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Diplomazia pontificia, quali punti in comune con il Canada?

Il viaggio in Canada rilancia le relazioni diplomatiche con il Paese nord-americano. Dopo le richieste di scuse del Papa per le scuole residenziali, sarà nominato un ambasciatore?

Bilaterale Canada Santa Sede | Il bilaterale tra il Primo Ministro Trudeau e il Cardinale Parolin, Quebec, 27 luglio 2022 | Sala Stampa della Santa Sede Bilaterale Canada Santa Sede | Il bilaterale tra il Primo Ministro Trudeau e il Cardinale Parolin, Quebec, 27 luglio 2022 | Sala Stampa della Santa Sede

La questione delle scuole residenziali resta una ferita aperta, nonostante le scuse di Papa Francesco, che con il viaggio ha risposto ad una delle raccomandazioni della Commissione Verità e Giustizia. Non erano pienamente soddisfatti né il Primo Ministro Justin Trudeau, né membri del suo governo, che pure hanno considerato che la visita del Papa ha avuto un grande impatto.

Ma la questione va al di là delle responsabilità della Chiesa, riguarda anche le responsabilità dello Stato che quelle scuole le finanziava e promuoveva, così come la politica di assimilazione, e anche le responsabilità del Canada nel recente scandalo del foster care, quando è stato accertato che tra i 40 e gli 80 mila bambini sono stati strappati dalle loro famiglie – sentenza cui il governo si è comunque appellato.

Sono tutti questi temi che rientrano nelle dichiarazioni del governo canadese riguardo la visita del Papa, mentre di particolare importanza è stato il bilaterale tra il Primo Ministro Canadese Justin Trudeau e il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.

                                                FOCUS VIAGGIO IN CANADA

Il bilaterale Canada – Santa Sede

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A margine dell’incontro di Papa Francesco con il governatore del Quebec Anne Simon, c’è stato un bilaterale tra Santa Sede e Canada. Da parte vaticana, sedevano il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, e l’arcivescovo Ivan Jurkovic, nunzio apostolico in Canada. Da parte canadese, il primo ministro Justin Trudeau; il ministro degli Esteri Melanie Joly; e lo chargée d’affairs del Canada presso la Santa Sede Paul Gibbard.

Prima, Trudeau aveva incontrato anche Papa Francesco. In un comunicato della presidenza del consiglio del Canada, si nota che Trudeau “ha ringraziato Papa Francesco per la visita in Canada per impegnarsi con le popolazioni indigene nella loro terra ancestrale, riconoscere le verità sul sistema delle scuole e comprendere la sua eredità dolorosa per popoli delle First Nations, Inuit and Métis.”

Si legge poi che il primo ministro Papa Francesco e il Cardinale Parolin hanno “discusso l’importanza del continuo e significativo impegno della Chiesa Cattolica con First Nations, Inuit e Métis nel portare avanti guarigione e riconciliazione”, ma anche il “bisogno per la Chiesa di fare azioni concrete per rimpatriare artefatti indigeni, fornire accesso ai documenti delle scuole residenziali, affrontare il tema della Dottrina della Scoperta e assicurare giustizia per le vittime, incluso per il caso Revoire”.

Si tratta di una parte molto complessa del comunicato, da spiegare. In pratica, include la richiesta di restituzioni di alcuni artefatti che sono nei Musei Vaticani e si allude ad una responsabilità della Chiesa nei documenti in suo possesso. Poi si chiede un cambio della Dottrina della Scoperta, che si dice sia stata definita con la bolla Romanus Pontifex del 1455, in cui si stabiliva che i sovrani cattolici che scoprivano terre non cattoliche potevano reclamare come loro.

La questione della dottrina della scoperta è stata presente nel viaggio, anche con una protesta nella basilica di Saint Annne du Beaupre, ma va anche chiarito che va contestualizzata nel tempo. Tra l’altro, già con la bolla Pastorale Officium del 1537 la Chiesa sottolineava che nessun indigeno poteva essere ridotto in schiavitù, pena la scomunica.

