La realizzazione del progetto è stata approvata nel 2001, e nel 2002 la licenza edilizia. Il 14 gennaio 2001, alla presenza dei Ministri degli Esteri italiano e russo, Igor Ivanov e Lamberto Dini, si è svolta la cerimonia della posa della prima pietra, benedetta dall’arcivescovo di Korsun’ Innokentij.
Il 19 maggio 2006 ha avuto luogo la consacrazione della chiesa minore, nel dicembre 2007 vi è stata la consacrazione della cripta, dedicata ai santi Costantino ed Elena. Il 23 maggio 2009 è avvenuta la cerimonia di inaugurazione della chiesa maggiore. È quest’ultimo anniversario che viene celebrato.
FOCUS USA
Il Segretario di Stato USA Blinken da Papa Francesco
Il 27 novembre, il Segretario di Stato USA Antony J. Blinken, in Italia per partecipare al G7 dei Ministri degli Esteri di Anagni e Fiuggi, ha avuto una udienza personale con Papa Francesco, e successivamente un bilaterale con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i rapporti con gli Stati.
Nell’agenda dell’incontro venivano citati “pressanti preoccupazioni internazionali, inclusa la questione mediorientale, e l’aggressione della Russia contro l’Ucraina”.
In una dichiarazione successiva all’udienzam Matthew Miller, portavoce del Segretario di Stato USA, ha sottolineato che Blinken “ha discusso una quantità di priorità globali con il Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Pietro Parolin, e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher”.
In particolare, nell’incontro si è parlato del “cessate il fuoco recentemente annunciato tra Israele e il Libano e l’opportunità di lavorare a partire dal cessate il fuoco per far diminuire le tensioni e terminare i conflitti nella regione”.
Inoltre, Blinken e le controparti della Santa Sede “hanno riaffermato un impegno condiviso nel rispondere agli orrendi impatti sui civili ucraini mentre l’Ucraina si difende dall’aggressione russa”. I due hanno anche condannato “la continua repressione politica in Nicaragua e Venezuela”.
Blinken ha anche “lodato l’impegno del Papa ad avanzare i diritti di base e la dignità delle persone LGBTQI”.
Infine. “l’incontro ha sottolineato la stretta partnership tra gli Stati Uniti e la Santa Sede nell’affrontare questioni urgenti e promuovere la dignità umana”.
FOCUS AMERICA LATINA
Papa Francesco riceve il vice presidente di Bolivia
Il 29 novembre Papa Francesco ha ricevuto in Udienza David Choquehuanca Céspedes, Vice-Presidente dello Stato Plurinazionale della Bolivia. Dopo il faccia a faccia con il Papa, Choquehuanca ha avuto un bilaterale con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati.
Un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede sottolinea che “nel corso dei cordiali colloqui in Segreteria di Stato, sono state rilevate le buone relazioni tra la Santa Sede, la Bolivia e la Chiesa locale, e ci si è soffermati sul contributo di quest’ultima alla società boliviana”. Si è poi parlato di alcuni aspetti della situazione politica e socioeconomica del Paese.
Il vicepresidente di Bolivia era in Italia perché aveva partecipato, il 28 novembre, al seminario “Come affrontare la problematica della crisi ambientale alla luce della Laudato Si e di Laudate Deum: esperienze in America Latina”.
Il seminario era organizzato dalle Ambasciate del Plurinazionale Stato di Bolivia, della Repubblica di Cuba e della Repubblica Bolivariana del Venezuela presso la Santa Sede.
La giornata è stata inaugurata da Teresa Susana Subieta Serrano, Ambasciatrice della Bolivia presso la Santa Sede, la quale ha chiesto un’alleanza globale per affrontare la crisi ambientale e ha sottolineato l’urgenza di un impegno collettivo e multilaterale.
