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Diplomazia pontificia, liberati due sacerdoti greco cattolici ucraini

Il viaggio del Segretario di Stato vaticano in Libano, nel mezzo di una crisi istituzionale che non accenna a diminuire. Il botta e riposta tra l’ambasciatore Schutz e Guterres. L’impegno nel multilaterale

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La notizia della liberazione di due sacerdoti greco cattolici ucraini detenuti ormai da quasi due anni è arrivata lo scorso 28 giugno. La Chiesa Greco Cattolico Ucraina, cui appartenevano i due sacerdoti, non ha lesinato sforzi in questi anni perché i due potessero essere liberati, e così ha fatto la Santa Sede, che ha aperto canali discreti in questi quasi due anni per permetere la liberazione dei due sacerdoti. Anche la campagna “tutti per tutti”, lanciata da Papa Francesco all’Urbi et Orbi di Pasqua di quest’anno, che chiedeva uno scambio globale di prigionieri tra Russia e Ucraina, includeva anche l’obiettivo di favorire la liberazione dei due sacerdoti.

Dal 23 al 27 giugno, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato in Libano. Si celebravano i 40 anni dell’Associazione dei Cavalieri dell’Ordine di Malta nel Paese, una delle più vibranti che gestisce molte opere che il cardinale ha visitato. Per il Segretario di Stato vaticano si è trattato di un viaggio pastorale, durante il quale ha però avuto l’occasione di svolgere una serie di incontri istituzionali e di rilanciare l’appello affinché il Libano resti un “Paese messaggio”.

Come è noto, il Libano si regge su un delicato equilibrio istituzionale che prevede un presidente cristiano maronita, un capo del governo musulmano sunnita e un presidente del Parlamento musulmano sciita.

Tra l’altro, è da notare che gli sciiti, di cui sono parte le forze di Hezbollah, non hanno partecipato nemmeno all’incontro che il Cardinale Parolin ha avuto nel Patriarcato Maronita con i capi di tutte le confessioni religiose del Libano. Senz’altro, la crisi istituzionale del Libano è forte. Papa Francesco desiderava visitare il Libano nel 2022, ma questo non fu poi possibile. Il mancato viaggio fece anche saltare un secondo incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo a Gerusalemme, pianificato ma mai annunciato, e ammesso dal Papa in una intervista successiva.

Nel corso della settimana c’è stato un duro botta e risposta tra Rafael Schutz, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, e il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha detto che non ci si può permettere che il Libano diventi un’altra Gaza.

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Intanto, in Israele è ancora scontro sulle tasse tra alcune municipalità e le confessioni cristiane. I cristiani di Europa si preparano, invece, al semestre di presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione Europea.

                                                                       FOCUS UCRAINA

Liberati i due sacerdoti greco cattolici ucraini

Il 28 giugno è arrivata la notizia che i sacerdoti greco-cattolici Ivan Levytskyi e Bohdan Heleta sono stati liberati dalla prigionia russa. I due, entrambi appartenenti alla Congregazione del Santissimo Redentore, sono stati liberati a seguito di uno scambio di prigionieri. Hanno trascorso in prigionia quasi due anni, essendo stati arrestati a Berdyansk lo scorso 16 novembre. Per un lungo periodo non si erano avute notizie su di loro.

In una recente intervista per Ukrinform, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, aveva sottolineato le “notizie molto allarmanti” che indicavano che i sacerdoti a torture quotidiane”.  Recentemente, nel mese di maggio, Sua Beatitudine Sviatoslav aveva ricevuto conferma che i due sacerdoti fossero in vita, e che ci fossero possibilità per la liberazione, avvenuta il 27 giugno.

Su delega di Sua Beatitudine Sviatoslav, al loro rilascio dalla prigionia i confessori della fede sono stati accolti dal vescovo Andriy Khimyak, ausiliare dell’arcieparchia di Kyiv, e  da Rev. Oleksa Petriv, Capo del Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa greco-cattolica ucraina in Ucraina.

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Sua Beatitudine Sviatoslav ha espresso la sua sincera gratitudine alla Santa Sede per la liberazione dei sacerdoti della Chiesa greco-cattolica ucraina. Ha rivolto un ringraziamento speciale a Papa Francesco, al Cardinale Pietro Parolin e all'intero corpo diplomatico del Vaticano. Un ringraziamento particolare è stato indirizzato al Cardinale Matteo Zuppi e all'Arcivescovo Visvaldas Kulbokas, Nunzio Apostolico in Ucraina, per la loro mediazione. Ciascuno di loro ha dato un inestimabile contributo personale affinché questo evento diventasse realtà.