Il governo canadese poi fa pressione sulla Santa Sede, chiedendo giustizia per le vittime, ma includendo nella giustizia per le vittime anche il caso Rivoire, ovvero il caso di un sacerdote abusatore nella zona di Nunavit, che riguarda meno le scuole residenziale e più situazioni attuali.

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In contrasto, il “Primo ministro ha sottolineato il continuo impegno del governo del Canada per definire un nuovo e migliore percorso per i popoli indigeni e tutto il popolo canadese”. Non c’è nessuna menzione al caso della foster care, alla cui sentenza comunque il governo si è appellato.

Sembra, insomma, che ci sia intenzione del governo di scaricare ogni responsabilità sulla Chiesa, senza invece definire in maniera dettagliata le responsabilità.

Si legge nel comunicato che Trudeau e Francesco hanno anche discusso di “sfide globali senza precedenti, inclusa la pace e la sicurezza in Ucraina e l’impatto globale dell’insicurezza alimentare, in particolare per i più vulnerabili”.

Invece, Primo Ministro e Segretario di Stato vaticano hanno dialogato anche sulla “questione delle migrazioni e del cambiamento climatico, e definito l’intenzione di ulteriormente rafforzare le relazioni tra Canada e Santa Sede”.

Papa Francesco in Canada, le polemiche del governo

Marc Miller, ministro per le Relazioni Corona-indigeni del Governo Trudeau, ha dichiarato con delusione che “non è sufficiente l’atto di colpa pronunciato dal pontefice a nome della Chiesa cattolica”, e che le “lacune nelle scuse chieste da Papa Francesco non possono essere ignorate”. Il riferimento è anche ai casi di abusi sessuali.

Il ministro si è anche lamentato che il Papa ha parlato genericamente del “male commesso da singoli cristiani, ma non dalla Chiesa Cattolica come istituzione”.

In maniera del tutto non protocollare, il Primo Ministro Justin Trudeau ha ottenuto di prendere la parola per introdurre lo scambio di discorsi tra Papa Francesco e il governatore Mary Simon il 28 luglio.

Nel suo discorso, il Primo Ministro ha detto che chiedere perdono non è la fine della questione, è un punto di partenza, un primo passo. Lunedì mattina, mi sono seduto con i sopravvissuti e ho sentito le loro reazioni alle sue scuse. Ciascuno ne trarrà ciò di cui ha bisogno. Ma non c’è dubbio che lei abbia avuto un impatto enorme. I sopravvissuti e i loro discendenti devono essere al centro di tutto ciò che facciamo insieme in futuro”.

La dichiarazione di Trudeau dopo la richiesta di scuse di Papa Francesco

Il 25 luglio, il primo ministro Canadese Justin Trudeau ha diffuso, attraverso il suo ufficio, una lunga dichiarazione che fa seguito alla richiesta di perdono del Papa, a nome della Chiesa cattolica, per quanto accaduto nelle scuole residenziali canadesi.

Le scuole residenziali erano scuole governative dove i bambini indigeni venivano portati, strappati alle loro famiglie e alle loro tradizioni, per essere “assimilati” nel nuovo Stato canadese. Alcune di queste scuole furono affidate alla Chiesa Cattolica.

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Secondo stime del governo, ci sono stati almeno 150 mila bambini di First Nations, Inuit e Métis portati via delle loro famiglie e comunità e forzati a frequentare le scuole tra il 1870 e il 1997, e almeno 4120 bambini sono morti nelle scuole.

Il tragico bilancio è stato messo in luce dopo un lungo lavoro di una Commissione Verità e Riconciliazione, che, oltre a un rapporto dettagliato, ha pubblicato 94 call for actions, e di queste solo 4 erano dedicate alla Chiesa cattolica.

