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Guerra in Ucraina, “la Chiesa ha orientato la nazione verso il futuro”

Bohdan Dzyruakh, esarca apostolico per Germania e Scandinavia della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, è stato appena eletto presidente della Commissione Pastorale Sociale del CCEE. In questa intervista delinea le sfide dell’Europa del futuro

Bohdan Dzyurakh | Mons. Bohdan Dzyurakh CSsR, Esarca Apostolico per gli Ucraini di Rito Bizantino in Germania e Scandinavia | Олег Чупа / Wikimedia (GFDL) Bohdan Dzyurakh | Mons. Bohdan Dzyurakh CSsR, Esarca Apostolico per gli Ucraini di Rito Bizantino in Germania e Scandinavia | Олег Чупа / Wikimedia (GFDL)

Come la pace in Europa dipese dalla riconciliazione franco-tedesca dopo la Seconda Guerra Mondiale, così la pace in Europa oggi dipenderà dalla riconciliazione russo-ucraina. Ma è una riconciliazione lontana da venire, che ha bisogno di essere costruita, che ha bisogno anche dell’umiltà di riconoscere verità scomode e della fiducia nella forza dell’amore misericordioso di Dio che ci permette di costruire il futuro degno e armonioso della famiglia europea. L’esarca Bohdan Dzyurakh, che sovrintende ai fedeli greco-cattolici ucraini di Germania e Scandinavia, è stato appena eletto presidente della Commissione Pastorale Sociale del CCEE. In questa intervista con ACI Stampa affronta le radici della guerra in Ucraina, ragiona sulla eredità della storia, mette in luce come la Russia abbia abdicato alle sue radici cristiane. Ma guarda al futuro, con fiducia, indicando nella Chiesa (e in particolare, per l’Ucraina, nella Chiesa Greco Cattolica Ucraina) e negli intellettuali le forze costruttrici di una nuova società, più libera perché fondata sulla verità.

C’è una narrativa, anche occidentale, che mette la Russia in contrapposizione all’Europa. Eppure c’è una radice cristiana comune, un qualcosa che unisce Russia e Occidente… la contrapposizione non rischia di esacerbare il conflitto?

Io direi che l’Occidente, con la solidarietà che ha messo in campo per sostenere il popolo ucraino e la sua lotta per la libertà, ha testimoniato le sue radici cristiane. Valori come la solidarietà, la liberà, la fraternità sono valori cristiani, e sono stati mostrati con forza dall’Occidente, sebbene si dica che il modello occidentale sia un modello secolarizzato.

La Russia, al contrario, con l’aggressione all’Ucraina e il sostegno che vi è stato dato anche in ambito religioso, si è distaccata dalle sue radici cristiane. Ideologie come quella del mondo russo (“russkij mir”), prese di posizione come quelle del Patriarca Kirill sulla guerra, si allontanano dal pensiero cristiano, pongono la Russia in contrapposizione con l’Occidente. È una contrapposizione che nasce proprio dalla perdita di radici cristiane.

Perché la Russia ha così tanto perso le sue radici cristiane?

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Ci sono stati oltre settanta anni di comunismo, di Unione Sovietica, di ateismo di Stato, di persecuzione della religione. E questi settanta anni hanno in qualche modo eroso il senso cristiano del popolo russo, lo hanno sradicato dalla sua mentalità.

Come mai, dopo la caduta del Muro di Berlino, non si è riusciti a superare questa mentalità sovietica così radicata?

L’Occidente ha adottato un altro modello, una formula, specialmente in Germania: quello della trasformazione attraverso il mercato – “Wandel durch Handel”. Si pensava sarebbe bastato coinvolgere la Russia nel sistema economico occidentale perché avessero luogo le riforme democratiche che avrebbero portato alla libertà. Era una illusione, e anche quanti sostenevano questo sistema hanno riconosciuto di essersi sbagliati.

Eppure, i Paesi che erano stati sotto l’orbita sovietica, anche la stessa Ucraina, avevano messo in guardia da questa eccessiva semplificazione. Perché non sono stati ascoltati?

Perché sarebbe stata una via più esigente e anche impegnativa. Si doveva investire di più nello sviluppo, nella trasformazione vera e propria delle società. Ma la trasformazione vera e propria avviene nel cuore degli uomini, non negli attributi di un Paese. Non basta cambiare la bandiera sovietica in bandiera nazionale per essere una società già matura dal punto di vista culturale e spirituale. Noi ucraini abbiamo fatto questo sforzo di trasformazione dei cuori, e non è facile. Non si può rinnovare in un anno ciò che è stato distrutto per settanta anni. Ci vuole un impegno durevole.