Nonostante il pericolo, in seguito all’invasione su vasta scala della Russia contro l’Ucraina nel febbraio 2022, i padri Ivan Levitsky e Bohdan Geleta hanno scelto di rimanere nella zona occupata territori, prestando servizio sia alle comunità greche che a quelle cattoliche romane e fornendo speranza sotto occupazione.

Durante la loro prigionia, i padri Levitsky e Geleta sono stati accusati di possesso illegale di armi, accuse inventate per giustificare la loro prigionia. La loro detenzione prolungata è stata segnata dalla mancanza di informazioni concrete su dove si trovassero e sul loro benessere, nonostante le segnalazioni di torture e abusi.

In una dichiarazione diffusa il 29 giugno, Sua Beatitudine Shevchuk ha sottolineato che i due padri redentoristi “liberati dalla prigionia russa, sembrano davvero portare avanti l’opera del beato Mykola Chernetskyy e dei nostri eroi della Chiesa clandestina, che sono stati martoriati da coloro che, un tempo erano comunisti, e oggi sono rascisti. Ci rallegriamo perché il Signore Dio ha preservato la vita dei nostri sacerdoti”.

Sua Beatitudine ha ringrazia Papa Francesco, il quale “ha contribuito personalmente alla liberazione dei nostri sacerdoti-redentoristi Bohdan e Ivan”, e ha sottolineato che “nonostante i grandi ostacoli, dato che la loro prigionia è durata più di un anno e mezzo, gli sforzi della diplomazia vaticana hanno conseguito un risultato vittorioso”.

Oltre ai ringraziamenti per i diplomatici della Santa Sede, per il Cardinale Paroline e per il Cardinale Zuppi “che il Santo Padre ha incaricato di curare la liberazione dei catturati e dei prigionieri ucraini”, Shevchuk ha fatto un  ringraziamento speciale anche all’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, Nunzio Apostolico in Ucraina.

“Oggi – afferma Sua Beatitudine - rivolgiamo parole di gratitudine a tutti i fedeli della nostra Chiesa, ai milioni di ucraini che hanno pregato per la salvezza e la liberazione dei nostri sacerdoti. Oggi sentiamo che il Signore Dio ascolta le nostre preghiere: Egli ha preservato la vita dei nostri confessori di fede del terzo millennio per una missione speciale, una parola speciale per l’Ucraina e il mondo intero”.

Tuttavia, Sua Beatitudine ricorda che “oggi, più di 28.000 civili ucraini sono prigionieri in Russia. Si tratta di giornalisti, medici, funzionari del governo autonomo locale, membri del clero, e figure culturali, tutti coloro che sono considerati dai russi come espressioni pericolose dell'identità ucraina. Ora dobbiamo tutti impegnarci nella lotta per ottenere il rilascio di tutti i prigionieri ucraini, inclusi i civili, poiché la loro detenzione viola qualsiasi norma internazionale, prassi di conduzione della guerra e il diritto internazionale in quanto tale”.

Nell'annunciare con un post su X la liberazione di questo gruppo di persone, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha scritto: "Sono grato a tutti coloro che hanno aiutato. Ringrazio la nostra squadra che lavora per liberare i prigionieri. Vorrei anche riconoscere gli sforzi della Santa Sede per riportare a casa queste persone".

                                                           FOCUS LIBANO

Il Cardinale Parolin in Libano per l’Ordine di Malta

Cinque giorni in Libano, per il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, invitato dall’Ordine di Malta a visitare le strutture e a prendere nota del lavoro umanitario portato avanti dalla sua organizzazione. Molti gli appuntamenti del Cardinale. A Beirut, dove è rimasto quattro giorno, il Segretario di Stato vaticano ha celebrato una Messa nel giorno di San Giovanni, e durante l’omelia ha rinnovato l’appello del Papa a trovare rapidamente un presidente per il Paese.

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Il Libano, infatti, è dal 2022 in uno stallo istituzionale e non riesce a trovare un accordo per la nomina del presidente.

Nella sua omelia, il Cardinale Parolin ha sottolineato che “la Chiesa in Libano deve anche portare testimonianza, secondo la sua alta missione, per mantenere vivo ed effettivo il messaggio di vivere insieme che è caratteristico del Paese dei Cedri”.

Noi stessi – ha aggiunto – “dobbiamo essere anche testimoni a livello nazionale, regionale e internazionale, senza paura di portare il Vangelo di Cristo nella vita pubblica”.

A questo proposito, ha poi sottolineato il Cardinale, “permettetemi di sottolineare che, dopo mesi, si sente un grande vuoto. Manca una voce cristiana, che farebbe senza dubbio la differenza. Manca la voce del presidente del Libano. Questa assenza pesa molto in un momento così grave per il Medio Oriente”.