40 anni dalla mediazione del Canale di Beagle. L’intervento del Cardinale Parolin
Non c’è stato solo un atto diplomatico per commemorare il 40esimo anniversario della mediazione pontificia che pose fine alla disputa tra Argentina e Cile sul Canale di Beagle. Nel pomeriggio del 26 novembre si è tenuto in Gregoriana un convegno su “La mediazione papale come meccanismo per la promozione della pace”. È intervenuto anche il Cardinale Parolin, Segretario di Stato vaticano, che in tempi non sospetti – si era agli albori della riforma della Curia – aveva anche proposto l’idea di stabilire un ufficio per le mediazioni pontificie.
Insieme a Parolin, c’erano anche l’ambasciatore argentino Luis Pablo Beltramino e il ministro degli Affari Esteri del Cile Alberto van Klaveren, che erano anche presenti all’atto commemorativo con Papa Francesco. C’era anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e alcuni membri del gruppo negoziale cileno del Trattato e diverse autorità civili e religiose di Cile e Argentina.
Nel suo intervento, il Cardinale Parolin ha prima di tutto ricordato come la Santa Sede possa avere un ruolo nella mediazione dei conflitti attraverso gli strumenti della diplomazia, cosa che è successa in varie occasioni e in tre tempi diversi, attraverso la promozione del dialogo, l’esercizio del multilateralismo e la ricerca di strumenti che aiutino a raggiungere la pace.
Guardando al trattato che ha risolto la disputa sul Canale di Beagle, il Cardinale ha sottolineato che “la lezione attuale di questo evento è che è servito all’Argentina e al Cile per evitare una guerra e per stabilire una collaborazione”. E questa collaborazione “si è diffusa in vari ambiti e continua ancora oggi”, presentando così il trattato come un esempio “per la soluzione dei conflitti”, con una dimensione “presente e futura”.
Il Cardinale Parolin ha affrontato anche il tema della crisi del multilateralismo, sottolineando che “occorre superare questo atteggiamento e riscoprire la fiducia reciproca e lavorare insieme per interessi comuni. Oggi ci sono tanti problemi globali che devono essere risolti globalmente. Se non c’è fiducia e collaborazione, se non c’è il multilateralismo, cioè la partecipazione di tutti, non si trova una soluzione”.
Il ministro van Klaveren ha descritto il processo di mediazione per il Canale di Beagle “un caso esemplare di tutte le virtù attribuite alla pratica diplomatica”, in cui “la Santa Sede ha agito come agente imparziale e neutrale, ancorato ai valori della pace e del rispetto reciproco, offrendo uno spazio in cui entrambi i Paesi potessero trovare punti di convergenza e superare le loro differenze”.
Van Klaveren ha sottolineato che “la mediazione papale ha evidenziato il potere trasformativo della diplomazia, ricordandoci che, anche nei momenti più bui, è possibile trovare una soluzione pacifica e giusta. La solidità dei suoi risultati ne fa una delle mediazioni più riuscite portate avanti dalla Santa Sede nel corso del XX secolo”.
Si tratta – ha concluso il ministro – di un messaggio di pace di grande attualità in questo contesto globale, perché “invita tutti i Paesi, grandi e piccoli, a ricordare che la diplomazia è uno strumento potente e che la pace è un obiettivo raggiungibile quando c’è volontà politica e impegno da parte di tutti gli attori coinvolti”.
Il diplomatico argentino Enrique Candioti, che fu membro del gruppo che portò al Trattato di Pace e di amicizia, ha raccontato degli oltre 600 incontri in sei anni tra le due delegazioni in Vaticano, affermando che si è trattato di “un negoziato difficile, duro, con battute d’arresto, ma alla fine ha prevalso la volontà di raggiungere una intesa di entrambi i Paesi e con l’aiuto della Santa Sede tutti si è concluso in modo soddisfacente”.
