Il Congresso Eucaristico di Dublino del 1932 rafforzò ulteriormente le relazioni. Seguendo una tradizione diplomatica, anche l’Irlanda considerò il nunzio come il “decano del Corpo diplomatico”. Nel 1948, lo Stato Libero Irlandese divenne la Repubblica di Irlanda.
La Santa Sede mantenne presenza e influenza per diverso tempo. Gli sviluppi in Irlanda del Nord degli anni Settanta furono osservati con attenzione dalla Santa Sede, e anche Paolo VI scese personalmente in campo, chiedendo, in una udienza del 19 dicembre 1974 all’ambasciatore presso il Vaticano, della sua speranza di una pacifica soluzione. E tra il 1973 e il 1977 le attività dell’arcivescovo Gaetano Alibrandi, nunzio in Irlanda, furono oggetto di una lettera in Vaticano del governo di Liam Cosgrave, che il nunzio definì “la cosa più vicina ad una dichiarazione di guerra” che ci fosse mai stata tra i due Stati. Ci si voleva persino spingere a dichiarare il nunzio “persona non grata”.
Dagli anni Ottanta
Fu negli anni Ottanta che l’Irlanda cominciò a distaccarsi. Nel settembre 1985, il ministro degli Affari Esteri Peter Barry incontrò il Cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato vaticano, ad un pranzo, e gli disse che la relazione tra Chiesa e Stato in Irlanda urtava i due partiti di maggioranza.
Ed è stato in quelli anni che è cominciato il terreno scosceso verso le relazioni difficili culminate nella chiusura dell’ambasciata nel 2011. Lo scandalo degli abusi, unito ad una forte secolarizzazione, ha influito decisamente non solo sullo spirito cattolico della nazione, ma anche sull’atteggiamento politico.
Tanto che recentemente l’ex presidente Mary McAleese ha detto che il Vaticano voleva persino siglare un concordato con l’Irlanda per tenere segreti gli archivi sugli abusi, additando come responsabile il Cardinale Angelo Sodano, allora Segretario di Stato vaticano. Ma McAleese non ha spiegato in cosa consistesse il Concordato, né quali fossero le richieste, ed è anche da definire di quali archivi si stesse parlando.
È un modo facile di dare alla Chiesa delle responsabilità, e riaffermare l’autonomia del governo dalla Santa Sede, o riaffermarsi sopra una influenza che forse la Chiesa cattolica mantiene ancora, nonostante tutto.
Santa Sede e Benin ratificano il loro accordo quadro
Santa Sede e Benin avevano siglato un accordo quadro nel 2016. Il 23 agosto del 2018, le delegazioni di Santa Sede e Benin si sono scambiati a Cotonou, rendendo effettivo l’Accordo.
Costituito da un preambolo e 19 articoli, l’accordo quadro garantisce alla Chiesa lo svolgimento della propria missione in Benin. In particolare, viene riconosciuta la personalità giuridica della Chiesa e delle sue istituzioni, e si stabilisce l’impegno delle due parti, mantenendo la loro autonomia e indipendenza, a collaborare per il benessere morale, spirituale e materiale della persona umana per la promozione del bene comune.
Gli strumenti di ratifica sono stati scambiati presso la sede del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione di Cotonou. La delegazione della Santa Sede, composta anche dal presidente della Conferenza episcopale del Benin, era guidata dall’arcivescovo Brian Udaigwe, nunzio apostolico, mentre la delegazione del Benin era guidata dal ministro degli Esteri Aurelien Agbenonci.
Attualmente, la Santa Sede ha 214 tra concordati e accordi con 74 nazioni diverse. Di questi, 154 accordi sono stati stipulati con 24 nazioni europee. Attualmente, si sta lavorando anche ad un concordato con l’Angola.
L’ambasciatore USA per la libertà religiosa in visita in Vaticano
La libertà religiosa è uno degli argomenti su cui più sta premendo l’amministrazione degli Stati Uniti, ed è occasione di scambio privilegiato con la Santa Sede. Tra le iniziative, una serie di incontri a porte chiuse che sono stati inaugurati il 13 giugno dall’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk, una conferenza alla Pontificia Università della Santa Croce il 27 giugno che ha visto anche l’intervento del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e il primo incontro ministeriale sulla libertà religiosa che si è tenuto a Washington il 24 e il 26 luglio, e che ha avuto tra gli speakers anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, e l’arcivescovo Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Stati Uniti.
Si inserisce in questa serie di iniziative l’incontro dell’ambasciatore USA per la Libertà Religiosa Sam Brownback con il Cardinale Parolin. L’incontro è avvenuto in Vaticano lo scorso 22 agosto, ed è stato annunciato via twitter dall’Ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede. All’incontro è stato presente l’ambasciatore USA presso la Santa Sede Callista Gingrich, e si è discusso appunto di come difendere e promuovere la libertà religiosa nel mondo.
Brownback ha partecipato anche all’incontro annuale dell’International Catholic Legislators Network, che è stato ricevuto in udienza dal Papa mercoledì 22 agosto prima dell’udienza generale. Tra i partecipanti all’incontro, anche il Patriarca dei Maroniti, il Cardinale Bechara Rai, il Patriarca Ephrem della Chiesa Siro Ortodossa e il Cardinale Christoph Schoenborn, arcivescovo di Vienna, dalla cui idea è nata l’iniziativa dell’incontro. L’incontro dei Legislatori cattolici si svolge ogni anno, e la natura dei colloqui è riservata. L’incontro del 2016, sui cristiani perseguitati, portò alla decisione del governo ungherese di stabilire un ufficio del Sottosegretario di Stato dedicato al tema. Anche l’ambasciatore Gingrich ha parlato all’incontro di quest’anno, e ha sottolineato che “insieme dobbiamo affrontare e contrastare quanti praticano, permettono o esportano la persecuzione religiosa e l’estremismo violento”.
I negoziati in Argentina per rinunciare al contributo dello Stato alla Chiesa
La Chiesa Cattolica in Argentina ha cominciato formalmente i negoziati per rinunciare al sostegno economico dello Stato. La rinuncia al contributo avverrà in maniera “graduale” e sarà comunque legata all’entrata in vigore di un nuovo sistema di sostentamento del culto, che è allo studio.
Il clero argentino riceve un sostentamento di 40 mila pesos argentini al mese (circa 1200 euro), come stabilito dall’articolo 2 della Costituzione Argentina e da un decreto del 1979. In tutto, lo Stato eroga alla Chiesa poco più di 130 milioni di pesos annui (poco più di 3 milioni 642 mila euro). Il contributo è stato fortemente contestato durante il dibattito sulla legalizzazione dell’aborto nel Paese, che ha visto i vescovi fortemente contrari e in campo. La rivelazione della quantità del contributo nell’ambito del dibattito da parte del mondo politico è stata vista come una manovra diversiva del governo, ansioso di gettare discredito sulla Chiesa per far passare la legge.