile. Quante volte, fu visto al capezzale dei pazienti, pronto a sollevarli da qualsiasi pena sia spirituale che corporale.
Chi ebbe la fortuna di conoscerlo, lasciando una testimonianza per il processo di canonizzazione, ne ricorda l'affetto vero che portò ai malati, anche per quelli a domicilio e per coloro che non potevano permettersi le cure. Padre Enrico c'era sempre.
Uno dei tanti aneddoti: la sera, dopo la preghiera, prima di ritirarsi nella propria camera, passava a visitare gli infermi per vedere se, prima della notte, avessero bisogno di qualcosa.
Gesti di amore e di dedizione che parlavano del suo affetto sincero, per tutti coloro, che si trovavano in quel luogo.
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Piccolo di statura, sereno e sempre con il sorriso sulle labbra, sopportò, con eroismo e fede, il dolore e la sofferenza.
Innamorato del Cristo, filtrato dalla spiritualità di San Camillo, fu un grande devoto della Vergine Maria.
Padre lo fu davvero e per tutti fino a quel 10 maggio 1938 in cui, spirò per raggiungere quel Regno che non aveva mai lasciato, nemmeno al capezzale dei malati che tanto amò.
Papa Giovanni Paolo II il 4 maggio 1997 lo ascrisse al numero dei beati.