L’ambasciatore Milenko Skoknic era membro del gruppo di lavoro per la parte cilena. Ha sottolineato che dal 1978 al 1984, ha ricordato, “siamo entrati in un lunghissimo processo di mediazione. Nessuno ha perso la fiducia, anche se a volte era difficile continuare perché non c’erano progressi, ma sempre la fede del cardinale Samoré, di quelli che vennero dopo, del cardinale Casaroli e degli altri, permeava lo spirito con cui dovevamo agire”.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Gallagher incontra il ministro per gli Affari Esteri libanese
Il ministro per gli Affari Esteri Libanese Abdullah Bou Habib ha incontrato a Roma lo scorso 27 novembre l’arcivescovo Paul Richard Gallagher. Lo sottolinea un post su X del ministero degli Esteri libanese.
Secondo il post, l’incontro si è focalizzato sugli “ultimi sviluppi in Libano, inclusa la possibilità di un cessate il fuoco. Il ministro Bou Habib ha riaffermato l’impegno del Libano a rispettare gli obblighi della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare riguardo il rafforzamento del dislocamento dell’esercito libanese a Sud del fiume Litani. L’arcivescovo Gallagher ha chiesto della crisi politica libanese, che da due anni non ha un presidente, e di come si possa risolvere l’impasse.
“I due ministri – prosegue la comunicazione – hanno discusso diverse questioni regionali e libanesi, e il ministro Bou Habib ha aggiornato l’arcivescovo Gallagher sulla posizione del Libano”.
L’arcivescovo Gallagher avrebbe espresso “il forte supporto vaticano alle riforme in Libano”, ma anche “una particolare preoccupazione sulla sicurezza dei cristiani che vivono nelle aree di confine, ed ha enfatizzato l’importanza del dialogo per affrontare le crisi della regione”, suggerendo anche la possibilità di “organizzare, quando le condizioni lo consentiranno, una visita nelle aree di confine per meglio comprendere la situazione”.
FOCUS EUROPA
L’ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede commemora il centenario della morte di Franknói
L’Ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede ha sede nel villino Franknói. Il nome deriva da monsignor Vilmos Franknói, storico, canonico di Oradea e fondatore dell’Istituto Storico Ungherese a Roma.
Franknói è morto il 20 novembre 1924, e il centenario della morte è stato commemorato dall’Ambasciata alla presenza del Cardinale Péter Erdő, primate d’Ungheria, arcivescovo di Esztergom – Budapest.
L’ambasciatore Eduard Hasburg-Lothringen ha tracciato la storia dell’Istituto Storico Ungherese, e ha messo in luce come l’attuale sede dell’ambasciata ha visto ripristinare alcune delle sue antiche funzioni quando il governo ungherese ha inviato una delegazione speciale per la cooperazione archivistica.
Fino al 1913, il villino serviva come alloggio e laboratorio intellettuali per gli storici ungheresi. Per ragioni di costi, fu offerto allo Stato ungherese. Dopo la Prima Guerra Mondiale, l’Istituto fu integrato nell’Accademia di Ungheria a Roma, sostenendo non solo le ricerche storiche, ma anche quelle archeologiche, filologiche, di storia dell’arte), ma smise di funzionare quando l’Ungheria entrò nell’orbita sovietica e fu sotto dittatura comunista.
Krisztina Tóth, delegata speciale per la cooperazione archivistica ha parlato della vita di Vilmos Fraknói, che aveva la vocazione di storico e sacerdote, con grandi risultati in entrambi i campi, già membro dell’Accademia di Ungheria a 30 anni.
“Nel 1878 - ha raccontato Tóth - fu eletto Papa Leone XIII che aprì l'Archivio Vaticano. A quel tempo pensavo che l'Ungheria avrebbe dovuto avere successo nel campo dell'erudizione universale come le altre nazioni culturali del mondo. L'Austria stava già lavorando in questa direzione e l'Ungheria doveva essere coinvolta. Fui nominato canonico di Oradea e potei quindi utilizzare le mie entrate per costruire l'Istituto Storico Ungherese a Roma. In questo istituto si formarono molti storici ungheresi coraggiosi e di valore, per citarne solo alcuni: János Karácsonyi, Ferenc Kollányi, László Fejérpataky. Qui abbiamo pubblicato la serie dei Monumenta Vaticana Hungariae”.
