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Diplomazia Pontificia, Papa Francesco e il dialogo con l’Islam

Il lavoro del Papa nel dialogo con l’Islam. Gli incontri con il Grande Imam Al Tayyed. Quello con Al Sistani in Iraq, La mano tesa al Marocco. Ora, l’Indonesia.

Papa Francesco in Indonesia | Un banner del viaggio di Papa Francesco a Giakarta | Salvatore Cernuzio / Vatican News Papa Francesco in Indonesia | Un banner del viaggio di Papa Francesco a Giakarta | Salvatore Cernuzio / Vatican News

La dichiarazione congiunta con il Grande Imam della Moschea Istiqlal non è solo parte del lavoro di dialogo interreligioso portato avanti da Papa Francesco. È anche parte di un lavoro diplomatico della Santa Sede, che sotto Papa Francesco si è fatto particolarmente attivo e che ha portato alla Dichiarazione sulla Fraternità Umana di Abu Dhabi del 3 febbraio 2019, all’intervento di Papa Francesco alla Conferenza per la Pace del Cairo nel 2017, all’incontro di Papa Francesco con l’Ayatollah al Sistani in Iraq nel 2021, ai sette incontri di Papa Francesco con il Grande Imam di al Azhar Ahmed Al Tayyb, e alla dichiarazione congiunta su Gerusalemme di Papa Francesco e del re del Marocco durante il viaggio del Papa nel Paese nel 2019.

Sono tutti segni che rispecchiano anche un dibattito interno all’Islam: con la dichiarazione di Marrakech del 2016, l’Islam sunnita si apriva al mondo non considerando l’essere islamico come un prerequisito necessario per ottenere la cittadinanza, in Pakistan, dove Asia Bibi e non solo era stata condannata a morte per blasfemia, diversi intellettuali islamici avevano messo in luce la drammaticità delle leggi anti-blasfemia del Paese.

La Dichiarazione di Abu Dhabi, siglata insieme al Grande Imam di al Azhar, ha funzionato un po’ come una “sveglia” per il mondo islamico, l’incontro con Al Sistani, sciita, aveva riequilibrato in qualche modo i punti di vista, e sembra ci sia quasi una competizione nei Paesi islamici a dimostrare un certo grado di tolleranza: l’Arabia Saudita, già nel 2011, ha stabilito un centro per il Dialogo Interreligioso, il KAICIID, e ha chiesto alla Santa Sede, con la quale non ha rapporti diplomatici, di essere Paese osservatore; gli Emirati hanno siglato la Dichiarazione della Fraternità Umana al culmine di un lavoro proprio sul tema della Fraternità, e hanno poi promosso alle Nazioni Unite una Giornata Mondiale della Fraternità cui la Santa Sede ha aderito; in Iraq si è stabilita, dopo la visita di Papa Francesco, una Giornata Nazionale della Coesistenza

Cosa succederà, dunque, in Indonesia dopo il viaggio di Papa Francesco? Difficile dirlo, ma di certo si è aperto un nuovo capitolo di dialogo.

                                                           FOCUS VIAGGIO PAPALE

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Il Papa per il dialogo interreligioso in Indonesia

Papa Francesco ha lodato, sin dal suo discorso al corpo diplomatico nel primo giorno di viaggio a Jakarta, il dialogo religioso che viene operato a più livelli nella società indonesiana, definendolo come una sorta di antidoto agli squilibri sociali ed economici. E il 5 settembre ha visitato la moschea Istiqlal, fino a vedere il “Tunnel dell’amicizia”, il sotterraneo che unisce la moschea con la cattedrale cattolica di là della strada, firmando la “Dichiarazione di Istiqlal”. Con l’Islam nusantara (dell’arcipelago), cioè il particolare Islam dell’Indonesia, che si ispira e ispira i pancasila, i cinque principi su cui si regge lo Stato indonesiano, Papa Francesco decide di fare una dichiarazione diversa, breve nella forma, basata sull’armonia, ed è normale così. Perché sebbene i principi di Abu Dhabi si possano tranquillamente adattare, ogni Islam è diverso. In effetti, Papa Francesco fece una dichiarazione diversa anche con il re del Marocco quando si recò in visita nel Paese.