Infine il cardinale ha rinnovato l’appello del Papa “affinché si arrivi all’elezione del presidente perché il Paese possa ritrovare una stabilità istituzionale, così necessaria per affrontare seriamente le sfide attuali”.

Nella Messa del 24 giugno, il Cardinale ha ricordato che l'Ordine di Malta deriva dal gruppo di Ospedalieri dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, il cui scopo era soccorrere i pellegrini in Terra Santa richiamando alla responsabilità della testimonianza del Vangelo di Cristo anche oggi come singoli e come Chiesa in Libano, anche nella vita pubblica. E in questo senso il segretario di Stato auspica una rapida elezione del presidente perché porti stabilità al Paese.

Soffermandosi su Giovanni, il precursore, “primo apostolo di Gesù e l’ultimo dei profeti”, il Cardinale Parolin sottolinea che per il Battista "è inutile essere figlio di Abramo se non si pratica la giustizia", e per questo a chi gli chiedeva che cosa dovesse fare per salvarsi, Giovanni rispondeva: "Chi ha due vestiti, li divida con chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto".

E ha chiosato: “L'attenzione ai poveri, ai malati, ai sofferenti è proprio ciò che caratterizza la presenza dell'Ordine di Malta in Libano, un'attenzione che non può essere separata dalla tuitio fidei, cioè la difesa della fedecome ricorda il motto stesso dell'organizzazione: Tuitio fidei et Obsequium Paeperum.

Quello dell’Ordine di Malta è un servizio, ha detto il Cardinale, non semplicemente di “natura umanitaria”, ma piuttosto “una azione religiosa, fondata sulla fede in Cristo”. Il Segretario di Stato vaticano ha dunque invitato i membri dell’Ordine, di fronte alla grave situazione economica del Libano, ad essere sempre più generosi nel soddisfare le necessità dei più bisognosi, nel cercare di alleviare il peso di molte persone, nella speranza di un futuro migliore, più giusto ed equo”.

Il 25 giugno, il Cardinale Parolin ha incontrato i rappresentanti delle Chiese e delle comunità religiose presente in Libano. L’incontro ha avuto luogo a Bkerké, presso la sede del Patriarcato Maronita. Nel suo intervento, il Cardinale ha sottolineato che “oggi il Libano deve rimanere un modello di convivenza e di unità alla luce delle crisi e delle guerre in corso”, e ha affermato di essere andato in viaggio nel Paese “per cercare di aiutare a raggiungere una soluzione alla crisi del Libano, che non elegge un presidente, cercando di raggiungere soluzioni che vadano bene a tutti.

All’incontro, convocato dal Cardinale Bechara Boutros Rai, Patriarca Maronita, hanno preso

anche il Catholicos armeno ortodosso Aram I, il Patriarca armeno cattolico Rafael Minassian, il Patriarca melchita romano Youssef Absi, il Gran Mufti della Repubblica Abdul Latif Derian, e il capo del Consiglio islamico alawita, lo Sheikh Ali Kaddour.

All’incontro non erano presenti rappresentanti sciiti, mentre vi hanno preso parte anche capi politici cristiani come Gibran Bassil, del Movimento Patriottico Libero, il capo del Movimento Marada, Suleiman Frangieh, e un rappresentante del Presidente delle Forze Libanesi Samir Geagea.
Il Cardinale Bechara Rai ha sottolineato all’inizio dell’incontro che la “famiglia libanese vive oggi una fase molto difficile”. Da tempo, il cardinale propone una “neutralità attiva” per il Libano. Con l’incontro, il patriarca maronita ha detto di sperare di lanciare “un richiamo all’importanza di pregare per la pace e la fine delle guerre che la Regione e il Libano non possono più sopportare”.

Il Cardinale Parolin è arrivato in Libano il 23 giugno, invitato dagli appartenenti dell’Associazione locale dei Cavalieri dell’Ordine di Malta, che quest’anno festeggia i 40 anni dalla fondazione.

Durante la sua permanenza in Libano, ha anche incontrato il presidente del parlamento Nabih Berri e col premier ad interim Najib Mikati.

                                                           FOCUS TERRASANTA                                                    

L’ambasciatore Schutz risponde al segretario generale Guterres

Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha affermato che “il mondo non può permettersi che il Libano diventi un’altra Gaza”. Parole che hanno causato la netta risposta di Raphael Schutz, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, in una dichiarazione pubblicata sull’account X dell’ambasciata.

Schutz ricorda che nel massacro del 7 ottobre “1500 israeliani innocenti sono stati massacrati e / o violentati e / o rapirti da Hamas”, mentre dall’8 ottobre Israele è “stato attaccato contemporaneamente anche dalle forze armate del Libano, della Siria e dello Yemen”, tutte alleate dell’Iran.

