Comunque, ci si trova con un attivo di 52,2 milioni, con una crescita di 31,4 milioni del 2021.
Gli immobili
L’APSA possiede e gestisce diversi immobili. Sono 4.072 in Italia, che coprono una superficie commerciale di circa 1,47 milioni di metri quadri. Di queste unità, 2.734 sono dell’APSA e 1.338 di altri enti. Tra le unità dell’APSA, 1.389 sono ad uso residenziale, 375 ad uso commerciale 717 sono pertinenze e 253 sono quelle a redditività ridotta. Quanto al tipo di reddito che se ne ricava, 1887 unità sono sul libero mercato, 1.208 a canone agevolato e 977 a canone nullo. Per l’anno d'imposta 2022, l’APSA ha versato all’erario italiano 6,05 milioni di euro per l’IMU e 2,91 milioni di per l’IRES.
Il 92 per cento degli immobili in Italia sono nella provincia di Roma, il 2 per cento nelle province di Viterbo, Rieti e Frosinone, il 2 per cento a Padova (la Basilica del Santo), il 2 per cento ad Assisi e poi un 2 per cento distribuito in altre 25 province italiane. A Roma, la maggior parte degli immobili si trovano vicino lo Stato di Città del Vaticano, il 64 per cento delle superfici si trova nei rioni centrali, il 19 per cento nei quartieri limitrofi e il 17 per cento nei quartieri periferici.
Un dato da notare è che le spese di gestione sono passate da 10 milioni a 13 milioni, su cui pesano probabilmente anche alcune consulenze.
Le nunziature
Interessante il dato che riguarda le nunziature. In effetti, uno dei primi compiti che si diede Pio XI con il denaro arrivato con la Conciliazione fu di costruire lo Stato di Città del Vaticano, ma anche di mettere a posto le nunziature, che erano ormai decadenti. La politica della Santa Sede è stata poi quella di acquistare immobili nelle località dove ci sono nunziature, con spese di gestione alte, ma con la sicurezza di dare al nunzio una casa sicura. I dati, si spiega nel bilancio, sono difficili da incrociare, perché sono in varie lingue, e con contratti diversi a seconda del Paese. Rientrano nella gestione APSA, però, 37 nunziature in Europa, 34 in Asia, 51 in Africa, 5 in America Settentrionale, 46 in America Meridionale e 3 in Oceania.
Il contributo alla Curia
Lo scorso anno, l’APSA ha contribuito al fabbisogno della Curia romana con 32,7 milioni di euro. Il contributo non è una novità. Anzi, fino al dicembre 2020 l’APSA determinava la quota di utili da destinare alla Curia sommando i risultati di tre segmenti di gestione, che davano un apporto minimo garantito di 20 milioni e poi un 30 per cento in più dell’eventuale residuo positivo. Il dato testimonia che da sempre il “bilancio di missione” della Curia romana viene aiutato da contributi degli utili degli altri dicasteri, e in effetti quando veniva pubblicato il bilancio del Governatorato si notava che gli utili dello Stato aiutavano a mettere in pareggio il bilancio della Curia. Al bilancio della Curia ha sempre contribuito anche lo IOR, anche se i 50 milioni di contributo del 2012 sono ormai un lontano ricordo, considerando anche la fluttuazione degli utili che non sono mai tornati ai livelli precedenti.
Anche per questo, probabilmente, nel 2022 l’APSA ha erogato un contributo alla Curia magiore rispetto a quello calcolato secondo la metodologia degli esercizi precedenti, e – si leggen nel bilancio – “il contributo erogato relativamente al bilancio chiuso al 31 dicembre 2022, oltre alla applicazione del consueto metodo di calcolo sopra esposto, è stato determinato aggiungendo una quota ulteriore, di carattere straordinario, per oltre 8,5 milioni di euro”.
La storia e gli obiettivi dell’APSA
Le cifre, ovviamente, aiutano. Ma quello che è davvero interessante del rapporto è il modo in cui viene delineata la storia dell’amministrazione, e soprattutto la caratteristica degli investimenti. “Dal momento che – si legge nel rapporto - come si è detto, gli immobili in prossimità del Vaticano rappresentavano – e rappresentano ancora oggi – una parte bloccata del patrimonio della Santa Sede, da subito, l’obiettivo di consolidare il patrimonio venne affidato agli investimenti immobiliari in Italia e all’estero”.
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Si trattava di “una scelta naturale”, che si accompagnava alla “prudenza come principale criterio nelle operazioni in campo finanziario”, perché “se da una parte, infatti, il mattone permetteva una minore esposizione alle fluttuazioni dei cambi; dall’altra, la diversificazione geografica degli investimenti consentiva di ridurre i rischi legati alla concentrazione in un unico Paese”.
È un tema chiave, nel dibattito attuale, che riguarda anche l’attuale processo in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Parte del dibattito riguarda appunto la non prudenza della Segreteria di Stato nell’investire in Paesi stranieri, diversificando gli investimenti, ma la storia dell’APSA dimostra che quello è sempre stato il criterio.
Il rapporto ripercorre la storia della costituzione dell’APSA, delle due sezioni “straordinaria” e “ordinaria”, della sua riforma che la portò a perdere alcune competenze in favore della Segreteria dell’Economia e del successivo riaggiustamento, e il fatto che oggi l’APSA sia chiamata ad amministrare con l’obiettivo non del profitto, ma della “conservazione e consolidamento del patrimonio ricevuto in dote”.
Gli investimenti dell’APSA all’estero
Altro dato interessante riguarda gli investimenti all’estero. Nel caso del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, si contesta l’investimento su un palazzo di lusso a Londra, sostenendo che questo avrebbe causato perdite ingenti. Ma le perdite sono dell’investimento o della gestione? E davvero è quella una procedura così inusuale?
Il primo bilancio dell’APSA mise in luce un investimento del tutto simile per un immobile in zona Arc de Triomphe a Parigi, un dato che testimoniava che la prassi di investire, ristrutturare e rivendere era parte della normale procedura amministrativa.