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Flannery O’Connor davanti al Mistero e alla Grazia

Un ritratto della scrittrice a cento anni dalla sua nascita

Flannery O’Connor | Flannery O’Connor | Credit CL Flannery O’Connor | Flannery O’Connor | Credit CL

L’orizzonte è quello affuocato degli Stati del Sud, quello dei sentieri polverosi e delle grandi ville con la bouganville gonfia di fiori, quella che ancora guarda di traverso gli yankee chiassosi e ricchi, un mondo che sembra immobile e che invece pullula di vita, spesso violenta, urlante di dolore, persino spietata, ma che guarda verso il cielo. E’ l’orizzonte dei racconti e dei romanzi di Flannery O’Connor,  una delle migliori scrittrici americane del Dopoguerra. Nasce il 25 marzo 1925 a Savannah, in Georgia, da una famiglia cattolica di origini irlandesi e muore a soli 39 anni, a causa del lupus eritematoso, malattia degenerativa ereditata dal padre. Lascia due romanzi (La saggezza nel sangueIl cielo è dei violenti) e diversi racconti pubblicati in due raccolte che possono essere davvero considerati perfetti, nella forma di scrittura e nel mettere in scena personaggi, descrizioni, soprattutto folgorazioni. Folgorazioni come quella del momento in cui la realtà si spalanca al mistero, che irrompe inatteso e imprevedibile, implacabilmente incalzante.  Chi legge non riesce a capire, fino all’ultimo, come andrà  la storia.

"La mente che sa capire la buona narrativa non è di necessità quella istruita, ma la mente sempre disposta ad approfondire il proprio senso del mistero attraverso il contatto con la realtà, e il proprio senso della realtà attraverso il contatto del mistero", scrive nel saggio Natura e scopo della narrativa. In cui, una volta di più, si conferma la natura  ironica e insieme tragica  della sua scrittura. senza alcuna ombra di moralismo. Per lei, l’uomo si trova sempre dinanzi  all’eterna scelta  se accettare o rifiutare l’incontro con la possibilità che il senso ultimo della vita si sveli. Che per la O’Connor è l’avvenimento dell’Incarnazione

In una lettera che la O’Connor inviò a una sconosciuta  signora di Atlanta che le aveva scritto, nel luglio 1955, ci sono, in sintesi, temi, idee convinzioni, suggestioni che, come correnti sotterranee, pervadono la scrittura dell’autrice e delineano un atteggiamento realmente, profondamente controcorrente: 

“Scrivo come scrivo perché sono cattolica e non sebbene sia cattolica; questo è un fatto che niente potrà mai oscurare così come niente potrà mai oscurare un’affermazione così schietta. Tuttavia, sono una cattolica particolarmente posseduta dalla coscienza moderna che Jung descrive come astorica, solitaria e colpevole; possedere tale coscienza all’interno della Chiesa è un po’ come portare un peso, il peso necessario per il cattolico consapevole; è, cioè, avere un sentimento della situazione contemporanea al suo ultimo stadio”. 

Proprio a questo punto vale la pena di aprire una riflessione che ci porti su un campo diverso. Non si discute la potenza e l’originalità della scrittrice, anche che si tratta di una lettura facile, né tantomeno consolatoria, o edificante, intenti del tutto estranei all’autrice. Ma qui il punto è un altro, qui c’è una visione chiara, anzi si potrebbe dire chiaroveggente, sul futuro prossimo venturo, quello che stiamo vivendo oggi: “ Io credo che la Chiesa sia l’unica cosa capace di rendere sopportabile il mondo cattivo verso cui ci stiamo dirigendo e che l’unica cosa che renda sopportabile la Chiesa è il fatto che essa sia, in un certo modo, il corpo di Cristo di cui noi tutti ci nutriamo. Sembra inevitabile il fatto che si abbia da soffrire tanto a causa della Chiesa quanto per essa, ma se si crede nella divinità di Cristo si deve cercare di aver caro il mondo nello stesso tempo in cui si lotta per sopportarlo. Questo spiega la mancanza di amarezza nelle mie storie”. Si lamenta poi del fatto che ogni volta che vengono recensiti suoi racconti si parla di  storie brutali e sarcastiche: “Le storie sono forti, è vero, ma sono forti perché non c’è niente di più forte o meno sentimentale del realismo cristiano”, dichiara. 

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La O’Connor, poi, commentando un articolo apparso su una rivista, si dice convinta che “il senso morale è stato geneticamente estirpato da certe categorie di popolazione così come geneticamente sono state fatte nascere galline senza ali per ricavarne più carne. La nostra è una generazione di galline senza ali che suppongo sia stato quello che Nietzsche intendeva dire quando disse che Dio era morto”.

Un ritratto realistico che ben si attaglia ai nostri tempi di galline senza ali. Ma lei stessa direbbe che non bisogna abbandonarsi alla disperazione o al pessimismo cosmico. E bisogna proprio cominciare da lei, da leggere o rileggere, da riscoprire. Per esempio seguendo la rassegna di convegni e film organizzata dal Centro Culturale di Milano dal 2 aprile al 5 maggio, “Flannery O’Connor. Il cielo e la polvere. Il mistero e la grazia”  a cura di Benedetta Centovalli dal titolo  E leggere il romanzo-biografia “La ragazza di Savannah”, scritto da Romana Petri, appena pubblicato dalla Mondadori.

Flannery O’Connor, Il geranio e altri racconti, Minimun Fax editore, pp.234, euro 17