Guardando più a fondo nei dati, si contano 2 sacerdoti uccisi in Messico, 1 in El Salvador e 1 in Colombia, dove la Chiesa è stata impegnata in un processo di pace ancora in corso; in Africa, le nazioni colpite sono il Malawi e la Repubblica Centrafricana. In Europa, l’assassinio è successo in Germania. L’Asia è stata colpita in India, dove si spera in un viaggio del Papa, ma si deve anche affrontare lo scoglio durissimo delle leggi anti-conversione.
Fino ad ora, la media è di un sacerdote ucciso ogni 12 giorni. Forse Papa Francesco, nel suo urbi et orbi, guarderà anche a questa triste statistica, lamentando ancora una volta che i cristiani sono oggi la religione più perseguitata al mondo.
La Santa Sede alle Nazioni Unite
Terminata la settimana di negoziati sui global compacts sulle migrazioni – se ne discuterà una settimana al mese per i prossimi sei mesi – l’attività multilaterale della Santa Sede rallenta un po’ in vista della Pasqua. L’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la Missione ONU di New Yorks, ha tenuto in questa settimana un solo intervento su “Azioni Collettive per migliorare le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite”.
L’intervento è avvenuto lo scorso 28 marzo, durante una “Discussione Aperta” del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
La Santa Sede ha espresso apprezzamento per il contributo dato dalle operazioni di mantenimento della pace (peacekeeping) nel prevenire e risolvere i conflitti armati nel mondo.
Allo stesso tempo, la Santa Sede ha notato che è il momento di cercare nuovi modi di fare queste operazioni più robuste, coerenti e globali. È essenziale – ha detto l’arcivescovo Auza – continuare a proteggere i civili e le infrastrutture civili, ma è anche molto importante che le operazioni permettano ai migranti forzati di tornare in sicurezza e con dignità nelle loro case. Questo lavoro deve essere fatta attraverso una cooperazione tra le agenzie delle Nazioni Unite e le controparti impegnate in azioni umanitarie.
Il tema probabilmente entrerà anche nei negoziati sul Global Compact per i rifugiati, perché da sempre la Santa Sede si batte per un diritto al ritorno, e ancora prima ad un diritto per i migranti di rimanere dove sono e non essere forzati a lasciare le loro case.
Tornando al tema delle operazioni di peacekeeping, la Santa Sede dice che queste deve essere fatte “in consultazioni con governi e popolazioni” direttamente colpite dalla crisi, non dimenticando che ogni operazione deve essere “disegnata a seconda dello specifico conflitto”, mentre le nazioni ospiti devono essere coinvolte dai funzionari delle missioni perché aiutino a comprendere la cultura del luogo e le sensibilità religiose delle popolazioni che vengono protette. In pratica, la Santa Sede chiede che nessuna operazione venga calata dall’alto, ma che coinvolga davvero tutti i fattori in gioco.
La Santa Sede ha anche notato i “seri sforzi” fatti dalla comunità internazionale per “prevenire gli abusi sessuali contro donne e bambini da parte di personale coinvolto nelle operazioni di peacekeeping”, una triste realtà che purtroppo si è verificata. Infine, l’arcivescovo Auza ha chiesto anche che gli operatori del peacekeeping siano adeguatamente protetti dalle possibili aggressioni, anche con un equipaggiamento adeguato.
Dalle nunziature
Lo scorso 26 marzo, l’arcivescovo Alessandro D’Errico ha presentato le sue lettere credenziali al governo di accordo nazionale di Tripoli, in Libia. La presentazione delle credenziali del nunzio è avvenuto insieme a quello degli ambasciatori in Libia di Ruanda, Norvegia, Bangladesh, Canada, Corea del Sud e Pakistan.
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L’arcivescovo D’Errico è stato nominato nunzio apostolico in Libia il 10 giugno 2017, dopo che era stato nominato nunzio apostolico a Malta il 27 aprile 2017. Dal 1995, l’ambasciatore del Papa in Libia risiede a Malta, anche per la particolare situazione delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il governo libico.
Le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Libia sono state instaurate il 10 marzo 1997 con il breve Ad firmiores reddendas di San Giovanni Paolo II. Quando non c’erano piene relazioni diplomatiche, gli interessi della Santa Sede in Libia erano garantiti dal delegato apostolico con sede ad Algeri.
Il 29 marzo, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Julio Murat nunzio apostolico in Guinea Equatoriale.
Classe 1961, di origine turca, l’arcivescovo Murat è stato ordinato sacerdote da San Giovanni Paolo II nel 1986. Entrato nel 1994 al servizio diplomatico della Santa Sede, ha lavorato nelle nunziature di Indonesia, Pakistan, Bielorussia e Austria ed ha servito nella seconda sezione della Segreteria di Stato dal gennaio 2003 fino al 2012, quando è stato nominato da Benedetto XVI nunzio apostolico in Zambia, e poi successivamente accreditato anche in Malawi.
Il 24 marzo 2018, è stato nominato nunzio apostolico in Camerun, cui ha aggiunto lo scorso 29 marzo l’incarico di nunzio apostolico in Guinea Equatoriale.
La Santa Sede e il Venezuela