La Santa Sede in Arabia Saudita, “il dialogo come strumento di pace e fraternità”
Lo scorso 22 novembre, è stato presentato a Gedda, in Arabia Saudita, il libro “La promozione del dialogo interculturale e interreligioso come uno strumento di pace e fraternità”. La Santa Sede è stata rappresentata dall’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali a Ginevra.
L’arcivescovo Jurkovic ha ricordato il “memorabile” viaggio del Cardinale Jean Louis Tauran in Arabia Saudita di tre anni – che fu l’ultimo viaggio del porporato prima della morte – e ha delineato il “filo rosso” del contributo della Santa Sede al volume, costituito da “fraternità umana, giustizia e dialogo come strumento di pace”.
Quando si parla di fraternità umana, sottolinea l’arcivescovo Jurkovic, non si può non pensare alla dichiarazione di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019, che sottolinea che “dobbiamo considerare e trattare tutti gli esseri umani come fratelli e sorelle”. Lo spirito del documento, ha aggiunto, va particolarmente enfatizzato “di fronte alle crescenti tendenze egoiste e individualiste”, considerando che viviamo in società “multiculturali e multireligiose”, e la fraternità è essenziale nonostante vari ostacoli come “il nazionalismo, il razzismo, il militarismo, il totalitarismo e il sessismo”.
Nell’enciclica “Fratelli tutti” – prosegue l’arcivescovo Jurkovic - la fraternità “non è evocata come una aspirazione astratta e consolatoria, ma come un criterio di coesistenza efficace e realistico”, perché “l’inevitabile conseguenza di abbandonare la civiltà dell’incontro è di tornare all’inciviltà del conflitto. Non sembra esserci una via di mezzo”.
L’arcivescovo Jurkovic sottolinea che “il riconoscimento della mutua fraternità ha la capacità di cambiare le prospettive del conflitto, di ribaltarlo fino a farlo diventare un forte messaggio con un valore religioso e anche politico”, e non per coincidenza questo ci porta a “riflettere sul significato di cittadinanza: siamo tutti fratelli e sorelle e perciò tutti cittadini con uguali diritti e doveri, sotto la cui ombra tutti godono di giustizia”. E “quando la giustizia trionfa, pace regna”.
Giustizia è “dare a ciascuno il suo”, e per farlo si deve prima di tutto rispettare “la dignità umana”, dato che “non ci può essere dialogo se la dignità umana non è rispettata in primo luogo. Quando la dignità umana è protetta, gli uomini e le donne sono liberi di dedicarsi a cercare la Verità”.
L’arcivescovo Jurkovic chiede anche di distinguere tra tolleranza religiosa e libertà religiosa. La tolleranza, “quando si basa sul mutuo rispetto della dignità umana”, può essere “un passo importante per assicurare la pace tra i popoli”, ma di certo “non è abbastanza”, dato che la stessa tolleranza ha una connotazione negativa, mentre sarebbe più “fruttuoso facilitare migliori relazioni tra le tradizioni religiose nel concetto più dinamico di mutua fraternità”, che ci porta non solo a cercare “una pacifica coesistenza”, ma anche e soprattutto “un mutuo arricchimento attraverso il dialogo”.
E il dialogo – continua l’osservatore della Santa Sede a Ginevra – implica “due attività fondamentali: parlare e ascoltare”.
L’arcivescovo Jurkovic si sofferma poi sulla dignità umana, “inalienabile”, perché la persona umana “è creata ad immagine e somiglianza di Dio”, e questa verità è “alle fondamenta di tutta la vita sociale e ne determina i principi operativi”. Il riferimento più vicino al principio della dignità della persona, si trova “forse” nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nota Jurkovic, mentre il “corollario diretto e più rilevante” nell’eguaglianza, che “riguarda sia i diritti che i doveri”.
L’arcivescovo Jurkovic sottolinea che da qui ne consegue che “il dialogo non è solo uno strumento per la pace e la fraternità, ma è il principale strumento per raggiungerli”, perché “il frutto del dialogo è l’unità tra le persone e l’unione delle persone con Dio, che è la fonte e la rivelazione di tutta la verità e il cui spirito guida gli esseri umani nella libertà quando si incontrano l’uno con l’altro”.