L’ambasciatore ha poi notato che “a seguito dei continui attacchi dal Libano (effettuati principalmente da Hezbollah senza alcun tentativo da parte delle autorità libanesi di esercitare la propria responsabilità e sovranità), circa 80mila israeliani sono diventati sfollati e rifugiati nel proprio Paese”, e da nove mesi non possono tornare alle loro case.

Schutz ha chiesto a Guterres di dare attenzione anche alle “minacce esplicite dell’Iran di annientare Israele e le sofferenze degli israeliani del Sud, del Nord e di tutto il territorio nazionale” che si trovano in una guerra condotta contro di loro da “una moltitudine di fronti regionali”.

Per questo, sottolinea l’ambasciatore, le Nazioni Unite dovrebbero “esercitare una pressione efficace sulle autorità iraniane e libanesi” perché questi adottino “misure contro Hezbollah, evitando così un’escalation di una guerra su vasta scala tra Israele e Libano”, mentre invece, “non riuscendo a farlo e insistendo su un discorso parziale e unilaterale, hanno la loro parte di responsabilità riguardo a qualsiasi possibile risultato”.

Israele, scontro sulle tasse. I capi cristiani lamentano la violazione dello status quo

Patriarchi e Capi delle Chiese Cristiane hanno inviato una lettera al premier di Israele Benjamin Netanyahu protestando per la decisione delle municipalità di Tel Aviv, Ramle, Nazareth e Gerusalemme di imporre l’Arnona, la tassa comunale imposta sulle proprietà delle Chiese stesse.

Nella lettera, viene espressa “profonda preoccupazione” per la crescita dell’intolleranza verso la presenza cristiana in Terrasanta.

In Israele si vivono – sottolinea l’agenzia del Dicastero per l’Evangelizzazione Fides – diversi scontri interni, che vanno dall’escalation di attacchi dei coloni ebraici nei coloni palestinesi fino alla guerra delle tasse.

L’imposizione della tassa comunale, affermano  i capi delle Chiese Cristiane, contraddice “secoli” di accordi storici tra le Chiese e le autorità civili e rappresenta un “attacco coordinato” alla presenza cristiana in Terra Santa attraverso “procedimenti fiscali”.

Nella dichiarazione congiunta i patriarchi dichiarano che “tale misura mina il carattere sacro di Gerusalemme e mette a rischio la capacità della Chiesa di svolgere il suo ministero in questa terra per conto delle sue comunità e delle Chiese di tutto il mondo”.

La nota mette in luce anche i contributi significativi delle diverse organizzazioni cristiane attive a Gerusalemme, inclusi gli investimenti in “scuole, ospedali, case per anziani e strutture per le persone svantaggiate”.

Per questo i capi delle Chiese hanno chiesto alla municipalità di Gerusalemme di ritirare la decisione e di mantenere lo status quo storicamente sancito.

La questione delle tasse è annosa e ancora irrisolta, e parte dei colloqui tra Israele e Vaticano. In Israele, luoghi di culto e monasteri sono esentati dal pagamento delle tasse di proprietà, ma negli ultimi anni il governo e le amministrazioni locali hanno equiparato alcune realtà ecclesiastiche che offrono vitto e alloggio ai pellegrini a vere e proprie attività commerciali.

Il 25 febbraio 2018, il Custode di Terra Santa Francesco Patton, il patriarca armeno Manougian e il patriarca greco-ortodosso Teofilo III decisero di chiudere la Basilica del Santo Sepolcro per protesta contro una bozza di legge sull’esproprio di terreni appartenuti a Chiese e la richiesta dell’allora sindaco di versare anni di tasse, contravvenendo agli accordi legati allo status quo.

Nel febbraio 2023, la municipalità aveva inoltre bloccato i conti dell’Istituto (pontificio) Notre Dame di Gerusalemme, innescando un ulteriore fronte di scontro fra le parti.

                                                           FOCUS EUROPA

La COMECE incontra il governo ungherese alla vigilia della presidenza del Consiglio dell’Unione Europea

Il 24 giugno, la presidenza del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa (COMECE) insieme a quella del Consiglio delle Chiese Europea hanno incontrato il vice primo ministro ungherese Zsolt Semjén alla vigilia dell’inizio della presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione Europea, che comincia il prossimo 1 luglio. L’incontro è stato l’occasione per presentare il contributo delle Chiese alle principali priorità politiche della presidenza ungherese.

Le Chiese europee hanno messo in luce il bisogno di reimpegnarsi nei valori fondanti dell’Unione Europea, dando particolare enfasi all’unità e solidarietà, descritti come principi guida per il futuro nella agenda strategica dell’Unione Europea.

I membri della delegazione hanno condiviso le loro preoccupazioni riguardo la crescente polarizzazione sociale e politica degli Stati UE, così come delle tendenze di abusare e strumentalizzare la religione.