Vale la pena ricordare che tra il 2006 e il 2017 tra i 40 mila e gli 80 mila bambini indigeni sono stati strappati alle loro famiglie e dati in affido, secondo una pratica condannata dalla Corte dei Diritti Umani Canadese, che ha anche stabilito un risarcimento di 40 mila dollari per famiglia da parte del governo. Il governo si è appellato.

La richiesta di scuse va, insomma, inquadrata in un contesto più ampio, laddove ci sono state anche responsabilità dei cattolici, ma sono state piuttosto frutto della cultura del tempo e dell’idea di formare una nazione cristiana collaborando con lo Stato.

Non va nemmeno dimenticato lo straordinario lavoro missionario in Canada, certificato sia dalla visita di Papa Francesco a Lac Ste. Anne, sia dalla parrocchia del Sacro Cuore ad Edmonton, dedicata alla pastorale per le popolazioni indigene, anche quella visitata da Papa Francesco.

Nella sua dichiarazione, Trudeau ha notato che il Papa era stato a Maskwacis, situato nel territorio del Trattato 6, terre tradizionali delle Prime Nazioni e dei loro popoli Metis, dove ha riconosciuto gli abusi sperimentati nelle scuole residenziali ebbero come risultato la distruzione culturale, la perdita di vite e il trauma continuo vissuto dalle popolazioni indigene in tutte le regioni del Paese. Sua Santità ha chiesto perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene”.

Trudeau ha spiegato che “il sistema delle scuole residenziali cercò di assimilare i bambini indigeni, obbligandoli ad abbandonare le loro lingue, culture, spiritualità, tradizioni e identità”. Un sistema la cui eredità dolorosa è “presente ancora oggi”.

Trudeau ha ricordato che la call for action numero 58 chiede “specificamente al Papa che chieda perdono a sopravvissuti, alle loro famiglie e alle loro comunità per il ruolo della Chiesa Cattolica Romana negli abusi spirituali, cultural, emozionali, fisici e sessuali dei bambini delle Prime Nazioni, inuit e Metis in queste scuole cattoliche”, e che gli indigeni hanno sempre chiesto al Papa di dare compimento alla richiesta.

Il premier canadese ricorda che i sopravvissuti andarono fino in Vaticano per raccontare le loro verità e ribadire la loro richiesta alla Chiesa cattolica, e che quella riunione non sarebbe stata possibile senza quell’incontro.

Trudeau ha anche detto che “il governo del Canada continuerà ad appoggiare il cammino di cura e ad essere impegnato alla piena applicazione delle richieste delle azioni della Commissione Verità e Giustizia”.

La riconciliazione, scrive ancora Trudeau, è “responsabilità di tutti i canadesi. È nostra responsabilità rimanere aperti, ascoltare e condividere. È nostra responsabilità non vedere le nostre differenze come un ostacolo, ma piuttosto come una opportunità per apprendere, conoscersi meglio e agire”.
Niente, conclude il primo ministro canadese, deve essere dimenticato di ciò che avvenne nelle scuole residenziali del Canada e tutti dobbiamo assicurarci che non accada di nuovo. Nello spirito di riconciliazione e cura, insieme costruiremo un futuro migliore per le popolazioni indigene e per tutti i canadesi.

Le relazioni diplomatiche tra Canada e Santa Sede

Il Canada ha stabilito relazioni diplomatiche con la Santa Sede nel 1969, riconoscendo l’importante ruolo internazionale e influenza della Santa Sede come ente sovrano, considerando la sua influenza su 1,3 miliardi di cattolici e la ramificazione delle sue missioni.

Tra i temi su cui Santa Sede e Canada dialogo, c’è la questione ambientale, ma anche i diritti umani, le migrazioni e la costruzione della pace.