Come seguaci di religioni differenti, dunque, “dovremmo unirci insieme nel promuovere e difendere gli ideali comuni nelle sfere della libertà religiosa, la fraternità umana, l’educazione, la cultura, il benessere sociale e l’ordine civico. Il dialogo e la collaborazione sono presenti in tutti questi grandi progetti”.
L’arcivescovo Jurkovic nota anche che “durante questa pandemia, abbiamo tutti la tentazione di isolarci come un modo di proteggere la nostra salute fisica”, e in questo “non dobbiamo perdere di vista i principi che ci uniscono a livello spirituale”. E su questo cristiani, musulmani e tutti i credenti sono chiamati a dare il loro contributo.
FOCUS SEGRETERIA DI STATO
L’arcivescovo Gallagher ai Lincei: “La solidarietà per il mondo dopo il coronavirus”
In una lectio magistralis tenuta nella sede dell’Accademia dei Lincei, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per gli Stati, ha sottolineato che la ripartenza dopo la pandemia avrà bisogno di “una nuova alleanza tra scienza e umanesimo”, che faccia leva “su una rinnovata solidarietà, esercitata anche nel rispetto del bene comune e dell’ambiente”, e che si basi sulla “migliore politica, inclusiva, al servizio di tutti, di portata internazionale” e su una collaborazione scientifica “realmente multidisciplinare”.
La lectio magistralis del “Ministro degli Esteri” vaticano era dedicata a “Fraternità, ecologia integrale e Covid-19. Il contributo della diplomazia e della scienza”. Nel suo intervento, il cardinale ha fatto una panoramica delle crisi umanitarie nel mondo, e ha poi affrontato la questione della crisi sanitaria che coinvolge più di 50 milioni di persone contagiate dalla pandemia e oltre un milione di vittime”.
Si tratta di una crisi che ha ulteriormente amplificato la crisi alimentare già in corso (690 milioni di persone nel mondo hanno sofferto la fame nel 2019 secondo un recente rapporto delle agenzie ONU sull’alimentazione”), ma anche reso più complicata la crisi economica e sociale, perché “i poveri, soprattutto quelli che lavorano nei settori informali, sono stati i primi a vedere scomparire i loro mezzi di sopravvivenza”.
Per l’arcivescovo Gallagher, anche l’evento della pandemia può comunque essere visto come un “rimodellatore sociale”, una “occasione di trasformazione” allorquando si considera la ripartenza come “una sfida di civiltà a favore del bene comune e di un cambiamento di prospettiva, che deve porre la dignità umana al centro di ogni nostra azione”.
Il “ministro degli Esteri vaticano” affronta anche il tema del disarmo, ribadendo la sicurezza degli Stati non dipende dall’aumento delle spese militari, ma piuttosto da un accrescimento della cooperazione globale e da un “rafforzamento del multilateralismo”, che passa anche per un rinnovato sforzo per il disarmo, ma anche per l’ecologia integrale, secondo la visione di fraternità applicata secondo il concetto della Laudato Si che tutto è connesso.
L’arcivescovo Gallagher sottolinea che c’è bisogno di mettere la persona al centro, che la cultura della cura si deve contrapporre alla cultura dello scarto, che non riguarda solo i beni, ma anche gli esseri umani. E per far partire il potere della conversione, il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati chiede di non trascurare “il potere trasformante dell’educazione e della solidarietà”, perché queste possono plasmare generazioni capaci di sviluppare una politica e una economia “autenticamente sostenibili”, e permette di fronteggiare anche le peggiori emergenze.
FOCUS EUROPA
Papa Francesco, telefonata con il presidente del Consiglio Europeo
Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo, ha telefonato a Papa Francesco il 23 novembre. Si trattava di una telefonata da tempo nell’agenda del presidente del Consiglio Europeo, che si era sentito con Papa Francesco lo scorso 11 maggio. In un tweet, il presidente Michel ha spiegato che lui e il Papa hanno “discusso di come affrontare la pandemia del COVID 19 da una prospettiva multilaterale, affrontando i problemi dei più vulnerabili”.
