Città del Vaticano , martedì, 10. dicembre, 2019 9:00 (ACI Stampa).
Era il cappellano di Solidarnosc, le sue “Messe per la patria e per chi le causa sofferenza” colpivano al cuore, non si è mai nascosto, ma ha sempre proclamato il Vangelo, anche quando farlo significava andare incontro al martirio. E da martire è morto padre Jerzy Popieluszko, il 19 ottobre 1984, all’età di 37 anni, rapito, torturato, ucciso e gettato nella Vistola da tre funzionari del Partito Comunista Polacco.
Trentacinque anni dopo la sua morte, l’Ambasciata Polacca presso la Santa Sede ha organizzato una mostra alla Pontificia Università Urbaniana. Pannelli con fotografie, e didascalie molto dettagliate, che non raccontano solo la vita di padre Popieluszko, ma anche come si viveva in Polonia nei tempi del socialismo. Una vita difficile per i cattolici, e specialmente per i preti, costretti, come padre Popieluszko, ad andare militari, con l’impossibilità di pregare, con il divieto di avere oggetti religiosi, oggetto di scherno perché i comunisti non volevano abolire il sacerdozio, ma volevano sacerdoti fedeli. Ma padre Jerzy fu fedele solo a Cristo, e cercò di non far mai preoccupare la sua famiglia. Tanto che la sua morte fu sorprendente per la famiglia.
“Aspettavamo che tornasse. Non credevamo che fosse morto. Abbiamo scoperto delle angherie che subiva durante il periodo militare solo dopo la sua morte”, racconta ad ACI Stampa Marek Popieluszko.
Marek è il nipote di padre Jerzy, figlio di un fratello più grande. Dopo la morte dello zio, ad un certo punto, è emigrato a Chicago, perché la situazione per la famiglia non era più sicura. I tre assassini dello zio furono arrestati e condannati, ma poi rilasciati a seguito di una amnistia. Il partito ha sempre sostenuto che avevano agito da soli, senza alcun ordine dall’alto. Resta il fatto che padre Popieluszko era scomodo per tutti.
“Era un uomo giusto al posto giusto – racconta Marek Popieluszko – che si è battuto per il suo popolo e che il popolo ha riconosciuto”. Al suo funerale, c’erano 400 mila persone, una folla incredibile per quei tempi, considerando il controllo comunista, l’assenza di social network, la difficoltà a diffondere le notizie. L’impatto dell’assassinio fu però enorme, e fece muovere le persone, che non si curarono nemmeno del coprifuoco imposto dalla legge marziale allora in vigore.