Il vescovo Mariano Crociata, presidente della COMECE, ha chiesto alla presidenza ungherese entrante di “promuovere la coesione sociale e affrontare la questione della polarizzazione”, considerata un fenomeno pericoloso che divide le nostre società diffondendo ideologie riduttive, disinformazione, populismo, xenofobia, radicalismo ed estremismo violento.

Il vescovo Crociata ha anche auspicato che la prossima presidenza del Consiglio dell’Unione Europea dia priorità alla protezione e alla cura dei più vulnerabili, “assistendo quelli che soffrono da diverse povertà ed esclusioni, e che affrontano le sfide demografiche promuovendo a livello dell’Unione Europea politiche che riconoscono il ruolo centrale della famiglia nella società, anche attraverso un accresciuto investimento nella genitorialità”.

La delegazione ecumenica ha anche affrontato il tema della pace. L’arcivescovo Nikitas, presidente della CEC, ha sottolineato che “considerando che la pace in Europa non può più essere data per scontata, gli sforzi di costruire la pace devono essere costantemente rinnovati sulla base dei principi di verità e giustizia, in pieno rispetto della legge internazionale”.

COMECE e CEC hanno chiesto alla presidenza ungherese di supportare un processo di allargamento dell’Unione Europea con i Balcani Occidentali e con ulteriori nazioni dell’Europa Orientale, e che si possa rafforzare il dialogo con le Chiese sulla base dell’articolo 17 del trattato europeo.

Oltre al vice primo ministro Zsolt Semjén, la delegazione ha incontrato Miklós Soltész, segretario di Stato responsabile per le Chiese, e Tristan Azbej, Segretario di Stato responsabile dei programmi per aiutare i cristiani perseguitati e per il programma Hungay Helps.

                                                           FOCUS ASIA

Riconciliazione in Corea, celebrata la Messa numero 1413

Il 24 giugno si è celebrata la Messa numero 1413 per la riconciliazione delle due Coree. L’arcivescovo di Seoul Peter Soon-taick Chung, che è anche amministratore di Pyongyang, ha chiesto di aprire un nuovo cammino, confermando l’impegno da parte del Comitato nazionale per la Riconciliazione, con l’impegno di agire coe operatori di pace.

La messa si è tenuta alla vigilia del 25 giugno, perché fu il 25 giugno 1950 che iniziò il conflitto di Corea. Il conflitto durò fino al 1953 e si concluse con un armistizio ancora in vigore. Proprio in quella giornata si celebra ogni anno la “Giornata di preghiera per la riconciliazione e l’unità del popolo coreano”, istituita dalla Conferenza episcopale coreana nel 1965.

L’arcivescovo di Seoul ha sottolineato che “anche se la situazione tra le due Coree può apparire cupa, noi cristiani non possiamo rimanere nella disperazione. Invece, proprio in quest’epoca di crescente animosità la nostra preghiera può illuminare questo tempo con una luce più grande”.

Chung ha poi sottolineato che “il nostro popolo ha mantenuto la speranza di poter superare la povertà, che ha portato al nostro sviluppo economico; ha tenuto salda la speranza di poter superare la dittatura, che ha portato al raggiungimento della democrazia. Ora dobbiamo nutrire una nuova speranza, quella di poter superare la divisione. Questa speranza porterà sicuramente la vera pace nella penisola coreana”.

Dal 1965, la Conferenza episcopale coreana ha iniziato a celebrare il 25 giugno come “Giornata di preghiera per la Chiesa nel silenzio”. Nel 1992, il nome è stato cambiato in “Giornata di preghiera per la riconciliazione e l’unità del popolo coreano”. Nel 1995, per innovare un impegno che viene ritenuto cruciale per il futuro, l’Arcidiocesi di Seoul ha istituito il Comitato per la riconciliazione del popolo coreano, in occasione del cinquantesimo anniversario della liberazione. Il Comitato organizza momenti spirituali e attività materiali e umanitarie.

Ogni martedì alle 19 si tiene la Messa e la preghiera per la pace nella cattedrale di Myeongdong.

                                                           FOCUS NUNZIATURE

Un nuovo nunzio in Georgia e Armenia

Il 28 giugno, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Ante Jozić nunzio in Georgia ed Armenia. L’arcivescovo Jozic era nunzio in Belarus, e succede all’arcivescovo José Bettencourt, che è stato invece destinato alla nunziatura del Camerun.

Croato, classe 1967, l’arcivescovo Jozić è sacerdote dal 1992, ed è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1999. Ha lavorato nelle nunziature di India, Federazione Russa, Filippine e per dieci anni come capo dlle Missioni di Studio per la Cina con sede a Hong Kong, e legato alla nunziature di Manila.

