Lo scorso 10 ottobre, il vescovo Wilfred Chikba Anagbe di Makurdi, ha preso la parola davanti al Parlamento Europeo nell’ambito di una serie di eventi organizzati da Aiuto alla Chiesa che Soffre e che si sono protratti dal 20 settembre al 14 ottobre.
Gli eventi avevano come scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulla situazione dei cristiani in Nigeria, sempre più difficile.
Nel suo intervento, il vescovo Anagbe ha ricordato che la Nigeria è lo stato africano più popolato, con più di 209 milioni di persone e oltre 250 gruppi etnici e 500 diversi gruppi etnolinguistici.
Le due religioni maggioritarie sono il cristianesimo e l’Islam, con una piccola percentuale di credenti in religioni tradizionali.
“Sebbene la libertà religiosa sia garantita dalla Costituzione Nigeriana nella sezione 38 del capitolo IV, la realtà sul terreno è piuttosto differente. Vedute religiose estreme, narrative combattive e rozza intolleranza continuano a creare e ad ampliare la divisione tra i diversi gruppi religiosi”.
Si tratta di una “Jihad nascosta in molti modi”, dal terrorismo, ai rapimenti, agli animali assassini, al banditismo, e, sebbene la gente fuori dalla Nigeria sappia cosa accade in Nigeria, c’è una sorta di “cospirazione del silenzio”.
Il vescovo sottolinea che la Nigeria ha “una storia molto lunga di persecuzione cristiana”, e per decenni le comunità cristiane delle parti Nord della nazione “hanno sopportato maltrattamenti e ingiustizia a causa della fede”, con azioni che hanno incluso la cancellazione dei loro linguaggi nativi all’insistenza nel dover rispettare il codice di abbigliamento musulmano, fino alla negazione di alcuni diritti e privilegi”.
Questo perché diversi musulmani in Nigeria desiderano che la nazione “diventi una repubblica islamica” e per questo hanno lavorato nel corso degli anni, tanto che “la Nigeria secondo la Costituzione è una nazione secolare, ma in realtà sta diventando sempre più uno Stato musulmano”.
La diocesi di Makurda si trova nello Stato di Benue, dove “il regno di terrore si è diffuso velocemente”, e persino le aree di governo locale nello Stato sono state “coperte di sangue dagli assalitori”.
C’è una documentazione quotidiana delle atrocità subita nella diocesi dal 2014, e che dicono che “fino a giugno 2022, lo Stato di Benue ha sofferto oltre 200 attacchi con danni alle proprietà del valore di 500 miliardi di naira (poco più di 1,1 miliardi di euro), mentre circa due milioni di persone sono sfollate e vivono in campi nel territorio dello Stato”, e molti bambini non hanno potuto completare il loro ciclo di educazione. C’è anche “una palpabile insicurezza alimentare, la completa perdita di dignità umana come uomini, donne e bambini” che diventano spesso “meccanismi insicuri di sforzo per sopravvivere”.
Secondo alcuni, l’etnia Tiv nello Stato Benue viene presa di mira perché questa ha resistito pervicacemente agli attacchi jihadisti nel 1804, ma il vescovo sottolinea che piuttosto lo Stato è vittima di attacchi perché “la maggior parte del popolo ha dichiarato nettamente che non abbandonerà la loro fede giudeo-cristiana per l’Islam”.
Quello che preoccupa di più – ha detto il vescovo Anagbe – è “la mancanza apparente di risposta decisiva a questi attacchi jihadisti”, e quindi ha chiesto a tutta la comunità internazionale di andare ad aiutare la comunità cristiana di Nigeria.
Il vescovo ha notato che alcuni pensano che la violenza in Nigeria non ha “niente a che fare con la religione”, eppure gli attacchi “sembrano sempre più una jihad contro i cristiani”.
Alcuni indizi: i perpetratori degli attacchi “vengono dal lontano Nord della Nigeria e sono soprattutto aderenti musulmani”; utilizzano un modello distruttivo che rispecchia quello dei gruppi terroristici islamici; alcuni hanno professato fedeltà a grupi come l’ISIS e l’ISWAP.