Sempre secondo il presidente del Consiglio Europeo, il suo dialogo con Papa Francesco ha anche toccato i temi della “lotta contro l’odio religioso e la radicalizzazione” e di come promuovere “il dialogo interreligioso e interculturale”.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede all’ONU di Ginevra, contro le munizioni a grappolo
Il 25 novembre, si è tenuta presso le Nazioni Unite di Ginevra la seconda conferenza di revisione della Convenzione sulle munizioni a grappolo. La Santa Sede, che fu tra le prime a ratificare la convenzione e che fece includere all’interno della Convenzione un paragrafo sul diritto all’assistenza umanitaria per tutti, ha tenuto a sottolineare di essere ancora “pienamente impegnata a implementare la convenzione, ed ha continuato a incoraggiare altri Stati parte e non parte di riaffermare il preminente e inerente valore della dignità umana e la centralità della persona umana”, nonostante “siamo ancora lontani dall’obiettivo di avere 130 Stati parte, obiettivo stabilito cinque anni fa a Dubrovnik”.
Tuttavia la Santa Sede, in un intervento pronunciato dall’arcivescovo Ivan Jurkovic, sottolinea che ci deve essere un “rinnovato sentimento di urgenza” nella comunità internazionale, perché l’universalizzazione della convenzione non è “un componente opzionale”, ma piuttosto “un obbligo legale”, in quanto ha conseguenze dirette sulle operazioni di effettiva implementazione della convenzione.
La Santa Sede reitera dunque “le sue preoccupazioni riguardo l’introduzione della nuova terminologia proposta nel Piano di Azione, che andrebbe a spostare l’attenzione dagli sforzi della convenzione a temi più ideologici e politici”. Questo tipo di linguaggio “può avere un impatto negativo”, e dovrebbe “essere evitato”.
La Santa Sede rinnova anche l’appello a tutti gli Stati fuori della convenzione di “considerare di prendere parte agli sforzi globali di costruire insieme un mondo più sicuro”, perché “lo dobbiamo alle molte vittime del passato e alle potenziali vittime le cui vite possiamo ancora proteggere con una piena implementazione della convenzione”.
La Santa Sede a Ginevra, il tema delle migrazioni
La Santa Sede è membro della Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, a testimoniare l’attenzione che da sempre è stata data alla questione dei migranti. Lo scorso 26 novembre, l’organizzazione si è riunita nella sua 111esima sessione, in cui per la prima volta si è unita la Federazione Russa come Stato membro e la Malesia come membro osservatore.
La Santa Sede, rappresentata dall’arcivescovo Jurkovic, ha notato che il 2019 è stato “un anno straordinario per l’organizzazione,” fatto di crescita di staff e progetti che dimostra come “la migrazione è un fenomeno naturale e una realtà umana da tempo immemore”, ma anche il sempre maggiore desiderio di “migliorare la gestione delle migrazioni”, denotato anche dall’Accordo Globale sulle Migrazioni (la Santa Sede partecipò attivamente ai negoziati) che “può davvero fornire agli Stati opportunità di migliorare le loro rispettive politiche migratorie”.
Allo stesso tempo, la Santa Sede nota che “è biasimevole che, mentre c’è grande richiesta di lavoro di migranti, ben accolto per compensare le mancanze di forza lavoro, gli stessi migranti sono spesso rifiutati e presi di mira con una attitudine piena di risentimento e di utilitarismo”.
Si tratta di una “triste realtà” che mostra una totale contraddizione data dal “porre gli interessi economici sopra gli interessi della persona umana”. È successo soprattutto durante i lockdown del COVID 19, che ha colpito soprattutto i migranti tra i lavoratori.
Nella sua enciclica Fratelli Tutti, ha proseguito l’arcivescovo Jurkovic, il Papa suggerisce che “i migranti possano essere un dono, e ci invita dunque a cambiare il modo in cui percepiamo le migrazioni”.
Ci sono poi tre temi che la Santa Sede ha voluto mettere sul tavolo: quello che riguarda i bambini migranti senza genitori, l’accesso sanitario, la situazione degli sfollati.
Per quanto riguarda i bambini in movimento, la Santa Sede nota che questi “sono in crescita” e che molti di loro “non sono accompagnati” o che finiscono “separati dalle loro famiglie”. Si tratta di una situazione “preoccupante”, perché i bambini “rischiano di rimanere vittime di perversi flagelli, come il traffico di bambini, lo sfruttamento e gli abusi”. La Santa Sede ha per questo sollecitato che “tutte le politiche abbiamo come priorità il migliore interesse dei bambino in ogni momento e in ogni fase della vita”.