Successivamente, Eduardo Habsburg-Lothringen ha deposto una corona presso la lapide in onore di Vilmos Fraknói, benedetta dal cardinale Péter Erdő.
Alla fine dell'evento, Barbara Szabó, dottoranda in storia della chiesa presso l'Università Gregoriana, ha cantato quattro canzoni di Maria dall'Harmonia Caelestis di Pál Esterházy. Tamás Urbanics, organista, l’ha accompagnato sull’organo. Quindi, i partecipanti hanno cantato insieme una canzone popolare della Nostra Signora, intitolata “Boldogasszony Anyánk”.
FOCUS AFRICA
Lesotho, il nunzio celebra il centenario del seminario
La prima missione cattolica del Lesotho, in un’area abitata dai boscimani, fu chiamata Roma e fu fondata nel 1865. E oggi Roma è una cittadina nel Regno del Lesotho, che festeggia il centenario del Seminario Maggiore Sant’Agostino, stabilito nel 1924 dagli Oblati di Maria Immacolata, che lo hanno gestito fino al 1987.
Il nunzio Henryk Jagodziński, insieme a Dario Paviša, segretario della nunziatura di Cracovia, hanno partecipato lo scorso 23 novembre alla Messa del centenario. Il seminario, in questo secolo di storia, ha formato circa 500 sacerdoti e 20 vescovi, e tra i suoi alunni c’è anche il Cardinale Sebastian Koto Khoarai, il primo porporato proveniente dal Lesotho. Questo seminario è stato casa per futuri sacerdoti prevenienti da Sudafrica, eSwatini, Botswana, Namibia, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo.
La messa del centenario è stata presieduta dal vescovo di Leribe Augustinus Tuomale Bane, mentre l’omelia è stata pronunciata dall’arcivescovo di Maseru (la capitale del Lesotho) Gerard Thiali Lerotholi. Oltre al nunzio, c’erano sei vescovi e oltre 200 sacerdoti dal Lesotho e dalle nazioni vicine. I fedeli erano circa 1500, e durante la Messa sei diaconi sono stati ordinati sacerdoti.
Il nunzio ha poi presentato e distribuito diplomi commemorativi e medaglie a sacerdoti e laici che si erano distinti nelle attività della Chiesa.
I sacerdoti neo-ordinati hanno anche benedetto la coppia reale, che si è inginocchiata davanti a loro, seguita da membri della famiglia, del clero e dei laici.
Il re ha tenuto un discorso in cui ha parlato del ruolo dei sacerdoti e della Chiesa nella vita della nazione, e ha raccontato del suo incontro con Papa Francesco.
Il Papa ha inviato una benedizione speciale per l’evento, e anche il Cardiale Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, ha inviato un messaggio sottolineando il ruolo importante del seminario nell’evangelizzazione.
L’arcivescovo Jagodziński, nel suo discorso, ha sottolineato che la fondazione del Seminario Maggiore Sant’Agostino ha segnato l’inizio di un viaggio profondamente radicato nella fede e nel servizio, e che il seminario nel corso dei decenni è diventato rifugio di speranza e un centro cruciale per la formazione del clero che servono la Chiesa in Lesotho e oltre con zelo, compassione e dedicazione.
“Oggi, mentre celebriamo questo Giubileo – ha detto il nunzio – riconosciamo sia le sfide e le opportunità presentate da questa società contemporanea alla formazione sacerdotale”.
Durante il ricevimento, il nunzio è stato fatto sedere alla destra del re.
FOCUS MULTILATERALE
Papa Francesco sulle mine antiuomo
Lo scorso 26 novembre, l’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali a Ginevra, ha partecipato alla Quinta Conferenza di Revisione della Convenzione sulle Mine Anti-Uomo in Cambogia. Nell’occasione, ha letto un messaggio inviato da Papa Francesco.