Vale la pena soffermarsi sulla personalità del Grande Imam della Moschea Istiqlal, la più grande di Asia. Nasaruddin Umar fondatore dell’organizzazione interfede indonesiana Masyarakat Dialog antar Umat Beragama, dal 2011 al 2014 ha servito come viceministro del Ministero degli Affari Religiosi, ed membro dell’Advisory Team tra Regno Unito e Indonesia che fu fondato da Tony Blair quando era primo ministro.

Ha scritto 12 libri, e tra questi un libro che rilegge le tematiche gender all’interno del Corano, e lo scorso marzo ha persino frequentato un corso di sei mesi all’American Jewish Committee e al Jewish Theological Seminary.

È l’ultimo dei gesti che Nasaruddin, la cui nomina è governativa, ha voluto perché la moschea nazionale prosegua nel cammino di essere una istituzione che promuova una armonia interreligiosa, la sostenibilità ambientale e la comprensione religiosa con una visione globale.

Durante la sua fellowship, Nasaruddin ha potuto anche incontrare il Cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, e l’arcivescovo di Los Angeles José Gomez, nonché il decano della cattedrale nazionale di Washing Randolph Hollerith.

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Per quanto riguarda le questioni di genere, secondo Nasaruddin la missione primaria del Corano è quella di liberare le donne dal patriarchismo arabo e di rendere le relazioni tra uomini e donne su una base di uguaglianza, ma che poi questa volontà sia stata “intrappolata” dal linguaggio e dalla cultura delle società arabe.

La dichiarazione di Istiqlal

Ma cosa dice la dichiarazione di Istiqlal? Papa Francesco e il grande imam della più grande moschea di Asia puntano il dito contro la disumanizzazione che nei conflitti “provoca un numero allarmante di vittime, soprattutto donne, bambini e anziani”, mentre “il ruolo della religione dovrebbe includere la promozione e la salvaguardia della dignità di ogni vita umana”.

Inoltre, la dichiarazione parla della sfida dell’abuso del creato.

Si tratta di un testo breve, in continuità con la Dichiarazione di Abu Dhabi, in linea con la Fratelli Tutti ma anche con la dichiarazione Dignitas Infinita di Papa Francesco.

“Poiché esiste un’unica famiglia umana globale - si legge nel testo - il dialogo interreligioso dovrebbe essere riconosciuto come uno strumento efficace per risolvere i conflitti locali, regionali e internazionali, soprattutto quelli provocati dall’abuso della religione. Inoltre, le nostre credenze e rituali religiosi hanno una particolare capacità di parlare al cuore umano e promuovere così un più profondo rispetto della dignità umana”.

Il testo sottolinea che “riconoscendo la necessità vitale di un’atmosfera sana, pacifica e armoniosa per servire autenticamente Dio e custodire il creato invitiamo sinceramente tutte le persone di buona volontà ad agire con decisione per preservare l’integrità dell’ecosistema e delle sue risorse ereditate dalle generazioni precedenti, che speriamo di trasmettere ai nostri figli e nipoti”.

Papa Francesco in Indonesia, il nunzio Pioppo spiega la diplomazia della Santa Sede

In un articolo sul periodico Huduplatlik, l’arcivescovo Pioppo, nunzio apostolico in Indonesia, ha spiegato al pubblico indonesiano il senso della Santa Sede e della sua diplomazia, e sulle differenze tra Santa Sede e Stato di Città del Vaticano.

L’arcivescovo Pioppo tratteggia innanzi tutto la storia delle relazioni tra Santa Sede. Nota che “il Santo Padre e la Santa Sede, fin dai tempi della rivoluzione indipendentista (1945 – 1949) hanno sempre rivolto attenzione a questo grande Paese”. E così, l’1 giugno 1947 Pio XII nominò un inviato apostolico per la Chiesa di Indonesia, nella persona di monsignor Georges de Jonghe d’Ardoy, mentre il 10 gennaio 1950 furono aperte le relazioni diplomatiche e Jonghe D’Ardoy poté consegnare le sue credenziali di ambasciatore e nunzio al presidente Sukarno, mentre Sukardjo Wiryopranoto è stato nominato primo Ambasciatore presso la Santa Sede, presentando le sue le credenziali al Papa il 25 maggio 1950.