Benedetto XVI ha canonizzato due santi canadesi, Saint Frére André nel 2010 e la prima santa indigena, santa Kateri Tekakwitha, nel 2012. Papa Francesco nel 2014 canonizzò François de Laval e Maria dell’Incarnazione.

Papa Francesco in Canada, la lettura del nunzio

In una intervista con Vatican News alla vigilia del viaggio di Papa Francesco in Canada, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, dal 2021 nunzio ad Ottawa, ha spiegato che il viaggio del Papa è frutto della necessità di “affrontare in modo diverso il problema” del coinvolgimento della Chiesa nelle scuole residenziali, anche se “i Papi e i vescovi ne hanno parlato più volte, sottolineando e anche chiedendo scusa”.

Il nunzio ha notato che “la Conferenza episcopale, negli ultimi tre anni ha progettato un percorso più complesso che contemplava, come primo obiettivo, l’incontro personale del Santo Padre con quattro delegazioni”.

Per l’arcivescovo Jurkovic si tratta di un viaggio “certamente atipico, che comporta tantissime responsabilità”, considerando anche che “si è creata un’atmosfera molto pesante nei confronti della Chiesa, anche a motivo di alcune semplificazioni mediatiche, ma del resto è una vera responsabilità che si è accumulata nella storia”.

La Chiesa, tuttavia, “continuerà a lavorare per la promozione anche dei popoli indigeni”, anche perché “la Chiesa infatti è solo una piccola parte di ciò che è successo. Ci sono altre responsabilità, e la Chiesa non si può dissociare specialmente da quelle del governo. Sono fiducioso: anche i media mi sembra che adesso percepiscano questo potenziale che potrà avere la visita del Santo Padre”.

Secondo il nunzio, il viaggio del Papa è “il massimo che si può fare”, anche perché la Chiesa “non vuole dissociarsi da un problema che è reale, ma essere pare della risoluzione”.

Lo stesso nunzio ha avuto “incontri a vari livelli” con le popolazioni indigene. “Ci sono – spiega - accuse verso la Chiesa per aver partecipato a un progetto del governo che mirava alla quasi eliminazione della identità indigena per creare una nuova società canadese”.

L’arcivescovo Jurkovic afferma che “c’è stato certamente un danno terribile, ma c’è anche da dire che la Chiesa ha avuto grande generosità, ci sono stati fattori anche positivi. La Chiesa e la sua Dottrina sociale sanno guardare al passato in maniera critica. Ci ho messo molto tempo per capire veramente di che cosa si trattava. Si è trattato davvero di una cosa grave e che non riguarda solo il Canada e la questione non può essere risolta dall’oggi al domani. Ci sono altri continenti dove si dovranno fare i passi necessari per superare le ingiustizie del passato”.

In fondo, ha aggiunto, “se si guarda al mondo intero, 500 anni della storia sono stati caratterizzati da profonde ingiustizie: le modalità della conquista da parte degli europei e poi il ritardo nel riconoscere a tutte le culture una propria identità e di rispettarle come sono, e di annunciare a queste culture il Vangelo non come qualcosa di preparato in maniera uguale, invece di comprendere il loro sentimento religioso. È un lungo percorso, la società cambia. Per la Chiesa è un impegno enorme”.

Papa Francesco in Canada, la presentazione del Cardinale Parolin

Prima del viaggio di Papa Francesco in Canada, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha dato la consueta intervista istituzionale a Vatican News, spiegando il senso del viaggio del Papa.

Papa Francesco, ha detto il Cardinale, ha “manifestato in più occasioni una grande attenzione nei riguardi delle popolazioni autoctone”, in numerosi interventi e anche nella esortazione apostolica Querida Amazonia, e ora si è trattato di un passo successivo per la riconciliazione dopo gli incontri avvenuti in Vaticano.