Nel 2019, Jozić era stato nominato nunzio in Costa d’Avorio, ma un terribile incidente stradale ne fece saltare la nomina e anche la consacrazione episcopale. Il suo posto come nunzio in Costa d’Avorio fu preso dall’arcivescovo Paolo Borgia. Quindi, la sua ordinazione, prevista il 21 marzo 2020, è saltata una seconda volta per via delle restrizioni del COVID 19. Il 21 maggio dello stesso anno è stato nominato nunzio in Belarus. Il 16 settembre 2020, Jozić è stato finalmente ordinato vescovo, con principale consacrante il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a Ginevra, sulla violenza contro le donne

Lo scorso 24 giugno, si è tenuto al Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra un dialogo con il Relatore Speciale sulla Violenza contro Donne e Ragazze, discutendo il rapporto su “Prostituzione e violenza contro le donne e le ragazze”.

Un rapporto per il quale la delegazione della Santa Sede mostra apprezzamento, nelle parole dell’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore della Santa Sede presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra.

Il nunzio afferma che “la prostituzione non dovrebbe mai essere considerata un lavoro degno”, perché si tratta piuttosto di “un abuso commesso contro quelle donne e ragazze che spesso si trovano in situazioni di povertà e di grande vulnerabilità, e si sentono come se non ci fossero alte opzioni”.

L’arcivescovo Balestrero sottolinea che “quanti si approfittano di queste vittime, come le associazioni criminali, i trafficanti di esseri umani e altri, trattano queste donne solo come una risorsa di profitto illegale e vergognoso”.

È un abuso, nota la Santa Sede, favorito anche dalla “mancanza di valori e di etica sociale” nel mondo di oggi, così come la cultura del “consumismo rampante”.

“Quando il bene comune – afferma l’arcivescovo Balestrero – si confonde con la assoluta libertà di scelta e con la ricerca di interessi individuali esclusivi, la dignità umana è danneggiata e distorta”, e si crea così “una profonda povertà di valori e relazioni, che “erode la fabbrica sociale e ha effetti deleteri sulle famiglie”.

Gli Stati hanno la necessità sempre più pressante “non solo di approvare leggi che combattano in maniera efficace questa offesa alla dignità delle donne”, ma anche di fornire “supporto pratico per le vittime di prostituzione e affrontare le cause alla base di questa violenza”.

L’arcivescovo Balestrero mette in luce il lavoro fatto in questi anni dalle Congregazioni Religiose Cattoliche.

Infine, una nota a margine, ma significativa: l’osservatore nota che la Santa Sede “resta preoccupata della crescente preminenza ed uso della maternità surrogata”, e chiedono di esplorare questa pratica nel corso del lavoro della relazione.

La Santa Sede a New York, la questione dei bambini nei conflitti armati

Lo scorso 27 giugno, si è tenuto un dibattito aperto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su Bambini e Conflitti Armati. La Santa Sede è stata rappresentata da monsignor Robert Murpahy, incaricato di affari e vice Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite.

Monsignor Murphy ha ricordato che quest’anno si celebra il 25esimo anniversario della risoluzione 1261, che richiede a tutte le parti coinvolte in un conflitto armato di adottare delle misure specifiche per proteggere le donne e le ragazze dalla violenza di genere, particolarmente dallo stupro e da altre forme di abuso sessuale e da tutte le ulteriori forme di violenza in situazioni di conflitti armati.

Inoltre, quest’anno si celebra anche il 75esimo anniversario delle Convenzioni di Ginevra.

Monsignor Murphy ha sottolineato come i conflitti abbiamo un impatto sproporzionato e catastrofico sui bambini, e lamentato la “disturbante tendenza” che vede crescere il numero di bambini uccisi durante i conflitti armati, specialmente di quelli che vivono in aeree popolate dove l’uso di armi esplosive ha impatti devastanti”.

La Santa Sede punta il dito anche contro il traffico illecito di armi piccole e leggere per i bambini, che vengono anche reclutati come bambini soldato.

Monsignor Murphy ha dunque sottolineato tre punti: l’accesso all’assistenza umanitaria; la cessazione della produzione stoccaggio ed uso di armi indiscriminate per limitare l’impatto dei conflitti armati sui bambini; la garanzia di un uso ottimale di tutti i mezzi disponibili per facilitare l’agenda sui bambini che si trovano in conflitti armati.

La Santa Sede all’Organizzazione di Stati Americani, lo sviluppo sostenibile

È stato l’arcivescovo Vincenzo Turturro, nunzio in Paraguay, a guidare la delegazione della Santa Sede nel 54esimo periodo ordinario di sessioni dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Turturro prima di tutto ha condannato, in un unione con la comunità internazionale, i fatti accaduti in Bolivia, dove c’è stato un tentativo di colpo di Stato.