Quindi, il tema dell’accesso all’assistenza sanitaria, che include quella dell’assistenza per garantire la sanità mentale e “costituisce un pilastro fondamentale dello sviluppo umano integrale”. La Santa Sede ha lamentato che “durante la pandemia, molti migranti sono diventati ancora più vulnerabili di quanto fossero precedentemente”, una situazione “che si è complicata a causa di un accesso ineguale ad adeguate cure mediche”.
È ancora più preoccupante che “quanti si trovano in situazioni irregolari esitano a cercare cure mediche per paura di essere detenuti o deportati”, perché la salute è “un bene pubblico e non dovrebbe mai essere strumentalizzata politicamente o ideologicamente”, e non dovrebbe essere “un privilegio, ma accessibile e sostenibile per tutti, specialmente i più vulnerabili”.
Infine, il tema degli sfollati, cui è stato dedicato quest’anno il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale di Migranti e Rifugiati. “Pur rispettando la sovranità nazionale – ha detto l’arcivescovo Jurkovic – c’è un urgente bisogno di una genuina cooperazione tra la comunità internazionale sugli sfollati interni”. Per questo, la Santa Sede ha “incoraggiato gli Stati a definire un sistema più chiaro di responsabilità per gli sfollati che possa assicurare loro reale protezione, soluzioni durevoli e per questo salvare vite”.
I meccanismi di coordinamento, ha continuato la Santa Sede, dovrebbero essere “fondati sul principio che tutte le persone debbano essere in grado di rimanere nelle loro case in pace e sicurezza senza la minaccia di essere forzatamente sfollati all’interno o al di fuori della loro patria”, e per questo ha definito essenziale “la partnership con le organizzazioni religiose e le comunità di fede”.
L’arcivescovo Jurkovic ha dunque concluso che “è certo che la migrazione avrà un ruolo sempre maggiore nelle nostre società”, e per questo “è ora tempo di ripensare i parametri della coesistenza umana attraverso le lenti della fraternità e della solidarietà.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Il Cardinale Bechara Rai da Papa Francesco per affrontare la crisi del Libano
Il cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei Maroniti, incontrerà Papa Francesco a Roma, dove è arrivato per partecipare al concistoro, e ha visto Papa Francesco nella mattinata del 28 novembre. Con il Papa, ha discusso della situazione del Libano.
Prima della sua partenza per Roma, il Cardinale ha anche incontrato, il 25 novembre, il presidente Michel Aoun, discutendo della crisi politica, economica e sociale attraversata dal Libano. Il Cardinale Rai ha rinnovato l’appello a formare rapidamente un nuovo governo, e ad effettuare una analisi forense della Banca del Libano e di tutte le istituzioni finanziarie del Paese, per scoperchiare possibili casi di corruzione.
Il Cardinale Rai parlerà con Papa Francesco anche del movimento che ha lanciato per la neutralità libanese attiva, che permetterebbe al Paese di sganciarsi da una serie di interessi esteri. Il Patriarca ha chiesto anche che l’Onu, la comunità internazionale e le nazioni arabe riconoscano e garantiscano la “neutralità” del Libano.
La proposta del Cardinale ha suscitato diverse attenzioni. Tra quanti hanno voluto incontrare Rai per discutere le sue idee,Walid el-Bukhari, ambasciatore Saudita in Libano; Saad Hariri, leader del partito sunnita Futuro; Sami Geagea, leader delle Forze Libanesi. Francia e Stati Uniti hanno stabilito un piano di aiuti, anche per sottrarre il Paese dall’influenza dell’Iran.
Da segnalare che in Libano ancora non c’è un governo. Aoun ha affidato il mandato di formare un governo a Rafic Hariri, che già stato primo ministro per tre volte, ma questi si trova in una posizione difficile: l’esplosione al porto del 4 di agosto non ha fatto che acuire le tensioni e il divario sociale in un Paese che era già in protesta per via della crisi acuita dalla pandemia, cosa che ha scatenato un aumento di suicidi, una cronica mancanza di farmaci, una difficile situazione negli ospedali.