Il Papa ha scritto che “nella storia degli sforzi internazionali riguardo il disarmo, questa convenzione, che è fermamente radicata nella centralità della persona umana e in un senso di responsabilità condivisa, rappresenta un esempio concreto di come il multilateralismo può essere di successo e raggiungere uno scopo”.
Si tratta di un approccio che ha creato un modello, sebbene sia deplorevole che “25 anni dopo l’entrata in vigore di questo documento importante, le mine anti uomo e gli apparecchi esplosivi attivati dalle vittime continuano ad essere utilizzati”.
Secondo Papa Francesco, “i conflitti sono un fallimento dell’umanità per vivere come una singola famiglia umana”. Inoltre, il Papa nota che “anche molti anni dopo la fine delle ostilità” questi apparecchi “continuano a causare terribili sofferenze ai civili, specialmente ai bambini, creando un senso di paura aggiunto che distrugge la vivibilità e mette a rischio la riconciliazione, la pace e lo sviluppo integrale”, ed è “profondamente triste che il numero di queste vittime innocenti sia cresciuto negli anni recenti”.
Il Papa ha dunque chiesto a tutti gli Stati che non lo hanno ancora fatto di “accedere alla convenzione e, nel frattempo, a chiudere immediatamente la produzione e l’uso di mine antiuomo”, e ha incoraggiato “tutti gli Stati parte a implementare la convenzione pienamente, per rispettare i loro impegni con rinnovata urgenza e perseveranza, e di rafforzare la loro cooperazione internazionale e solidarietà”.
Papa Francesco ha messo in luce che “ogni ritardo o passo indietro farà inevitabilmente crescere il costo umano”, e per questo è grato a “quanti sono impegnati al pericoloso lavoro di bonifica delle mine”, nonché alle organizzazioni governativo o non governative che “assistono le vittime e i loro cari”, tra le quali un significativo numero è quello di associazioni religiose”.
La Chiesa Cattolica – conclude il messaggio – “è impegnata con determinazione ad assistere alle vittime e a contribuire alla pace globale”.
La Santa Sede a Ginevra, preoccupazione per la prevalenza di conflitto e violenza
Durante la Quinta Conferenza di Revisione della Convenzione sulle Mine Anti Uomo ha preso la parola anche l’arcivescovo Balestrero.
Il nunzio ha sottolineato che “la Santa Sede è profondamente preoccupata dalla persistente prevalenza di conflitto e violenza e deplora che le mine anti-uomo continuino ad essere disseminate, anche da attori non statali, cosa che genera paura, insicurezza e, più tragicamente, crea nuove vittime”.
In particolare, Balestrero punta il dito contro l’indiscriminata proliferazione di queste armi nel contesto del conflitto in Ucraina, ma anche in Siria e Myanmar, e ribadisce che la Santa Sede chiede agli Stati che non lo hanno ancora fatto di aderire alla Convenzione e, allo stesso tempo, di cessare la produzione e l’uso delle mine senza ritardo”.
Tuttavia, la Santa Sede nota che “un mondo senza mine non è un mondo senza vittime”, e per questo “è fondamentale continuare a porre la persona umana al centro dei nostri sforzi congiunti e così garantire una forma di assistenza che sia integrale”.
Questa assistenza “deve tenere in considerazione i molteplici bisogni e contesti delle vittime”, inclusa la loro “piena riabilitazione e reintegrazione socio-economica”.
Secondo Balestrero, c’è “un forte legame tra lo sminamento, l’assistenza alle vittime, lo sviluppo e la costruzione della pace”, e per questo “le richieste dell’estensione del termine contrattato sotto la convenzione deve essere considerato con la massima serietà”.
Balestrero ha infine ricordato che “in un mondo globalizzato, dobbiamo investire in strumenti di vita e di pace, piuttosto che in strumenti di morte e di sofferenza indiscriminata e non necessaria”.