“Per anni gli obiettivi sono state chiese e scuole”, in modo che la popolazione si sentisse “senza speranza, diventasse affamata e si arrendesse immediatamente”. Questo ha portato, a partire dal 2014, a far sì che intere fasce orarie delle attività siano rimaste deserte e le attività pastorali sono cessate o sono state condotte sotto una strettissima sicurezza”.
Allo stesso tempo, il vescovo sottolinea di considerare impossibile “mantenere un equilibrio dopo essere stati testimoni del massacro di persone innocenze e senza difese davanti a difficili condizioni economiche”, e questo “nonostante il nostro ruolo di ministri di Dio”.
C’è molto dolore e “le ferite non guariranno in nessun modo presto”, ma “come leaders, dobbiamo dimostrare la tenacia necessaria per rimuovere l’umiliazione nazionale dai nostri cittadini i cui diritti e dignità sono stati abusati”.
Ucraina, il Cardinale Parolin sottolinea che una tregua è urgente
Parlando della situazione ucraina in una intervista a Famiglia Cristiana, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha detto che non solo ritiene “la tregua plausibile, ma la giudico necessaria e urgente”.
Centro dell’intervista, i ripetuti appelli per la pace in Ucraina di Papa Francesco – l’ultimo dopo l’udienza generale del 12 ottobre. Il Cardinale Parolin ha detto di non essere in grado di dire “quale pace sia possibile”, ma il primo passo necessario non può che essere “far cessare il crepitare delle armi, i bombardamenti, le distruzioni”.
Questo passo – ha aggiunto – deve essere anche “accompagnato e favorito da gesti non di minaccia, ma di fiducia e di buona volontà, che creino le condizioni per il dialogo e aprano la strada a negoziati. Il Papa su questo è stato chiaro”.
Il capo della diplomazia vaticana ha detto che “le porte rimangono aperte, il dialogo non si interrompe”, e questo anche per quanto riguarda un possibile incontro tra parte di Papa Francesco e Kirill.
"Da parte della Santa Sede – ha detto il Cardinale Parolin - il desiderio non è mai venuto meno, anche se le circostanze hanno impedito che esso divenga realtà. Noi percepiamo che anche da parte della Chiesa ortodossa c'è questo desiderio".
Il Segretario di Stato ha anche invitato a non dimenticare “la tragedia della Siria, lo Yemen, il Tigrai, l'acuirsi delle tensioni in Estremo Oriente… Anche se alcuni conflitti sono meno pubblicizzati, non c'è guerra meno dolorosa di altre, non c'è vita che valga meno".
FOCUS MEDIO ORIENTE
Regno Unito, l’arcivescovo di Canterbury preoccupato per lo spostamento a Gerusalemme dell’ambasciata del Regno Unito
Justin Welby, arcivescovo di Canterbury e primate della Chiesa Anglicana, si è detto preoccupato riguardo la possibilità che l’ambasciata del Regno Unito in Israele possa essere trasferita da Tel Aviv a Gerusalemme.
Secondo quanto trapelato, il Primo Ministro inglese Liz Truss avrebbe detto al suo omologo Yair Lapid che stava considerando la possibilità del trasferimento a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la scorsa settimana.
Truss potrebbe così seguire le orme del presidente USA Donald Trump, e anche in quel caso ci fu molta preoccupazione internazionale. L’arcivescovo Welby si dice preoccupato delle conseguenze di una scelta del genere prima che si arrivi finalmente ad un accordo tra Israele e Palestina.
Welby non ha parlato direttamente, ma attraverso un portavoce che ha reso dichiarazioni il 7 ottobre a Jewish News. Secondo il portavoce, “l’ambasciatore è preoccupato riguardo il pottenziale impatto di spostare l’ambasciata inglese in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme prima che si raggiunga un accordo negoziato tra Palestinesi ed Israeliani”.
