Sebbene Vietnam e Cina non vadano comparati, è vero che i percorsi di avvicinamento da parte della Santa Sede possono essere simili. Il Cardinale Parolin ha espresso più volte, negli ultimi tempi, la volontà di stabilire un ufficio di rappresentanza della Santa Sede a Pechino, che permetta appunto alla Santa Sede di essere presente sul territorio cinese, conoscerlo, avere rapporti con il governo.
Ma va ricordato che all’ufficio di rappresentanza ad Hanoi si è arrivati dopo un lungo percorso che ha visto nel 1996 l’allora monsignor Pietro Parolin firmare in qualità di sottosegretario un accordo con il Vietnam per le nomine episcopali, rinnovato senza grosse modifiche nel 2010.
Funziona così: il Papa fornisce una lista di possibili candidati, il governo vietnamita può accettare le nomine. La maggior parte dei vescovi in Vietnam è composta da sacerdoti che hanno studiato all’estero, ma di fatto non ci sono state notizie – e se ci sono state, le situazioni sono state presto sanate – di rifiuti da parte vietnamita ai vescovi proposti dalla Santa Sede.
Come è successo con la Cina, anche in Vietnam la figura chiave per la ridefinizione dei rapporti diplomatici è stato il Cardinale Etchegaray, che visitò ufficialmente il Paese nel 1989, aprendo a successive visite di una serie di delegazioni pontificie nelle diocesi vietnamite.
Lo scorso 27 luglio, Duong Hai Hung, ambasciatore del Vietnam in Italia, ha notato che le relazioni tra Vietnam e Santa Sede si stanno sviluppando positivamente. Lo scorso periodo natalizio, ha ricordato, per la prima volta leader di alto livello vietnamiti hanno inviato un messaggio di auguri a Papa Francesco, e il Papa ha chiesto a sua volta all’ambasciatore vietnamita in Italia di portare i suoi auguri ai leader e al popolo del Vietnam.
L’ambasciatore ha anche definito “significativo” e frutto di “14 anni di negoziati” la decisione, maturata alla fine del X incontro di dialogo del Gruppo di Lavoro Congiunto Vietnam Santa Sede, di aprire ad un rappresentante residente della Santa Sede ad Hanoi, concretizzata poi il 27 luglio scorso.
Secondo l’ambasciatore, da parte della Santa Sede c’è sempre stata volontà di mantenere scambi e programmi di lavoro tra le delegazioni vietnamite e le agenzie competenti della Santa Sede, che manda sempre rappresentanti a partecipare alle attività organizzate dall’ambasciata del Vietnam In Italia.
Secondo dichiarazioni rese invece dal vice-ministro degli Esteri vietnamita Le Thi Thu Hang, Santa Sede e Vietnam hanno visto un progresso nelle relazioni nell’ultimo periodo, e lo Stato vietnamita ha portato avanti una consistente politica di rispettare e assicurare la libertà di credo e religione, creando condizioni favorevoli per le attività religiose in generale e le attività cattoliche in particolare.
FOCUS EUROPA
Un passaggio di Papa Francesco a Mosca?
Sembra una ipotesi inverosimile, eppure l’agenzia di Stato russa TASS lo scorso 23 luglio ha riportato che Papa Francesco avrebbe proposto al patriarca di Mosca Kirill di incontrarsi in uno degli aeroporti di Mosca, sulla via del ritorno dal suo viaggio in Mongolia il prossimo 4 settembre. La fonte si è poi rivelata essere Leonid Sevastianov, presidente dell’associazione dei Vecchi Credenti russi e amico del Papa, che più volte è intervenuto durante la guerra per riportare quello che lui definisce il pensiero del Papa.
Una fonte vaticana ha comunque smentito alla TASS la possibilità di un secondo incontro tra il Patriarca di Mosca e Papa Francesco. Questo dovrebbe avvenire invece “fuori dal contesto del conflitto ucraino” in modo che si possano focalizzare interamente “sulle questioni del dialogo ecumenico”.
Papa Francesco e Kirill si sono incontrati per la prima volta nel febbraio 2016, all’aeroporto dell’Avana, a Cuba. Un secondo incontro era in organizzazione a Gerusalemme nel giugno 2022, a margine di un pianificato viaggio del Papa in Libano. Né l’incontro a Gerusalemme né il viaggio in Libano erano stati ufficializzati, e se ne venne a sapere solo dopo che il Papa dichiarò in una intervista che erano stati posposti.
Da allora, non ci sono state proposte vaticane, mentre i rappresentanti della Chiesa Ortodossa Russa hanno bloccato il dialogo con il Cardinale Kurt Koch, presidente del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, dopo che questi ha definito “una eresia” l’appoggio alla guerra in Ucraina in una intervista a Die Tagespost.
Guerra in Ucraina, la posizione del metropolita Hilarion
In quella che sembra essere la sua prima intervista a tutto campo da quando è metropolita di Budapest, Hilarion, già capo del Dipartimento delle Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, ha dichiarato che la Chiesa Ortodossa di Mosca vive “con grande dolore” la situazione in Ucraina.
“Vorrei – ha detto il metropolita – citare le parole di Sua Santità il Patriarca dalla sua relazione alla Conferenza episcopale. Parla dell’attuale confronto armato da Russia e Ucraina: ‘Interi territori sono diventati inabitabili. È con profondo dolore che io vivo quello che sta succedendo, specialmente la sofferenza e la tristezza della gente pacifica, specialmente dato che da entrambi i lati delle ostilità ci sono, tra le altre cose, i bambini delle Chiesa Ortodossa Russa”.