Pioppo ricorda che “alla luce di questi legami stretti e amichevoli, sia il presidente Sokarno che il presidente Suharto visitarono il Papa nel 1956, 1959 e 1972”, e  “anche il presidente Abdurrahman Wahid visitò il Papa il 5 febbraio 2000”, mentre Paolo VI e Giovanni Paolo II visitarono l’Indonesia rispettivamente nel 1970 e nel 1989.

L’arcivescovo Pioppo nota che ci sono numerose lettere nella nunziatura di Jakarta che testimoniano l’interesse dei giovani per la Chiesa, mentre sono in molti che si recano in pellegrinaggio a Roma.

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Gli indonesiani – sottolinea il nunzio – sono in particolare “interessati al potere spirituale interiore, che è l’anima dell’ufficio del Papa, dello Stato della Città del Vaticano, e perché entrambi sono sopravvissuti così saldamente per quasi 2000 anni”.

Il saggio poi guarda alle origini del ministero petrino, a partire dal compito che Gesù diede direttamente a San Pietro, chiamato a confermare la fede.

“Quando i cristiani – scrive Pioppo - iniziarono a svilupparsi nelle aree del Medio Oriente e intorno al Mar Mediterraneo, Pietro partì da Gerusalemme per Roma, la capitale dell’Impero Romano e a quel tempo la città più influente del mondo, stabilendo lì la sua casa, e noi potrei dire, ufficio al centro. Le parole "Santa Sede" o in inglese ‘Holy See’ si riferiscono a quell'ufficio, e non a un trono reale politico”. Un trono chiamato “santo” perché il suo ufficio è spirituale, mentre “lo Stato della Città del Vaticano è una regione geografica indipendente dalla quale il Papa è libero di assumere il suo ufficio spirituale di guidare molte persone secondo gli insegnamenti di Gesù”. Lo Stato fu istituito con gli Accordi Lateranensi tra la Santa Sede e il Regno d'Italia dell'11 febbraio 1929.

Pioppo ricorda che “da parte del Papa, la premessa fondamentale del trattato è che, in quanto Capo spirituale della Chiesa cattolica, egli abbia il riconoscimento giuridico internazionale. E, in effetti, il diritto internazionale lo accetta come Capo della Chiesa cattolica, non solo come Capo dello Stato (Città del Vaticano). Se il Papa ha sovranità territoriale, essa è solo di supporto e funzionale alla sua missione spirituale e morale”.

Pioppo spiega le differenze tra vaticano e Santa Sede con l’immagine di una candela che brilla e illumina un candelabro, perché “lo Stato della Città del Vaticano sostiene la missione spirituale della Santa Sede nel mondo come un candelabro sostiene una candela accesa. Questo è il motivo della necessità di un piccolo Stato indipendente che protegga la leadership spirituale della Santa Sede dai conflitti tra le nazioni o dai loro interessi politici”.

Ma quali sono gli obiettivi della presenza e dell’attività internazionale della Santa Sede? Ci sono due finalità, scrive il nunzio.

Il primo è ecclesiastico, ovvero la “tutela e sostegno al bene della Chiesa e stabilità dell'unità e della comunione tra le Chiese locali e la Chiesa di Roma. Questo compito si realizza anche entrando in un dialogo costruttivo, fruttuoso e reciprocamente rispettoso, con il Governo e le altre Religioni nei rispettivi Paesi in cui la Chiesa Cattolica svolge la sua missione”.

Il secondo obiettivo è quello diplomatico, sulla base di tre principi che aiutano a comprendere la presenza internazionale della Santa Sede. Prima di tutto, “la natura religiosa e spirituale della Santa Sede la porta a sostenere sempre la pace e la necessità di cercare soluzioni pacifiche alla risoluzione delle crisi all'interno dei singoli Stati e tra le Nazioni”. Quindi, “la natura universale della Santa Sede le consente di seguire da vicino tutte le situazioni critiche che possono esplodere nel mondo”.

Infine, “la sua natura umana lo ha portato a sottolineare la necessità di adottare misure adeguate, affinché molte persone, e soprattutto i bambini, i malati e coloro che non sono legati al conflitto, non soffrano a causa delle decisioni prese per risolvere la crisi, e purtroppo sappiamo che tali decisioni a volte sono sbagliate perché implicano guerre, divisioni e inimicizie”.