L’arcivescovo, ha proseguito il portavoce, è “in contatto con leader cristiani della Terra Santa e continua a pregare per la pace a Gerusalemme”.
Libano, il patriarca e i candidati alle presidenziali
In vista delle elezioni del 13 ottobre in Libano, il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei maroniti, aveva preso la parola ancora una volta entrando nel terreno politico, dicendo no ad un candidato di compromesso e invitando i parlamentari ad eleggere un presidente che esprimesse la volontà della società libanese.
Secondo il Cardinale Rai, è tempo che "i candidati alla presidenza si identifichino con la loro personalità, la loro esperienza, la loro durezza, la loro visione chiara e la loro capacità di metterli in pratica".
Il mandato del presidente Michel Aoun scade il 31 ottobre e non può essere rieletto. Ufficialmente il 1° settembre è iniziato il periodo elettorale previsto dalla costituzione libanese, ma la prima sessione elettorale del parlamento ha dovuto essere aggiornata per mancanza del quorum.
Nel Paese dei Cedri, la Costituzione prevede una divisione delle quote presidenziali attraverso le comunità religiosa: il presidente è cristiano maronita, il presidente del Consiglio è sunnita e il presidente del Parlamento è sciita.
Queste presidenziali cadono in un momento di grave crisi economica in Libano, che si unisce anche alla questione dei confini marittimi al largo di Israele e Libano. Dopo vari negoziati, un accordo è stato raggiunto nei giorni scorsi con la mediazione USA.
FOCUS AFRICA
Papa Francesco sarà in Congo all’inizio del prossimo anno
Secondo il Cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, la visita di Papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo, organizzata per lo scorso luglio e poi rinviata, non è stata completamente messa da parte e anzi dovrebbe aver luogo all’inizio del prossimo anno.
Il Cardinale Ambongo lo ha dichiarato nella sua omelia della Messa di apertura dell’anno pastorale, lo scorso 8 ottobre.
“Papa Francesco verrà, ma non quest’anno – ha detto il presule – Arriverà all’inizio del prossimo anno”.
Il Cardinale ha comunque sottolineato che persistono i problemi di salute del Papa e per questo si deve pregare per lui. La visita di Papa Francesco in Repubblica Democratica del Congo era prevista dal 2 al 5 luglio. Papa Francesco ha inviato al suo posto il Cardinale Pietro Parolin, che ha ripercorso le orme del viaggio che avrebbe dovuto fare il Santo Padre a inizio luglio.
Il viaggio prevedeva anche una tappa in Sud Sudan.
FOCUS EUROPA
Il cardinale Parolin all’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede
Lo scorso 12 ottobre, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha presieduto nella Basilica di Santa Maria Maggiore una concelebrazione eucaristica per la solennità della Virgen del Pilar, che in Spagna è Fiesta Nacional. Nello stesso giorno, si celebra l’anniversario della scoperta dell’America, ed era anche il 400esimo anniversario dello stabilimento dell’ambasciata di Spagna presso la Santa Sede.
Nella sua omelia, il Cardinale Parolin ha reso grazie per l’evangelizzazione della Spagna, che cominciò negli anni 40 dopo Cristo grazie all’apostolo Giacomo.
“Una tradizione veneranda – ha spiegato il Cardinale - infatti, riferisce che l’Apostolo, sfiduciato per le grandi difficoltà incontrate nell’evangelizzazione, chiese un segno. Fu allora che gli apparve la Vergine Maria – che viveva ancora in carne mortale – in piedi sopra un pilastro di marmo. Maria chiese all’Apostolo che le si costruisse lì una chiesa, con un altare attorno al pilastro su cui stava e promise che ciò sarebbe rimasto fino alla fine dei tempi affinché la virtù di Dio potesse operare miracolosamente per sua intercessione a beneficio di chi per necessità avesse implorato il suo patrocinio”.
Il Cardinale ha quindi chiesto “fede, speranza e carità per noi e per tutta la Spagna, perché i nostri piedi siano saldi sopra la roccia”.