“È certamente impossibile – ha detto il Cardinale - rispondere a tutti gli inviti e visitare tutti i luoghi, ma il Santo Padre è sicuramente mosso dalla volontà di manifestare una concreta vicinanza. Ecco, direi che vicinanza è, anche in questo caso, la parola chiave: il Papa non intende solo dire delle parole, ma soprattutto farsi vicino, manifestare la sua vicinanza in modo concreto. Perciò si mette in viaggio, per toccare con le sue mani le sofferenze di quelle popolazioni, pregare con loro e farsi pellegrino tra di loro”.

Oltre alla richiesta di perdono per “i cristiani che si sono adattati alla mentalità coloniale”, gli incontri saranno anche “nel segno della fraternità e della speranza”, e nel segno “della riflessione sul ruolo che le popolazioni indigene rivestono pure oggi”.

Tra i valori delle popolazioni indigene che vanno tenuti in considerazione ci sono, secondo il Cardinale Parolin, “l’attenzione per la famiglia e per la comunità, la cura per il creato e l’importanza attribuita alla spiritualità, il forte legame tra le generazioni, il rispetto per gli anziani”.

Il cardinale Parolin ha anche notato che il Papa voleva fortemente vivere “un momento liturgico presso il lago di Sant’Anna, che dagli autoctoni viene chiamato il lago di Dio”, perché “lì, da oltre cento anni, si svolge un pellegrinaggio in onore di Sant’Anna, la nonna di Gesù, e in quelle acque si bagnano molti ammalati e persone ferite nel corpo o nello spirito”.

Riguardo il motto “Camminiamo insieme”, Papa Francesco nota che deve essere un cammino che, “partendo da una purificazione della memoria, ravvivi il desiderio di un cammino fraterno nel quale tutti – Chiesa e società civile – siano concordemente coinvolti. Come in molti ambiti, questo camminare insieme è essenziale, oggi più che mai: solo in tal modo, infatti, è possibile costruire e aprirsi ad un futuro di speranza”.

                                                FOCUS EUROPA

Il nunzio in Turchia presenta le credenziali al presidente Erdogan

Il 26 luglio, l’arcivescovo Marek Solczynski, nunzio in Turchia, ha presentato la copia delle sue lettere credenziali al presidente turco Recep Tayyp Erdogan. L’arcivescovo Solczynsky è stato nominato lo scorso febbraio nunzio in Turchia e Azerbaijan in sostituzione dell’arcivescovo Paul Fitzpatrick Russel, ora vescovo ausiliare di Detroit.

L’arcivescovo Solczynski è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal1993, ed è nunzio dal 2011, quando prese l’incarico di nunzio in Georgia, Armenia e Azerbaijan. Grazie alla decisione di separare l’Azerbaijan dalla nunziatura di Tbilisi e unirla invece alla sede di Ankara, Solzcynski torna a rappresentare la Santa Sede a Baku.

I re di Spagna all’offerta di Santiago

Il Re Felipe e la Regina Letizia, con le loro figlie, sono stati il 25 luglio a Santiago di Compostela per la Ofrenda al Apostolo, che compiono per il terzo anno conesecutivo. La cosiddetta Ofrenda Nacional al Apostol Santiago fu istituita nel 1643 da Felipe IV. Nel corso di questi anni, si è mantenuta la tradizione che re, capi di Stato o personalità di altissime responsabilità rendano omaggio al Patrono della Spagna per chiedere la sua intercessione in temi di attualità e per alcune preoccupazione collettiva.

In genere, la casa reale designa un delegato regio tra le personalità politiche della comunità, che legge la carta di offerta nella cerimonia della cattedrale. Nell’anno di San Giacomo, era il re che si prendeva personalmente la responsabilità di andare.

Ma il re era andato anche nel 2020 e nel 2014. Poi è tornato nel 2021 e quindi quest’anno, in una celebrazione che si tiene per il secondo anno consecutivo in cattedrale dopo il blocco dovuto alla pandemia.