Papa Francesco in Papua Nuova Guinea, la questione del Bouganville

Nel suo discorso al corpo diplomatico e società civile di Papua Nuova Guinea, il 7 settembre, Papa Francesco ha chiesto anche una soluzione della situazione di Bouganville.

Si tratta di una isola dell’arcipelago delle Isole Salomone, che dal 1975 sono parte della Papua Nuova Guinea. A Bouganville si trova la miniera di Panguna, una delle più grandi miniere di rame e oro del mondo, che è stata principale fonte di ricchezza della Papua Nuova Guinea fino a quando è stata chiusa a seguito di proteste che riguardano sia la distribuzione dei guadagni della miniera che i danni ecologici e sociali causati.

Si è parlato a lungo di una riapertura della miniera, anche per aiutare la Regione Autonoma di Bouganville, ma questa decisione vede la resistenza di gruppi etnici come i Me’ekamui. Questi ritengono di essere i legittimi rappresentanti dei proprietari terrieri intorno alla miniera di Panguna.

Così, il conflitto nasce come una ribellione contro la miniera, ma diventa presto una vera e propria guerra indipendentista dell’Isola, che vede la nascita, nel 1989, del Bougainville Revolutionary Army.

Nel 1990, l’indipendenza di Bouganville viene proclamata unilateralmente, dando vita a un conflitto tra Papua Nuova Guinea e governo a interim di Bougaville che si protrarrà fino alla tregua di Burnham del 1997 e all’accordo di Lincoln nel 1998, e termineranno definitivamente con l’accordo di pace del 2001 che rende Bouganville una regione autonomo.

Sebbene l’accordo non ha avuto ricadute di violenza, il problema della miniera Panguna è tornato in superificie. Nel 2019, il 98 per cento della popolazione di Bouganville ha votato per l’indipendenza, ma questa indipendenza può essere sostenibile solo se finanziata con i guadagni della miniere, che renderebbe la regione economicamente autonoma.

Nel febbraio 2022, il governo di Bougainville, dopo ardue negoziazioni, ha ottenuto un accordo con i proprietari terrieri per iniziare la procedura di riapertura della miniera. Ma ora ci si oppone alla riapertura per via sia dell’inquinamento creato dagli scarti della miniera che dai ricordi traumatici del conflitto. Ci sono, attualmente, negoziati in corso.

                                                           FOCUS ASIA

India, i politici contro i cristiani considerati parte della caste svantaggiate

No. ai cristiani inclusi nelle caste svantaggiate, chiamate scheduled castes. Diversi rappresentanti e politici dalit (la casta più bassa) dello Stato indiano meridionale del Karnataka si sono schierati contro l’idea di includere i cristiani tra le caste che in India avrebbero diritto ad una serie di facilitazioni nell’istruzione e nel settore pubblico.

Il no è arrivato nei commenti ad una Commissione sul tema istituita nell’ottobre 2022, giudata dal giudice K.G.Balakirshnan, che cerca di stabilire se i dalit convertiti ad una religione diversa dal sikkhismo e dal buddhismo possano essere considerati scheduled chaste.

È una situazione che dura da anni, e che vede i dalit cristiani e musulmani lamentare di essere oggetto di pregiudizi e discriminazioni. In effetti, il leader della comunità nomade dei Banjara, Peetha Seer Sardar Sevalal Swami, ha sostenuto l’idea che la Commissione non dovrebbe favorire coloro che si sono convertiti a religioni nate fuori dall’India e “che non hanno radici nella cultura indiana”, mentre alcuni deputati del Bharatiya Janata Party (BJP, il partito al potere a livello nazionale e all’opposizione all’interno dell’Assemblea legislativa del Karnataka, guidato dal Congress) hanno ancora una volta accusato i cristiani di ingannare i dalit con le conversioni.

C’è da dire che in India si vive una particolare persecuzione contro i cristiani, favorita dalle cosiddette leggi anticonversione. Tuttavia, il primo ministro Modi, durante la campagna elettorale che ha portato alla sua rielezione, ha visitato la conferenza episcopale dei vescovi di India, in un gesto di distensione.

                                                           FOCUS AFRICA    

Nigeria, i vescovi contro il debito come nuova forma di schiavitù

Al termine della loro assemblea plenaria, che si è tenuta dal 22 al 30 agosto, i vescovi della Nigeria hanno denunciato che “il peso del debito si è rivelato una nuova forma di schiavitù per le generazioni presenti e future”.