Dopo la benedizione finale, l’ambasciatore Celaá, nel suo ringraziamento, ha messo in evidenza i legami e l’interscambio reciproco nella storia tra Roma e Madrid. Riandando poi alla storia di Santa Maria Maggiore e rievocandone anche la tradizione che vede nella doratura del magnifico soffitto il primo oro portato dal Perù a Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona e da loro regalato a papa Alessandro VI, di cui è forte l’impronta nella Basilica.
FOCUS MULTILATERALE
Santa Sede a New York, sui diritti dei bambini
Il 10 ottobre, si è tenuto al Terzo Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite una discussione sul tema dei diritti dei bambini.
La Santa Sede, in un intervento, ha messo in luce come la famiglia sia alla base del benessere dei bambini, e i genitori sono fornitor, protettori e difensori privati dei bambini, motivo per cui gli sforzi per proteggere i diritti e il benessere dei bambini deve anche sostenere e rafforzare la famiglia.
La Santa Sede chiede anche che i bambini vengano anche protetti da “ogni forma di violenza”, e mette in luce che la povertà costituisce un rischio per i diritti umani dei bambini, perché minaccia la loro educazione e li mete a rischio di essere soggetti a lavoro minorile, matrimonio infantile e altre forme di sfruttamento e abuso.
L’educazione, per la Santa Sede, non ha discriminazione di sesso, mentre deve rifiutare le pratiche che riducono la persona umana ad un oggetto, incluso l’aborto e la pornografia infantile.
La Santa Sede a new York, sui crimini contro l’umanità
L’11 ottobre, il Sesto Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha invece affrontato il tema dei crimini contro l’umanità.
Intervenendo nel dibattito, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha messo in luce che le popolazioni civili “sono ancora vittime di ampi e sistematici attacchi”, con “massacri, torture, stupri e il deliberato, indiscriminato prendere di mira le aree civili e i corridoi umanitari”.
Questo può costituire sia “Crimini contro l’umanità” che crimini di guerra”.
La Santa Sede ha dedicato particolare attenzione al tema del traffico di esseri umani, e ha detto che c’è bisogno di una definizione di responsabilità per “evitare gli attacchi contro le popolazioni civili”.
La Santa Sede in particolare supporta una convenzione globale sui crimini contro l’umanità, sottolineando che ogni convenzione “debba focalizzarsi sul codificare leggi convenzionali esistenti e nel promuovere la cooperazione internazionale”.
Questa convenzione – ha aggiunto il nunzio – “deve essere costruita sul principio dell’Aut dedere aut judicare” e definire il dovere degli Stati parte di perseguire i crimini contro l’umanità nei loro confini.
Questo perché – ha concluso – la comunità internazionale ha una responsabilità di proteggere le popolazioni dai crimini contro l’umanità, e una convenzione permetterebbe di fare un passo avanti in quella direzione.
La Santa Sede a New York, sulla protezione del clima
Ancora l’11 ottobre, si è discusso al Secondo Comitato dell’ONU di “Sviluppo sostenibile. Protezione del clima globale per le presenti e future generazioni dell’umanità”.
Il cambiamento climatico – ha detto l’arcivescovo Caccia – “è un problema globale che ha implicazioni per tutti”, e che va affrontato con un approccio “multidimensionale”.
Tra le azioni da fare ci sono: affrontare la crisi della mitigazione del clima, anche transitando verso risorse sostenibili; costruire resilienza degli ambienti naturali e umani per adattarsi ai negativi impatti del cambiamento climatico; e quindi stabilire una cornice coerente di misure di adattamento.
La Santa Sede a New York, i diritti delle popolazioni indigene
Il 12 ottobre, si è parlato invece dei diritti delle popolazioni indigene. La Santa Sede ha ricordato che in quest’anno si celebra il 15esimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Popolazioni indigene.