Quindi, affronta la questione dello sviluppo sostenibile, tema che deve avere “uno sguardo olistico in cui si valorizza e protegge la persona umana”.

La Santa Sede sottolinea che “ogni persona è priorità ed incredibile potenziale dell’umanità, chiamata a sviluppare la missione unica e irripetibile per la quale è stata concepita che non potrà mai più realizzare”. Per questo la Santa Sede chiede di promuovere lo sviluppo integrale di ogni persona, “specialmente i più poveri e vulnerabili”, considerando che “un terzo totale della popolazione della regione vive in situazioni di povertà”, e che qui non si tratta di numeri, ma di “persone con missioni uniche e irripetibili che contribuiscono al mondo con la loro vita”.

Inoltre, afferma l’arcivescovo Turturro, la Santa Sede ritiene che “lo sviluppo sostenibile va convertito in giustizia sociale”, perché “la ineguaglianza non è inevitabile”, ma piuttosto un problema che si può risolvere con la partecipazione degli attori sociali in sinergia.

La Santa Sede poi sottolinea la situazione di migranti e rifugiati, poiché “migrazione e sviluppo sono intrinsecamente connessi” e le “possibili soluzioni devono occuparsi sia delle cause dei movimenti massici di popolazione come delle necessità dello sviluppo delle comunità che accolgono”.

L’arcivescovo Turturro insiste che la Santa Sede chiede alla comunità internazionale a “dare la priorità a politiche di accoglienza e integrazione di questi fratelli e sorelle in situazioni di vulnerabilità”, rimarcando che le persone “non sono il problema, ma il bene della regione”.

Infine, la Santa Sede sottolinea l’importanza di percepirsi come appartenenti ad una stessa umanità, e per questo “è essenziale che si prendano decisioni motivate dalla questioni della cultura della vita e della fraternità, dove nessuno sia privato dei suoi diritti fondamentali, tra i quali la libertà religiosa e di fede”.

Anche le questioni della sicurezza devono allora concentrarsi “nel contesto dei diritti umani”. L’arcivescovo Turturro nota che “le sfide regionali richiedono azioni urgenti che favoriscano e difendano i valori fondamentali su cui è basata questa civilizzazione: la dignità della persona umana e il suo sviluppo integrale”. Da parte sua, la Santa Sede assicura “collaborazione e impegno istituzionale in ciascuno dei Paesi delle Americhe”.

La Santa Sede a Ginevra, la tratta di donne e bambini

Il 27 giugno, la 56esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani si è concentrata sul Relatore Speciale sul Traffico di esseri umani, specialmente donne e bambini. Il rapporto, che tocca anche la migrazione mista e la protezione in mare, è definito dalla Santa Sede un “opportuno promemoria degli obblighi che si applicano ad una varietà di attori marittimi per assicurare una efficace prevenzione della tratta marina, e la protezione delle vittime di questa tratta”.

Secondo la Santa Sede, quanti rischiano le loro vite in mare in cerca di una accoglienza e una vita migliore “non devono trovarsi di fronte allo sfruttamento e alla morte”. Tuttavia, la tratta di esseri umani, che sia a terra o in mare, “passa spesso inosservata”, pur creando “profonde cicatrici nelle vittime, che sono frequentemente donne e bambini”.

La Santa Sede chiede di non rimanere apatici di fronte a questa vergogna tragica e globale, e di “rigettare questa cultura dell’indifferenza, che ci toglie sensibilità riguardo queste realtà e cancella l’umanità e la dignità inalienabile di quanti sono sfruttati”.

La Santa Sede nota che le persone che vivono in estrema povertà sono i più vulnerabili ad essere vittime della tratta, e ritiene “vergognoso” che “gli attuali gap nella protezione di persone che si muovono in mare sono troppo spesso la conseguenza di una mancanza di cooperazione internazionale e la mancanza di volontà di accettare l responsabilità di ciascuno livello locale, nazionale e internazionale”.

La Santa Sede chiede di non rimanere inattivi, invita gli Stati ad impegnarsi per rendere rotte e percorsi più sicuri per migranti, rifugiati, vittime di tratta, chiede di farlo “criminalizzando le reti di tratta, indicando rotte più sicure, espandendo i canali di migrazione regolare e promuovendo un approccio comune e corresponsabile ai flussi migratori.

È anche cruciale – sostiene la Santa Sede – “evitare un futuro sfruttamento e dare assistenza alle vittime”.

La Santa Sede a Ginevra, il diritto alla libertà di associazione

Il 28 giugno si è tenuta a Ginevra la 56esima sessione regolare del Consiglio dei Diritti Umani, che ha visto un dialogo con il Relatore Speciale sui diritti alla libertà di assemblea pacifica e associazione.