E ora la guerra sembra riportare tutto a zero, vi costringerà a ricominciare…

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No, non siamo sul livello zero. La difesa della nostra libertà e della nostra dignità durante questa guerra è, paradossalmente, parte di questo sforzo, di questo nostro esodo dal passato comunista e coloniale. Siamo stati attaccati perché volevamo vivere diversamente dai russi. Ma colpisce notare che, nei territori occupati, gli oppressori stabiliscono subito le organizzazioni comuniste per i bambini e giovani, per esempio. Il che dimostra che sognano un ritorno dell’Unione Sovietica, perché lo ritengono un modello ottimo per la propria gente. È il sogno del ritorno di un fantasma.

Cosa ha salvato l’Ucraina?

In Ucraina abbiamo avuto due autorità non statali ma popolari che ci hanno orientato verso il futuro.

La prima è la Chiesa, e direi soprattutto la Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Questa, infatti, non è stata contaminata dalla collaborazione con il governo sovietico, gode della fiducia della società, e ha strutture proprie ecclesiastiche e anche intellettuali venuti dall’estero per aiutarci. Abbiamo così avuto un appoggio enorme dagli intellettuali in diaspora, una sorta di “trasfusione di sangue” che è mancato alla Russia. La Chiesa Greco Cattolica Ucraina si è impegnata a formare e orientare le coscienze della gente verso un Paese costruito sulla libertà, la giustizia, la dignità umana. Verso un mondo, insomma, che risponda appieno allo sviluppo umano integrale che è l’obiettivo della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica.

Quale era invece l’altra forza?

L’altra forza popolare, e non statale, è stata costituita dai dissidenti. Erano gli intellettuali che, a causa delle loro convinzioni, erano stati esiliati o messi in prigione dal governo comunista. Questi hanno portato nuove idee, idee democratiche nella società ucraina.

Questo non è accaduto in Russia, e pian piano si è scoperto tra di noi un abisso di mentalità e di cultura. I russi amano ripetere di essere un popolo solo con gli ucraini. Non si sono accorti che non siamo mai stati un popolo solo, abbiamo sempre avuto le nostre differenze, ma che ormai le nostre differenze si sono acuite, ci siamo allontanati sempre di più da quelli che sono i loro progetti di vita e dal modo in cui loro pensano sia opportuno svilupparli.

Certo, russi e ucraini sono costretti a vivere come i popoli e paesi vicini, la storia non cambia la geografia. Ma noi ucraini siamo interessati ad avere un vicino che non sia imprevedibile, ma che piuttosto rifletta i valori umani e segua le leggi internazionali. Solo questo ci può aiutare a costruire una società più libera e degna dell’uomo.

Lei diceva che non si cambia la geografia. Il problema di questa guerra è il dopo. Come faranno ucraini e russi a vivere insieme? Ci potrà essere una riconciliazione?

La riconciliazione è una meta che dobbiamo avere nel nostro orizzonte spirituale, e soprattutto nell’orizzonte spirituale di noi credenti. La riconciliazione, alla fine, è una condizione sine qua non per la pace nel nostro continente. Tuttavia, prima che si arrivi alla riconciliazione, ci sono diversi passi da fare. E saranno passi difficili, perché siamo ancora chiamati a resistere all’aggressione, alla violenza da parte dei russi. E saranno passi dolorosi, anche per i russi, perché loro sono chiamati a scoprire la verità dell’aggressione, ed è una verità che sicuramente a loro non piace. Saranno chiamati a prendere una responsabilità, perché è vero che non esiste una responsabilità collettiva, ma c’è comunque una responsabilità. Non si tratta dell’umiliazione, ma dell’umiltà.

Questa è una distinzione molto importante, direi…

Ho sentito, anche nel Forum di Sant’Egidio “Il grido della pace”, opinioni che sostengono che “non si debba umiliare la grande nazione russa”. Mi sembrava una affermazione del genere molto strana, perché non definiva in ciò consisterebbe detta “umiliazione”, e da altra parte si potrebbe chiedere: ma è lecito permettere e tollerare che “una grande nazione” non solo “umilia” le altre nazioni “più piccoli”, ma mette in questione l’esistenza stessa di esse, commettendo dei crimini contro l’umanità che gridano verso cielo e provocano una crisi internazionale che adesso assistiamo? Come continuando i miei pensieri uno dei relatori di quella serata ha posto una giusta domanda: cosa significherebbe quella “umiliazione per il popolo russo”? - si può chiamare l’umiliazione il dire della verità, oppure considerarlo piuttosto un aiuto fraterno al popolo russo di ottenere una libertà vera e ristabilire la propria dignità, entrando in questo modo nella comunità dei popoli europei democratici?”. Aggiungerei, da parte mia, che la più grande umiliazione la nazione russa sta subendo dai propri governanti, dai propri leader politici e spirituali che non sono all’altezza delle esigenze vere del popolo, alle esigenze che permettessero uno sviluppo armonico e la convivenza pacifica con il mondo della civiltà moderna europea.