Questa dichiarazione – ha aggiunto – stabilisce “una serie di standard minimi per la sopravvivenza, dignità e benessere delle popolazioni indigene”, eppure c’è “ancora molto da fare”.
Ancora oggi, sottolinea l’arcivescovo Caccia, le popolazioni indigene vengono a volte deportate dalle loro terre, e soffrono in maniera sproporzionata degli effetti avversi del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità. Come conseguenza, sono a rischio di maggiori violazioni di diritti umani.
La Santa Sede ha chiesto anche di coinvolgere maggiormente le popolazioni indigene nelle discussioni e nelle decisioni su temi che li coinvolgono direttamente.
La Santa Sede a New York, la questione dell’integrità territoriale ucraina
La questione dell’integrità territoriale ucraina, a seguito dei nuovi e più duri attacchi della Russia su suolo ucraino che sono arrivati a toccare la capitale Kiev e persino Lviv nella zona occidentale, è stata dibattuta in una Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso 12 ottobre.
L’arcivescovo Caccia ha ricordato la accorata preghiera di Papa Francesco per la fine del conflitto, evidenziando che ogni ora vite innocenti sono perdute e le ferite tra la popolazione sono approfondite.
Per questo, la Santa Sede ha chiesto un immediato cessate il fuoco e l’inizio delle negoziazioni per arrivare a soluzioni giuste, stabili e basate sul rispetto per la vita umana e la sovranità e integrità territoriale di ciascuna nazione.
La Santa Sede a New York, la questione del disarmo
Quasi in maniera provvidenziale, il 12 ottobre si è parlato alle Nazioni Unite anche di disarmo e sicurezza internazionale, e la Santa Sede ha partecipato con un intervento al dibattito generale del comitato dedicato.
L’arcivescovo Caccia ha ricordato che la crisi dei missili cubani – cui ha fatto riferimento anche Papa Francesco nell’Angelus del 9 ottobre scorso – ricordando che questa “fu evitata solo attraverso il bando delle armi nucleari, il disarmo, il dialogo e la costruzione di mutua fiducia”.
La Santa Sede ha notato che l’architettura del disarmo “è appesa ad un filo”, e ha chiesto un approccio per il disarmo integrale e una condanna inequivoca di ogni minaccia di uso dell’arma nucleare.
L’arcivescovo Caccia ha messo in luce che ci sono segni di speranza, come il Trattato Globale di Bando dei Test Nucleari, il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari, nonché il Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Eppure, non si può non essere preoccupati dal fatto che non ci sia stato consenso alla Decima Conferenza di Revisione del Trattato di Non Proliferazione, mentre le spese militari sono andate oltre i 2 trilioni di dollari nel mondo, ed è stato persino militarizzato lo spazio, mentre cresce l’uso malizioso di tecnologia e dei cosiddetti LAWS (Sistemi di Armi Autonomi e Letali). Questi ultimi sono una preoccupazione costante della Santa Sede, che guarda al loro sviluppo come una ulteriore minaccia.
La Santa Sede a New York, lo sviluppo agricolo
Il dibattito sullo sradicamento della povertà passa anche per la questione dello Sviluppo Agricolo, la Sicurezza Alimentare e la Nutrizione, come mettono in luce le classificazioni per i dibattiti alle Nazioni Unite. Ed è stato proprio questo il tema con cui si è dovuta confrontare la Santa Sede in un comitato ONU lo scorso 12 ottobre.
La Santa Sede ha sottolineato che la più grande sfida globale è proprio quella dello sradicamento della povertà, obiettivo dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030 ambito eppure ancora lontano da venire ad 8 anni dalla scadenza degli obiettivi. Anzi, la povertà estrema nel mondo è salita dall’8,3 per cento del 2019 al 9,2 per cento del 2020.
Secondo l’arcivescovo Caccia, gli sforzi per sradicare la povertà dovrebbero affrontare “la complessa realtà della povertà”, con diverse misure che includono l’accesso inclusivo ed equo all’educazione di qualità, le politiche che contribuiscono alla creazione di lavoro e sistemi adeguati di protezione.
