Sono due gli anniversari che si festeggiano. I 70 anni dalla promulgazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ma anche i 25 anni dalla Dichiarazione di Vienna sui diritti umani, risultato di una conferenza che si tenne nella capitale austriaca nel 1993 che un po’ ha marcato il momento in cui i diritti umani sono diventati più individuali, anche nell’agenda ONU.
Il Cardinale Parolin ha sottolineato che l’azione diplomatica della Santa Sede “ha sempre riferimento e considerazione” per i diritti dell’uomo, perché proprio i diritti umani hanno bisogno di “valori certi e fondamenti condivisi” per non essere soggetti semplicemente a procedure interne”.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – ha scritto il capo della diplomazia vaticana – è considerata dalla diplomazia pontificia come “strumento di convergenza di tradizioni giuridiche diverse”, con una “proclamazione di diritti che unisce la dimensione storica e trascendente, perché fonda i diritti sulla dignità umana”. Per questo, come disse San Giovanni Paolo II, la “Dichiarazione Universale è uno strumento per misurare il progresso dell’umanità”.
Il Cardinale Parolin ha poi rimarcato che, per sua stessa struttura, la “Dichiarazione non può essere ridotta a un catalogo di diritti”, perché “solo ancorando i diritti alla dimensione antropologica” si possono riconoscere le aspirazioni delle persone per la giustizia e della pace, dato che si tratta di diritti “non legati ad epoche storiche”, ma universali.
La domanda è se tutto questo sia valido ancora, perché – ha sottolineato il segretario di Stato vaticano – “la profonda crisi di valori che investe la persona umana” tocca “fondamento e contenuti della dichiarazione universale”, fino a ignorare “l’automatismo tra valori e diritti”, che fa dei diritti “solo un artifizio tecnico”, un sistema di regole superiori, più che un qualcosa di universale.
E si arriva così al paradosso, denunciato dal Segretario di Stato vaticano, che lo scorso 30 ottobre “nel quadro degli organi ONU in materia dei diritti umani, si è smesso di considerare la vita umana come un valore”, considerandola invece un mero diritto nel momento in cui, in uno dei commenti generali, il Comitato dei Diritti dell’Uomo, interpretando il diritto alla vita previsto dall'articolo 6 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, ha fatto rientrare tra i diritti “il diritto all’aborto e il diritto all’eutanasia”, fatto che “indebolisce tutto il sistema di protezione dei diritti umani affermando la prevalenza della tecnica giuridica sui valori”.
Il Cardinale Parolin ha denunciato che è così che i diritti umani “perdono la loro fonte nella dignità umana per derivare dalla legge e dalle procedure interpretative”, e questo è un elemento che si moltiplica sempre più, secondo un processo che è iniziato proprio nel 1993 a Vienna, quando, caduto il muro di Berlino, “non c’erano più diverse visioni degli Stati, quanto piuttosto una diversa concezione” sull’origine dei diritti.
Il lavoro della diplomazia pontificia fu allora quello contrastare il people centered approach (l’approccio centrato sulle persone) che si diffondeva già dagli Anni Ottanta negli uffici ONU, e che la Santa Sede poi contrastò a Vienna, con un cosiddetto statement of interpretation, una interpretazione in cui si metteva in luce la criticità della “clausola culturale” del paragrafo 5 della dichiarazione di Vienna, perché in quel paragrafo si indicava che si doveva tenere in considerazione “il significato delle particolarità regionali e i vari background storici, culturali e religiosi” , cosa che minava un po’ la questione dell’universalità dei diritti.
Cosa può fare allora la diplomazia?
Il Cardinale Parolin ha messo in luce che “la diplomazia avrà fallito nel suo ruolo se affronta il tema dei diritti rincorrendo l’alternarsi di visione politica, dimenticando che è nella sua natura la capacità di distinguere”, perché questo porta anche a violenza, ingiustizia, e ad una “intolleranza religiosa che fa nuovi martiri per la fede”.
La diplomazia non è dunque chiamata solo a fare generica prevenzione, ma attivare “forme di giustizia preventiva”, con “audacia creativa”.
Il Cardinale ha fatto tre proposte. La prima è quella di sviluppare “una coesione preventiva tra quanti hanno la responsabilità di operare in materia di diritti, pur se manifestano contrastanti opinioni”, lavorando “per annullare visioni contrapposte”, unendo “ a partire dall’ascolto di tutte le posizioni”, perché tante volte “le posizioni non omologate a interessi, ideologia, moda “ non sono considerate” e gli stakeholders sono spesso esclusi dal tavolo delle consultazioni.
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La seconda proposta è quella di formulare valori condivisi, recuperando lo spirito della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo “non limitandoci a delineare uno scenario egoistico”, considerando che nel 1948 le violazioni erano materiali, e oggi riguardano i valori.
E la terza proposta è quella del dialogo a tutti livelli, perché c’è stata “una cesura netta tra il modo attuale e precedente di intendere i diritti umani”, e dunque c’è bisogno di riscriverli per “riportare al centro i valori”. E per questo, ci vogliono proposte, che la Santa Sede possa portare negli incontri multilaterali.
Da qui, l’idea del Cardinale Parolin di una grande consultazione che coinvolga tutta la Chiesa, considerando che l’interrogativo “Uomo, chi sei?” è diventato “Uomo, di quale diritto vuoi disporre?”