Secondo il metropolita Hilarion, questa posizione “indica chiaramente che la Chiesa Ortodossa Russa percepisce tutto ciò che sta accadendo con dolore, prega per tutti quelli che sono diventati vittime di conflitto armato, sia i militari che i civili. Il Patriarca ha ricordato che il gregge della Chiesa Ortodossa Russa è da entrambi i lati del confronto, cosa che rende questo conflitto particolarmente tragico per la Chiesa russa”.
Sembrano parole che portano ad una nuova percezione del conflitto da parte del Patriarcato di Mosca, orientato verso una maggiore neutralità. Ma è vero anche – nota il commentatore di cose ortodosse Peter Anderson che “alla cena che ha preceduto l’apertura della conferenza, il Patriarca Kirill ha detto ai vescovi: ‘Oggi dobbiamo tutti riconoscere la nostra chiamata e unirci alla lotta. Combattere per la Madrepatria, combattere per la Chiesa’.” L’idea di Anderson è che il metroplita abbia selezionato le parole del Patriarca che riflettono la sua venuta.
L’agenda della “Conferenza sull’attuale confronto armato tra Russia e Ucraina” era stata primariamente definita dal Patriarca Kirill, e non dal Sinodo, e il metropolita Hilarion ha avuto grande visibilità, cosa che segnala che Kirill avrebbe mantenuto stima nei confronti del suo vecchio capo delle relazioni esterne.
L’improvvisa assegnazione della metropolia di Budapest a Hilarion sarebbe, secondo alcuni, venuta da pressioni dell’amministrazione di Putin, e non su scelta di Kirill, e questo perché il metropolita non aveva dato supporto pubblico per le azioni russe in Ucraina.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Il Cardinale Sako ha incontrato presidente e primo ministro del Kurdistan
Dopo la decisione della presidenza irachena di non riconoscere il Cardinale Sako come patriarca in un decreto presidenziale che riguarda anche la gestione dei beni della Chiesa, il Patriarca Caldeo ha lasciato Baghdad per protesta per stabilirsi in Kurdistan.
La nunziatura apostolica di Baghdad, a seguito della decisione, aveva rilasciato un comunicato stampa dai toni intermedi, considerando anche che la gestione dei beni da parte delle confessioni religiose è iscritta nella costituzione irachena, e che Baghdad sottolineava che il provvedimento non riguarda solo la Chiesa Caldea, ma tutte le confessioni religiose.
Da parte caldea, però, si fa notare come la scelta del presidente sia stata influenza da al Kildani e dalle cosiddette “Brigate Babilionia”, brigate cristiane che hanno molto seguito e che hanno una dialettica forte con i leader religiosi.
Dopo essere Stato ad Istanbul per ordinare un sacerdote caldeo, come previsto, il Cardinale Sako è tornato in Kurdistan, dove lo scorso 25 luglio è stato ricevuto dal presidente del Kurdistan Masoud Barzani. Dopo l’incontro, il Cardinale Sako ha ringraziato il presidente per il rispetto e l’inclusività che la regione del Kurdistan ha mostrato nei confronti delle minoranze religiose.
Barzani ha affermato, dal canto suo, che la regione del Kurdistan è “una terra di coesistenza tra tutte le comunità etniche religiose”, ricordando che durante la lotta contro l’ISIS, ha fatto sapere a una delegazione di sacerdoti che il Kurdistan è la loro terra”.
La delegazione cristiana ha anche aggiornato il presidente Barzani riguardo la situazione nella Piana di Ninive, delle vite dei cristiani e del loro benessere. Secondo una dichiarazione della presidenza curda, Barzani ha ribadito “l’importanza che l’Iraq, inclusa la regione del Kurdistan, abbracci tutte le comunità etniche e religiose, sperando che il presidente dell’Iraq risolva la questione presto”.
Sako ha fatto sapere che non tornerà a Baghdad finchè l’Iraq non ripristinerà il decreto presidenziale revocato dal presidente Rashid.
FOCUS SEGRETERIA DI STATO
Il Cardinale Parolin a Camaldoli, per gli 80 anni del Codice
Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha celebrato lo scorso 24 luglio la messa conclusiva del convegno che ha celebrato gli ottanta anni del Codice di Camaldoli che nel 1943 un gruppo di intellettuali e religiosi cattolici redasse sui problemi della società, rapporti tra individuo e stato, tra bene comune e libertà individuale. Quel codice fu poi alla base anche della Costituzione italiana.
Nella sua omelia, il Cardinale Parolin ha parlato anche della “inopinata guerra nel cuore dell’Europa” che “sembra voler ravvivare macabre nostalgie totalitarie”.
Oggi, ha detto il Cardinale, "il vero problema per il credente che vive nella storia è duplice: resistere al male, e perseverare nella fede senza cercare accomodanti scorciatoie". E sottolinea che "il messianismo di Gesù non è politico, non tende cioè a esprimere uno stato, un potere mondano. Egli vede la presenza del Regno dei cieli nella storia come scarto, contraddizione, nascondimento".
Il segretario di Stato vaticano ci ha tenuto anche a sottolineare che “il messianismo di Gesù è un messianismo della persona. Non è una utopia. Pensarlo come utopia è stato una delle contraddizioni storiche che la cristianità ha sopportato”.
Il cardinale ha anche notato che se al tempo del Codice di Camaldoli non si immaginava cosa sarebbe stato, ma si percepiva un cambiamento, anche oggi si sta percependo “una svolta antropologica”, che però “sembra voler mettere in discussione la fede stessa”.