Iraq, l’appello del Cardinale Sako al governo iracheno
Il Cardinale Raffael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, ha pubblicato nella scorsa settimana un progetto da presentare al governo iracheno per preservare la presenza dei cristiani nel territorio, che “non sono giunti in questa terra benedetta”, ma sono piuttosto radicati nella zona dell’antica Babilonia, e che sono i diretti discendenti di “caldei e assiri che hanno costruito la civiltà della Mesopotamia”.
Eppure, oggi “quando si tratta di eredità, di costi e diritti, di custodia di bambini, nella maggioranza dei casi si applica ai cristiani la tradizione islamica”. “Come ci può essere libertà religiosa, se una religione obbliga un’altra a fare ciò che non gli appartiene?”, si chiede il Cardinale Sako.
Il cardinale comincia con la questione del matrimonio: quello cristiano non si annulla, può essere dichiarato nulla solo per situazioni precedenti, non ammette poligamia, non ammette matrimonio tra minori, non prevede la dote.
L’eredità viene divisa in parti uguali tra l’uomo e la donna, dato che “la donna è uguale all’uomo in quanto a diritti”, ma questo non accade in Iraq, mettendo così le donne cristiane in posizione di svantaggio. Dice il Cardinale Sako: “Non vogliamo diminuire la libertà della donna musulmana nel ricevere la metà di quanto riceve l’uomo; ma desideriamo che sia applicata per noi la legge ecclesiastica.
Quindi, cardinale spiega che “la custodia dei bambini fino ai 10 anni spetta alla donna”.
Per questo, c’è bisogno di risolvere la situazione dei non musulmani nel Paese. Il Cardinale Sako fa una serie di proposte: che lo Stato faccia una legge civile valida per tutti, senza considerare la loro appartenenza religiosa, oppure si permette alla Chiesa di fare le sue sentenze su matrimonio, annullamento, custodia dei bambini ed eredità.
Il Cardinale affronta anche la pena di morte per apostasia, chiedendo che sia emanata “una legge che rispetti la libertà di coscienza, ovvero il diritto di cambiare dottrina e religione senza esercitare alcuna pressione, come nel caso del Libano, della Tunisia, del Marocco e del Sudan che ha abrogato la legge dell’apostasia”, perché altrimenti si rischia di essere in una coercizione “contraria alla libertà della persona, alla legge dei diritti umani e alla parola del Corano: ‘Chi vuole creda e chi non vuole non creda’.”
Il Patriarca caldeo denuncia anche un torto nei confronti dei cristiani, dato che “un musulmano ha il diritto di sposare un cristiano, mentre a un cristiano viene negato il diritto di sposare una musulmana”.
Il Cardinale lamenta anche che le festività religiose cristiane non siano considerate, e chiede che Natale e Pasqua siano anch’esse considerate festività ufficiali, come “è recentemente accaduto un molti Paesi arabi, tra cui il Sudan”.
Sono soluzioni, conclude il Cardinale, per cui trovare “una soluzione giusta”, almeno se il governo voglia davvero che i cristiani rimangano in Iraq.
FOCUS ASIA
Il nunzio Brown arriverà domani nelle Filippine
L’arcivescovo Charles John Brown, nominato nunzio nelle Filippine, arriverà a Manila il 29 novembre. L’arcivescovo Brown, statunitense, è stato nominato nunzio nelle Filippine lo scorso 28 settembre. Prima era stato nunzio in Albania, e prima ancora “ambasciatore del Papa” in Irlanda. Non è un diplomatico di carriera. Benedetto XVI lo aveva “pescato” dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per rappresentarlo in un Paese come l’Irlanda, scosso dallo scandalo degli abusi e bisognoso anche di una solida guida dottrinale.
L’arcivescovo Brown è il 18esimo inviato papale nelle Filippine, e succede all’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, nominato Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite nel novembre 2019.
FOCUS AMERICA LATINA
Panama, i vescovi chiedono un dialogo nazionale per uscire dalla crisi
Aborto e corruzione sono i problemi più gravi di Panama, secondo l’arcivescovo Josè Domingo Ulloa, che guida la diocesi legata alla capitale del Paese e che ha fatto negli scorsi giorni una dura riflessione sulla situazione nel Paese, sottolineando, nella omelia del 22 novembre, che “se siamo cittadini del Regno di Cristo, non possiamo fingere di seguire e condividere atteggiamenti e comportamenti che violano i valori evangelici della nostra fede, come l'aborto, le unioni dello stesso sesso, il furto, la disonestà e la corruzione”.