Per questo, i vescovi nigeriani rimarcano che la popolazione ha diritto a protestare pacificamente contro la politica economica del presidente Bola Ahmed Tinubu, e denunciano che le proteste sono state dirottate da elementi criminali mentre “gli agenti di sicurezza, che normalmente dovrebbero proteggere i cittadini durante le proteste, hanno fatto ricorso a minacce, intimidazioni e ricatti per dissuadere i cittadini dal protestare e, in alcuni casi, si è sostenuto che abbiano commesso esecuzioni extragiudiziarie”.

I vescovi sottolineano anche la politica di austerità decisa dal governo è causata dalla situazione del debito pubblico, e osservano che “il servizio di enormi debiti verso agenzie monetarie internazionali e di conseguenza il reperimento di fondi internamente per bilanciare i deficit di bilancio hanno dato origine alle attuali riforme economiche del governo, consistenti principalmente nel ritiro dei sussidi per il carburante e nella fluttuazione della moneta nazionale (Naira). Siamo consapevoli che queste riforme hanno innescato un'inflazione galoppante che ha ridotto la maggior parte dei nigeriani a una vita di crudele sofferenza e miseria”.

I rappresentanti della Chiesa nigeriana invitano dunque la “amministrazione del presidente Bola Ahmed Tinubu a riconsiderare le sue politiche di riforma economica, al fine di alleviare il peso delle difficoltà che gravano sui cittadini e favorire uno sviluppo delle persone”.
Il documento presenta anche alcune politiche per mitigare l’impatto dell’inflazione sulla popolazione: il supporto agli agricoltori con sussidi, prestiti agevolati, tecnologie moderne e sementi e una riforma del sistema di tassazione che attualmente è composta da una serie di tasse federali. Inoltre mettono in guardia da quanti si dicono rappresentanti di ministeri che si definiscono “cattolici” ma che non hanno l’espresso permesso dell’autorità competente”.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a New York, l’incontro sulla Giornata Internazionale contro i test nucleari

Il 4 settembre 2024, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha partecipato all’incontro di Alto Livello per commemorare e promuovere la Giornata Internazionale Contro i Test Nucleari, giunto al 15esimo anniversario.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha notato che l’anniversario è una “opportunità per una impegno globale rafforzato per la cessazione dei test nucleari” e messo in luce che il Trattato Globale per il Bando dei Test Nucleari debba essere posto in essere, implementando anche il sistema internazionale di monitoraggio e tutti i meccanismi associati di verifica.

                                                           FOCUS NUNZIATURE

Il nunzio in Giappone presenta le credenziali

Il 5 settembre, l’arcivescovo Francisco Escalante Molina ha presentato le sue lettere credenziali come nunzio in Giappone all’Imperatore del Giappone. Comincia così ufficialmente il suo incarico di “ambasciatore del Papa”, in un anno che sarà particolarmente denso per la Chiesa in Giappone.

Tra i grandi eventi, ci sarà l’Expo di Osaka, dove per la prima volta lo stand della Santa Sede sarà ospitato all’interno dello stand dell’Italia. La Santa Sede porterà al padiglione Italia dell’Expo la “Deposizione di Cristo”, uno dei più noti capolavori di Caravaggio, e avrà all’interno dello spazio italiano uno spazio riconoscibile per organizzare eventi culturali e mostre d’arte in collaborazione con il Dicastero per l’Evangelizzazione. Il tema del padiglione dell’Italia all’Expo è “L’arte rigenera la vita”.

L’anno del Giubileo 2025 vedrà vari eventi per la Chiesa cattolica in Giappone. Il 3 febbraio si ricorda il 410mo anniversario della morte del “Samurai di Cristo”, Takayama Ukon, beatificato nel 2017. Il 17 marzo ricorre il 160esimo anniversario della riscoperta dei cristiani in Giappone, i quali avevano vissuto per 250 anni nel “silenzio” a causa delle persecuzioni e che si mostrarono come cristiani alla appena consacrata Chiesa di Oura a Nagasaki. Il 23 marzo si celebrerà il 440esimo anniversario della Missione Tensho in udienza dal Papa, Il 3 novembre si celebra il 410emo anniversario della Missione Keicho, una delegazione inviata in Europa dal Giappone.