Roma , lunedì, 26. aprile, 2021 10:00 (ACI Stampa).
I martiri del genocidio armeno “ci hanno ricordato che il martirio non è un fenomeno marginale nel cristianesimo, ma è il fulcro stesso della Chiesa”. Perché “il martirio è una caratteristica essenziale del cristianesimo, motivo per cui non può esserci cristianesimo esente dal martirio”. Il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, non ha paura di utilizzare il termine “genocidio” per riferirsi al massacro degli armeni nel 1915, e non ha paura di collegare questo termine a quella che è “la prima nazione cristiana”. E lo dice senza mezze misure, durante la preghiera per i Martiri del Genocidio Armeno organizzata dal Pontificio Consiglio da lui guidato insieme alla Rappresentanza della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede.
Gli armeni lo chiamano il “Metz Yegern”, il grande male. È il “genocidio armeno” – anche se c’è chi non lo riconosce come tale – ovvero lo sterminio della popolazione armena nel 1915, ad opera dell’Impero Ottomano. Si ricorda il 24 aprile di ogni anno, e per il 106esimo anniversario ci sono stati due eventi particolarmente significativi: una “Preghiera per i santi martiri del genocidio armeno”, tenuta nella chiesa di San Bartolomeo all’Isola, a Roma, il 25 aprile, durante la quale il Cardinale Koch ha tenuto una omelia di grande significato; e una Divina Liturgia, nel Pontificio Collegio Armeno, cui ha assistito il Cardinale Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.
La preghiera a San Bartolomeo all’Isola si carica anche di vari significati politici. Alla vigilia dell’anniversario del genocidio armeno, il presidente azero Aliyev ha reiterato le minacce di un uso della forza contro l’Armenia per quanto riguarda l’apertura del cosiddetto “corridoio di Zangezur”. Ma le minacce sono lo strascico del conflitto in Nagorno Karabakh, delle chiese scomparse dopo l’ultima escalation “calda” del conflitto e di quelle perdute nel corso di un secolo. È, per l’Armenia, una situazione complessa, tanto che è stato persino associato il genocidio del 1915 con un “genocidio culturale” che starebbe avvenendo in Nagorno Karabakh.
La presenza dei due ambasciatori di Armenia presso la Santa Sede e presso l’Italia (Garen Nazarian e Tsovinar Hambardzumyan), che hanno partecipato all’organizzazione, ha testimoniato come la memoria del Metz Yegern non sia solo questione ecclesiastica, ma anche diplomatica. Parlando del genocidio, gli ambasciatori hanno detto che “il perpetratore di quel crimine, la Turchia, continua anno dopo anno a negarlo”, e reiterato che “la Turchia sostiene, con tutti i mezzi possibili, l’Azerbaijan, che oggi sta apertamente minacciando il territorio sovrano della Repubblica di Armenia, nel compimento delle stesse azioni genocidarie sulla regione, compresi la profanazione e il ladrocinio del patrimonio culturale e spirituale della nazione che per prima ha abbracciato il cristianesimo come religione di Stato”.
Sono i temi sullo sfondo di una celebrazione che ha un significato ancora più particolare, per una nazione che si sta riprendendo ancora da un conflitto che sembra averne messo ulteriormente a rischio il patrimonio storico cristiano.