Questi comportamenti vengono accettati solo perché “si soccombe alla pressione e ai gruppi di potere”. Ma – ha aggiunto – “il Vangelo non è una moda passeggera, che oggi serve e domani si butta via. È la Parola di Dio, oggi, domani e per sempre”.
Il messaggio dell’arcivescovo di Panama giunge nel mezzo di una pesante crisi economica da cui è affetto al Paese. Tutti i settori hanno accettato di partecipare al “Dialogo nazionale” lanciato dal presidente Laurentino Cortizo, incontro che avrà luogo su una piattaforma sulla quale anche i cittadini panamensi potranno formulare proposte.
Lanciato il 26 novembre, il dialogo nazionale durerà due mesi. Le Chiese stanno chiedendo di migliorare l’istruzione pubblica, avviare cambiamenti istituzionali, combattere la disuguaglianza e analizzare il futuro del Fondo di Previdenza Sociale, nonché di trovare una via d’uscita dalla crisi economica che è stata acuita anche dalla pandemia”.
Guatemala, i vescovi invitano i cittadini guatemaltechi a mantenere il dialogo
L’arcivescovo Gonzalo de Villa y Vazequez, arcivescovo di Santiago del Guatemala, ha invitato i cittadini guatemaltechi a mantenere la calma e promuovere il dialogo. Dal 21 novembre, infatti, il Paese è scosso da manifestazioni popolari antigovernative. I manifestanti hanno anche dato alle fiamme parte dei locali del Congresso e hanno provocato scontri con la polizia. Il Congresso ha dichiarato che il bilancio generale 2021 sarebbe stato rivisto, ma non ha spiegato quali modifiche sarebbero state apportate. Di certo, il progetto di bilancio era il motivo principale del contendere: tutti i settori sociali lo hanno bocciato, e anche la Conferenza Episcopale del Guatemala aveva notato che “il modo in cui il disegno di legge è stato approvato ha generato indignazione in settori molto diversi del Paese per il modo opaco e sicuramente torbido con cui si è deciso di raggiungere la maggioranza qualificata dei voti".
La stampa locale ha denunciato che il bilancio era stato infatti approvato alle 5 del mattino del 18 novembre, e che non tutti i parlamentari avevano potuto avere accesso al documento.
I vescovi hanno anche sottolineato in una nota che “da dieci anni consecutivi approviamo preventivi sottofinanziati, ma mai prima d'ora per importi così sproporzionati come quest'anno. L'indebitamento del Paese sta raggiungendo livelli francamente preoccupanti e i debiti di oggi saranno la fame di domani. L'eliminazione o la riduzione di elementi importanti sembra esprimere risentimento ma anche miopia etica".
FOCUS AFRICA
Etiopia, i vescovi eritrei chiedono la pace
In maniera inusuale, una dichiarazione della Sala Stampa della Santa Sede del 27 novembre ha reso nota la preoccupazione del Papa per gli scontri che stanno avvenendo in Tigrai, regione etiopica confinante con l’Eritrea. E sono s tati proprio i vescovi di Eritrea a lanciare, la scorsa settimana, un appello sul conflitto in corso tra Addis Abeba e le autorità regionali.
“La guerra . hanno scritto i vescovi - è contro la vita e contro lo sviluppo. Al contrario, uccide, mutila, distrugge, rimuove e semina rancori e odio duraturi tra le persone. La conseguenza della guerra è in realtà una verità evidente per il mondo intero, e specialmente per i popoli del Corno d'Africa”.
I vescovi hanno chiesto “l'immediata cessazione delle ostilità e della diffusione di parole infiammatorie e di propaganda che alimentano l’animosità. Esortiamo tutte le parti a sedersi al tavolo della trattativa e a risolvere il conflitto attraverso il dialogo”.
Il conflitto nel Tigrai ha causato la morte di centinaia di civili e il movimento verso il Sudan di migliaia di sfollati.