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Quale è il ruolo dell’Occidente oggi?

La propaganda russa cerca di denigrare la civiltà occidentale come corrotta e decadente. Eppure, con tutte le sue debolezze e suoi limiti, questa civiltà occidentale potrebbe fornire un aiuto vitale al popolo russo, che si mostra povero sia sul livello materiale come e soprattutto sul livello spirituale. Non si può di certo chiamare sani un popolo o una società che sostengono la guerra aggressiva contro i vicini e approvano i crimini orribili dei suoi governanti e concittadini.

Sarà dunque necessario di affrontare la verità sui crimini commessi e prenderne la piena responsabilità. Ma ho i dubbi seri se ci sono le autorità morali dentro del popolo russo capaci di accompagnarlo in questo pellegrinaggio difficile ed esigente.

E in Ucraina?

Mi sembra che ci siano sia le persone che anche le organizzazioni dentro della società civile ucraina capaci di fornire servizio morale al popolo in questo tempo della prova storica. Le Chiese godono del credito di una fiducia stabile negli ultimi decenni, i rappresentanti del mondo di cultura e dei volontari uniscono intorno a sé milioni delle persone, che, ognuno secondo le proprie possibilità, contribuiscono alla difesa del paese e portano aiuto ai sofferenti.

Noi abbiamo avuto un pastore grande nella personalità di compianto Cardinale Lubomyr Husar, che godeva un’autorità morale notevole presso la gran parte della società ucraina. Proprio lui,  predecessore di Sua Beatitudine Shevchuk, fu tra i primi rappresentanti delle Chiese ucraine a scendere nelle proteste di piazza Maidan ad appoggiare le persone e orientarli spiritualmente e moralmente. E accanto a lui c’erano questi dissidenti, persone con grande autorità morale.

Si potrebbe insomma dire, che negli ultimi 30 anni si è formata in Ucraina una società civile dinamica e vivace. La Russia non ha tutto questo. Per ciò sarà necessario l’aiuto “esterno”: quello divino e quello umano.

Quale è la sua visione del conflitto in corso?

Quando è scoppiata la guerra nel 2014 mi sentivo molto turbato e preoccupato. Mi chiedevo ogni giorno il perché di questa crudeltà, di questa sofferenza. Era anche molto opprimente di seguire quei fiumi dell’odio e dell’intolleranza che si diffondeva ogni giorno nei canali televisivi russi, che sono diventati e lo rimangono finora lo strumento della propaganda bellica.

In un certo momento mi sono venute alla mente due immagini con cui la Sacra Scrittura parla di Satana. Prima di tutto, Satana è chiamato “menzognero e padre della menzogna”. E la menzogna, che capovolge la realtà e avvelena delle coscienze umane, è la propaganda. Quindi, Satana è chiamato anche “omicida fin da principio” cioè colui che distrugge e uccide, mentre Dio crea e dà la vita.

Per me è stato ovvio che oscure forze maligne stanno dentro di questa aggressione russa e ad essi si deve contrapporre una arma spirituale: la preghiera, la penitenza, la carità.

Proprio questo era il messaggio profetico di Madonna di Fatima che finora non si è ancora compiuto, tra l’altro, secondo me, perché sia dentro della Chiesa come anche dentro delle società civili europee mancava e talvolta manca ancora oggi il coraggio di affrontare la questione dei crimini del regime comunista nel nostro continente. Se non facciamo un serio esame di coscienza su quel periodo sanguinoso della storia europea del XX secolo, l’Europa non ritroverà né la sua armonia né la sua pace duratura.

Cosa ci vorrà per la pace in Europa?

Come ho appena detto: ci vuole uno sforzo spirituale, intellettuale e morale di tutti gli europei. Sul livello sociopolitico abbiamo bisogno più che mai delle guide saggi, animati dal pensiero cristiano, capaci di dire le parole della verità e di agire secondo la verità, nella giustizia e nella piena responsabilità delle esigenze odierne.

Le Chiese cristiane invece sono chiamate dalla loro natura stessa di essere “un ospedale da campo”, un luogo cioè dove l’umanità ferita dai conflitti, dalle ingiustizie e dalle violenze troverà sollievo, guarigione e fiducia per costruire il futuro con una speranza rinnovata.

Alla fine, resterà per tutti noi un compito non facile ma liberatore – quello di una riconciliazione tra i popoli in conflitto. Mi associo alla tesi dello storico e teologo francese Antoine Arjakovsky, il quale nel suo libro sulla guerra russa contro l’Ucraina apparso 2015 sosteneva, che così come la pace in Europa del XX-o secolo dipendeva dalla riconciliazione tra Germania e Francia, cosi la pace nell’Europa del XXI-o secolo dipenderà della riconciliazione tra Russia e Ucraina. Verso questo obbiettivo dobbiamo mirare, per questo obbiettivo dobbiamo pregare.