La Santa Sede ha notato che l’agenda 2030 delle Nazioni Unite ha messo in luce che pace e giustizia sono obiettivi di sviluppo, e che “lo sviluppo non deve essere solo compreso in termini economici, ma in un modo che sia integralmente umano”, e che “la dignità della persona umana deve essere la preoccupazione fondamentale in tutte le questioni che riguardano la povertà e lo sviluppo”. E, in conclusione, l’arcivescovo ha notato che “l’umanità deve confrontarsi con una sfida cruciale che richiede lo sviluppo di politiche adeguate, che continua ad essere discusso nell’agenda globale”.
Dalle Nunziature
Lo scorso 16 aprile, l’arcivescovo Antonio Guido Filipazzi ha presentato le sue lettere credenziali come Osservatore Permanente presso la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS).
Il Papa lo aveva nominato osservatore all’ECOWAS il 24 ottobre 2017, e la nomina si aggiungeva a quella di nunzio in Nigeria, incarico che aveva ricevuto il 27 aprile 2017.
L’ECOWAS è una sorta di ‘Unione Europea’ dell’Africa Occidentale e ha sede ad Abuja, capitale della Nigeria. L’ECOWAS sta sviluppando un processo per unificare i Paesi dell’Africa occidentale. È un lavoro complesso, alcuni Stati sono molto piccoli e la Nigeria rischia di avere una certa predominanza.
La Santa Sede osserva il processo in corso, ma non è previsto intervenga nei dibattiti, secondo un ruolo che può essere considerato simile a quello dell’Osservatore della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa.
Il percorso di unità è sostenuto anche dalle Chiese locali, che si sono costituite una macro-conferenza regionale, la RECOWA (Regional Episcopal Conference of West Africa), che riunisce dieci conferenze episcopali della regione è che è attualmente presieduta dall’arcivescovo Ignatius Kaigama di Jos.
Una curiosità: sebbene l’arcivescovo Filipazzi sia stato nominato osservatore, l’accreditamento non è quello di Osservatore permanente, ma di rappresentante permanente. Questo perché, secondo l’ECOWAS, l’osservatore permanente è un titolo che riguarda una ONG, mentre gli Stati hanno un rappresentante permanente presso l’organizzazione.
Una richiesta di mediazione per la Santa Sede?
L’idea di una possibile mediazione della Santa Sede per la crisi istituzionale in Camerun è stata lanciata negli scorsi giorni da un rapporto dell’International Crisis Group, secondo il quale solo la Chiesa cattolica potrebbe aiutare a “rompere questa pericolosa fase di stallo”.
“Oltre alla Chiesa cattolica, ci sono poche istituzioni che possono svolgere ruolo di mediazione per la pace – si legge nel rapporto del think tank – e se nessuno si prende la responsabilità, il sentimento separatista continuerà a crescere, creando ulteriore violenza ed esacerbando l’attuale rivolta delle regioni anglofone, con un possibile picco durante le elezioni previste alla fine del 2018”.
La crisi è scoppiata nel 2016, quando la minoranza anglofona del Camerun ha cominciato una campagna per chiedere maggiore autonomia, ricevendo il rifiuto del presidente Paul Biya. Da quel momento in poi, la situazione è precipitata, fino ad una “dichiarazione di indipendenza” proclamata lo scorso ottobre e all’uccisione di 31 membri delle forze di sicurezza da parte dei separatisti.
Le Nazioni Unite hanno anche messo in luce l’emergenza umanitaria in corso nelle regioni anglofone del Camerun, con un rapporto in cui si sottolinea che sarebbero decine di migliaia le persone sfollate a causa dei combattimenti.
La minoranza anglofona costituisce il 20 per cento della popolazione, e con il tempo ha avuto la percezione di essere stata sfavorita in economia, educazione e sistema giudiziario, dato che quest’ultimo è da sempre nelle mani dei francofoni.
Secondo l’International Crisis Group, la Santa Sede potrebbe fare da mediatore grazie alla sua “imparzialità”, considerando che si tratta di una delle più forti istituzioni del Paese.
Quale la situazione in Nicaragua dopo l’appello di Papa Francesco?
Papa Francesco aveva fatto un appello perché cessassero le violenze in Nicaragua al Regina Coeli del 22 aprile scorso. In quello stesso giorno, il presidente Daniel Ortega aveva convocato un tavolo di dialogo, per affrontare la situazione che si era creata con le proteste per le riforme all’Istituto Nicaraguense di Sicurezza Sociale. E i vescovi di Nicaragua hanno accettato di essere “mediatori e testimoni” di questo dialogo.
La Conferenza Episcopale di Nicaragua lo ha comunicato lo scorso 24 aprile, sottolineando anche che “per facilitare il clima di dialogo è imperativo che governo e società civile evitino ogni atto di violenza, e prevalga un clima sereno e di assoluto rispetto verso la vita umana per ciascuno dei nicaraguensi”.
Gli scontri sono cominciati a Managua, capitale del Nicaragua, lo scorso 18 aprile, e altre città si sono unite alla mobilitazione nei giorni seguenti, per protestare contro l’aumento delle tasse sullo stipendio previste dalle riforme dell’INSS.
Le manifestazioni sono state represse con violenza dalla polizia, e si stima che ci siano stati 28 morti e più di 80 feriti.
Penisola coreana
Papa Francesco aveva salutato il Summit Inter-Coreano con un appello all’inizio dell’udienza generale del 25 aprile. Dopo l’incontro tra il presidente Moon Jae-in e il “leader” nord-coreano Kim Jong Un, il vescovo Igino Kim Hee-jong, arcivescovo di Gwangju e presidente della Conferenza Episcopale Coreana, ha rilasciato una dichiarazione piena di speranza, ribadendo l’impegno della Chiesa cattolica per la riconciliazione e plaudendo alla dichiarazione di Panmunjom per la pace, la prosperità e la riunificazione della penisola coreana.
Il vescovo Kim ha ricordato che ogni 25 giugno, dal 1965, la Chiesa cattolica coreana celebra una “preghiera per la riconciliazione nazionale per la vera pace tra il Nord e il Sud””, mentre “la Commissione di Riconciliazione della Conferenze Episcopali ha lavorato personalmente per l’unità, la cooperazione e il sostegno delle due Coree”.
Il vescovo Kim vede nell’incontro “una risposta alle nostre preghiere”, e ha annunciato che “fin quando non sarà stabilita la pace nella penisola coreana”, la Chiesa cattolica continuerà a lavorare per la riconciliazione e l’unità nazionale.
Il vescovo Kim era stato a Roma a maggio del 2017, per degli incontri in Segreteria di Stato e sollecitare la diplomazia pontificia che facesse da tramite per un riavvicinamento tra il presidente USA Donald Trump, che il 24 maggio è stato in visita in Vaticano, e la Corea del Nord. E ancora, dopo aver incontrato Papa Francesco lo scorso settembre insieme alla delegazione del Consiglio dei Leader religiosi di Corea, il vescovo Kim aveva chiesto un “dialogo senza pregiudizi” per risolvere la crisi.
Il dialogo tra Corea del Nord e Corea del Sud è stato anche al centro dell’incontro del 26 gennaio scorso tra il ministro degli Esteri sud-coreano Kang Kyu-wha e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i rapporti con gli Stati.