È una crisi della speranza, eppure “nonostante le difficoltà di ogni periodo storico, ci sono opportunità e luoghi di intersezione di diversi ambienti culturali che consentono l'incontro e il dialogo, soprattutto tra i leader religiosi che sono i primi ad essere chiamati a guardare oltre le agende politiche e di altro genere, pur rimanendo in contatto con i mali di questo mondo”.
La Slovenia, in questo senso, è un luogo ideale, perché si trova “nel cuore dell’Europa, tra le alpi, il Mediterraneo e il bacino pannonico (ungherese)”, e così può fungere “da ponte tra il mondo slavo, germanico e romantico”.
I partecipanti al Forum notano che “in circostanze instabili, la fede in Dio, che non viene meno alle sue promesse (cfr 2 Cor 1,18), può essere un sostegno per perseverare nel bene nell'ambito interpersonale, sociale e spirituale”.
I punti della dichiarazione sottolineano che il dialogo parte “dell’essere radicati ina un tradizione spirituale”, che “dà ai cristiani e membri di altre religioni un senso di significato” e la responsabilità di impegnarsi nello sviluppo umano integrale”.
In questo, particolarmente importante è il dialogo “che promuova l’esercizio della libertà religiosa e rafforzi la cura sostenibile delle risorse naturali e dello sviluppo economico”.
I partecipanti ricordano che “il raggiungimento della giustizia negli aspetti ecologici ed economici contribuisce in modo decisivo al lavoro per la diffusione della pace nei Balcani occidentali oggi e in futuro”, e mettono in luce la necessità “nei Balcani occidentali” e in tutti i Paesi di “riconoscere il diritto all’esistenza di tutte le comunità religiose”, mentre “le autorità statali devono essere invitate a rispettarne la libertà in favore della pace e del dialogo”.
I delegati sottolineano anche che “l'estremismo, il terrorismo e tutte le altre forme di violenza e di guerra non hanno nulla a che fare con l'autentica religione e devono essere respinti sia nella società sia a livello delle stesse comunità religiose”; rimarcano il problema dell’inverno demografico; chiede una riflessione delle azioni passate da parte dei decisori politici.
Quindi, affermano che “è estremamente importante incontrare regolarmente e trovare soluzioni comuni tra le diverse comunità religiose nei Balcani, dove, per la loro influenza storica e attuale, le Chiese cattolica e ortodossa e la comunità islamica hanno una responsabilità speciale”.
E concludono: “Non ci può essere incontro sincero e dialogo fecondo senza la preghiera e la fiducia nel Creatore, che è padrone della storia e compie ciò che l'uomo da solo non può fare. Solo una fede rafforzata in Dio e una valutazione sincera delle proprie azioni finora, che sono segnate dalla debolezza umana, aiutano a raggiungere la pace e la prosperità nella sfera interpersonale, sociale e spirituale”.
Sono temi che possono fungere da piattaforma anche per un dialogo ecumenico europeo che è in corso, e che punta a ridefinire proprio la Charta Oecumenica nel prossimo Simposio Ecumenico Europeo che si terrà nel 2026.
Sono temi attuali in quello che il Cardinale Parolin ha descritto come un mondo “diviso da numerosi conflitti”, nel quale è “di fondamentale importanza riflettere sul dialogo”, specie in una regione che ha mostrato in molti modi la possibilità di una coesistenza pacifica tra culture, gruppi etnici e religioni diverse, perché “le cattedrali cattoliche e ortodosse, le moschee e le sinagoghe mostrano che le differenze siano una fonte di ricchezza”.
Eppure, sottolinea Parolin, proprio quanto accaduto nei Balcani (la guerra degli Anni Novanta è ancora fresca nella memoria) mostra “quanto poco sia sufficiente per distruggere la società”.
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Il cardinale Parolin ha sottolineato anche l’importanza del dialogo, sia di quello interreligioso, definito da Papa Francesco come un obbligo per i credenti, sia quello ecumenico, che è occasione per un incontro, per un ponte.
La Santa Sede, sin dall’inizio, ha avuto una posizione chiara nei Balcani, che è la difesa della sovranità popolare. E oggi punta ad una integrazione europea della regione, definita dal Cardinale Parolin come una “buona opportunità per promuovere riforme strutturali”.
Diversi gli interventi degni di nota. Tra questi, quello del Cardinale Vinko Puljic, arcivescovo emerito di Sarajevo, uno degli ultimi cardinali creati da Giovanni Paolo II. Minoranza cattolica in un Paese a maggioranza musulmano, lì dove il conflitto etnico rischia sempre di assumere connotazioni religiose, il Cardinale Puljic non ha mancato, nel corso degli anni, di denunciare “l’esodo nascosto” dei cristiani di Bosnia.
Nel suo intervento sui principi per il dialogo interreligioso, il Cardinale Puljic ha spiegato che “il dialogo richiede almeno due parti” e che sono capaci di dialogo “le persone che hanno una posizione chiara e sono capaci di dialogo”.
E nel dialogo ci si deve ascoltare, cercare atteggiamenti che rimuovono pregiudizi, sbarazzarsi della ideologia politica, avere il coraggio di ammettere la verità, perché “ogni parte deve trovare la forza di spazzare via il proprio cortile, ma non di gettare la spazzatura nei cortili di altre persone”.
Puljic ha anche sottolineato che “Nessun crimine può essere difeso, soprattutto non in nome di Dio. Il crimine non cura il crimine. Chi commette un crimine in nome di Dio è il più grande crimine contro Dio”, e che “il dialogo non ha alternative per una vita pacifica. L'alternativa è il conflitto, l'odio, l'intolleranza”.