Germania – Santa Sede, come vanno i rapporti

In una intervista concessa a Katolisch.de, Bernhard Kotsch, ambasciatore della Repubblica di Germania presso la Santa Sede, ha delineato i rapporti tra Germania e Santa Sede il ruolo della Santa Sede nella sfera globale.

Secondo l’ambasciatore, la diplomazia pontificia è ora centrata sulla situazione in Ucraina. Inoltre, la Germania approva un progetto di investigazione nell’anniversario dell’apertura degli archivi di Pio XII.

Kotsch mostra anche apprezzamento per il lavoro di monsignor Hans Zollner nella lotta contro gli abusi, perché è un approccio che “spinge il superamento degli abusi sessuali in tutto il mondo attraverso l’educazione, la sensibilizzazione e la provenzione”.

Ha aggiunto che la Germania appoggia il lavoro di monsignor Zollner e che ha una posizione molto chiara sul tema, sottolineando che “la Chiesa deve recuperare la confidenza, e lo potrà fare solo attraverso una chiara rivalutazione e tutti gli sforzi possibili per evitare gli abusi sessuali in futuro”.

Secondo Kotsch, la Germania ha “una voce molto importante in Vaticano”, anche perché il Paese “è percepito come un Paese politicamente ed economicamente forte nell’Unione Europea”.

Anzi, ci si aspetta molto dalla Germania “in relazione allo sviluppo ulteriore dell’Unione Europea, la validità del diritto internazionale e anche questioni di risoluzione pacifica dei conflitti”.

Per questo, la Santa Sede considera la Germania come “un socio importante con cui condivide molti obiettivi e interessi”.

Senza dubbio, ha aggiunto l’ambasciatore, la Chiesa Cattolica in Germania “ha una visione speciale, la teologia tedesca è stata ed è molto forte per decenni. Benedetto XVI fu un professore di teologia. È il motivo per cui si aspetta sempre una voce speciale della Chiesa Cattolica in Germania, specialmente quando si tratta di riforme.

                                                FOCUS AMERICA LATINA

Colombia, il governo colombiano chiederà alla Chiesa il sostegno nel dialogo con ELN

Dopo il dialogo con le FARC, che ha portato all’accordo di pace firmato nel 2015 alla presenza del Cardinale Pietro Parolin, l’esecutivo colombiano di Gustavo Petro che entrerà in carica il prossimo 7 agosto chiederà alla Chiesa Cattolica anche un supporto per il dialogo che conta di avviare con la guerriglia dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e altri gruppi armati e bande criminali, conosciute come Bacrim.

La notizia è stata confermata da monsignor Hector Fabio Henao, incarico della Conferenza Episcopale Colombiana per i Rapporti con lo Stato.

La decisione del governo è giunta a seguito di un colloquio del ministro degli Esteri designato Alvaro Leyva Duran e del direttivo della Conferenza Episcopale Colombiana presieduta dall’arcivescovo Luis José Rueda di Bogotà.

Governo e Chiesa attueranno così uno sforzo congiunto per riavviare il tavolo del negoziato con l’ELN e poi con gli altri gruppi armati, con un “metodo e un contesto giuridico differenti”, ha detto monsignor Henao.

Secondo il responsabile dei vescovi per il rapporto con il governo, c’è bisogno di un “sostegno sostanziale per avanzare nei negoziati di pace. Si cerca di trovare una via d’uscita di fronte alla grave situazione che sta vivendo il Paese, con tanti effetti umanitari sulla popolazione”.

Sarà comunque l’esecutivo ad avviare i contatti per avviare il processo di dialogo, mentre alla Conferenza Episcopale spetterà di “accompagnare il processo”.

Il governo Petro cerca supporto della Chiesa per mantenere la promessa di portare “pace totale” nel Paese, e in questa ottica Danilo Rueda, attualmente impegnato nel coordinamento della Commissione Interdicasteriale Giustizia e Pace, sarà nominato dal governo Alto Commissario per la Pace.