La Santa Sede chiede anche misure per mitigare la fame e la malnutrizione nel mondo. In particolare, è stato chiesto “un nuovo pensiero” dove le politiche abbiano la persona umana al centro e assicurino accesso egualitario e quei beni, risorse e opportunità necessarie che sono indispensabili per sostenere la vita e promuovere lo sviluppo integrale e il benessere di ciascuna persona.
La Santa Sede a Ginevra, su migranti e rifugiati
Per il 73esimo Comitato Esecutivo del Programma per i Rifugiati dell’Alto Commissariato ONU, la Santa Sede ha deciso di inviare come capo delegazione Francesca Di Giovanni, sottosegretario della Segreteria di Stato per il Settore Multilaterale.
Nel suo intervento, Di Giovanni ha notato che questo comitato esecutivo si “incontra in un momento in cui violenza, persecuzioni e conflitto rompono il nostro senso di fraternità e l’unità della nostra famiglia umana”, un momento storico e drammatico in cui i numeri registrati di sfollati sono ben oltre “le possibili soluzioni durevoli e l’aiuto umanitario disponibile”.
Lo sguardo è ovviamente all’Ucraina, ma c’è anche una crisi globale di solidarietà e umanità.
Di Giovanni rinnova comunque l’appello della Santa Sede per gli Stati, affinché facciano tutto il possibile per porre fine alla guerra e reimpegnarsi nel dialogo autentico per una pace durevole.
Altra questione che causa questa ondata migratoria è il “sempre crescente impatto del cambiamento climatico e dei disastri naturali”, e chiede un approccio internazionale e istituzionali più armonico che “riaffermi il mandato di protezione della Alto Commissario”.
La Santa Sede, inoltre, fa un appello urgente perché ci siano progressi più tangibili ed efficaci, dato che “numeri significativi di rifugiati continuano a rimanere persi in uno stato di limbo, incapaci di ritornare a casa o di integrarsi nelle loro nazioni di asilo”, casi in cui “un ristabilimento in una terza nazione è fondamentale”.
Per la Santa Sede, “i conflitti e le situazioni di rifugiati protratte” non possono essere la nuova normalità, perché i rifugiati e gli sfollati sono prima di tutto “esseri umani e perciò soggetti di diritti e doveri e non oggetti di assistenza”.
La Santa Sede riconosce che “la solidarietà di alcuni Stati merita uno speciale riconoscimento”, afferma che “non possiamo rendere la prossimità geografica il solo fattore nel determinare la nostra responsabilità condivisa per la protezione o il livello di assistenza umanitaria”, ribadisce la preoccupazione per alcune nazioni che “hanno accresciuto il peso delle comunità ospiti attraverso una insostenibile strategia di esternalizzazione”.
Di Giovanni, poi, evidenzia un tema generale: quello dell’uso di un linguaggio pro gender anche in documenti che non c’entrano niente. “La Santa Sede – afferma – desidera che sia messo di nuovo agli atti la preoccupazione sull’uso delle Conclusioni del Comitato Esecutivo per spingere alcune agende e ideologie piuttosto che fornire la guida tecnica necessaria per l’Alto Commissario per affrontare i concreti bisogni di rifugiati e comunità ospiti”.
La Santa Sede deplora l’approccio “prendere o lasciare” di alcune delegazioni e di altri forum delle Nazioni Unite, perché questo approccio “mette a rischio la volontà politica e il multilateralismo”.
Non solo: la Santa Sede nota “una crescente frammentazione delle soluzioni, che alimenta alter tensioni e divisioni”, e sottolinea che sarebbe miope “focalizzarsi solo nel fornire assistenza ignorando i sintomi delle molte crisi che la famiglia umana affronta oggi”. Ci vuole “una riflessione collettiva più profonda sulle cause alla radice dello sfollamento forzato”, che includa “ogni sforzo per assicurare le condizioni necessarie perché le persone possano vivere in pace, sicurezza e dignità nelle loro nazioni di origine”.