Il diritto – ha sottolineato la Santa Sede – costituisce, insieme ai riti di libertà di espressione, “un pilastro fondamentale di ogni società democratica ben funzionante”, perché “facilita l’espressione di opinioni che potrebbero o non potrebbero essere condivise da tutti i membri della società”.

La Santa Sede chiede che questo diritto sia protetto per “facilitare l’esistenza di una società pluralistica in cui persone con opinioni o credi differenti possano coesistere pacificamente”.

La delegazione della Santa Sede ha anche notato come il diritto all’assemblea è “inestricabilmente collegato con la libertà di religione e credo”, e che i due diritti sono “mutualmente rafforzanti, indipendenti e interrelati”.

Il diritto di associazione, aggiunge la Santa Sede, è universale, e per questo “nessuna persona può privarli a qualcuno, cosa che sarebbe contraria alla loro natura intrinseca”. La Santa Sede concede che tuttavia in alcune circostanze “ci possono essere limitazioni all’esercizio di questi diritti”, fin quando sono in accordo con i “rilevanti obblighi internazionali”.

La Santa Sede nota anche che la realizzazione dei diritti umani necessità “non solo l’articolazione di questi diritti in parole, ma anche la loro effettiva protezione osservanza e pratica.

Di fronte alla preoccupazione di una erosione della democrazia, la Santa Sede sottolinea che “la partecipazione avviene anche attraverso l’esercizio del diritto di libertà di associazione e assemblea”, e che la partecipazione è un imperativo per “evitare che la democrazia si atrofizzi e diventi solo formale”.

Infine, la Santa Sede chiede di delucidare sul ruolo che i leader religiosi possono “giocare nel mantenere lo spazio civico aperto ed evitare l’erosione dei principi democratici”.

                                                           FOCUS I.A.

Il cardinale Parolin sull’intelligenza artificiale

Lo scorso 22 giugno, i membri della fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice hanno ascoltato, dopo l’incontro con Papa Francesco, un intervento del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato. La fondazione era Roma per il suo incontro annuale, che quest’ano è consistito in una Conferenza Internazionale sull’Intelligenza Artificiale.

Il Segretario di Stato vaticano ha notato che il tema dell’intelligenza artificiale “si insinua in maniera pervasiva nei rapporti umani”, sottolineando che "rispetto alle innovazioni tecnologiche del passato, come ad esempio l’invenzione della stampa, della macchina a vapore, dell’automobile, che sono servite a trasformare il mondo fisico, le nuove tecnologie informatiche processano una realtà immateriale" e hanno perciò un significativo "impatto sul modo in cui si sviluppa l’intelligenza umana".

Il cardinale Parolin ha affermato che l’esperienza dell’io si ristruttura, e la stessa Intelligenza Artificiale è oggetto di una base in rapida evoluzione che segna il passaggio dall’apprendimento automatico" - in cui è fondamentale il ruolo umano nella figura degli sperimentatori - a quello che viene definito "apprendimento profondo".

Il cardinale ha chiesto di vigilare attentamente per non cedere alla logica del pragmatismo, della programmazione, bensì per "indirizzare la rivoluzione tecnologica in modo equo e sociale", e ha poi passato in rassegna i diversi tipi di intelligenza artificiale: da quella predittiva, in cui la macchina fa previsione sulla base di dati acquisiti, a quella decisionale, che estrae informazioni per dare suggerimenti, fino all’intelligenza generativa, che – ha detto Parolin - è in grado di generare testo, immagini, video, musica o altri media in risposta a degli input, "confezionandoli nello stile che le è stato richiesto".

Ci sono sviluppi in campo farmaceutico e medico, ma anche in campo militare – tema su cui il Cardinale Parolin ha messo in guardia. Tuttavia, il Segretario di Stato vaticano ha invitato a considerare l’Intelligenza Artificiale non come una minaccia ma come un’alleata dell’umanità, e facendo notare che essa è sempre un prodotto dell’uomo. Pertanto, il progresso tecnologico deve essere assistito da un modus operandi che rispetti la dignità e la fraternità degli esseri umani, evitando di utilizzarlo per il benessere di pochi a discapito di molti.

                                                           FOCUS ECOLOGIA

Papa Francesco riceve Al Gore

Il 28 giugno, Papa Francesco ha ricevuto l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore,  a Roma

per la tre giorni del summit della sua associazione Climate Reality Project.

L’incontro si è svolto in forma strettamente privata nella residenza di Santa Marta. La notizia è stata diffusa dal profilo di Padre Enzo Fortunato, coordinatore della Giornata Mondiale dei Bambini, presente all’incontro con il suo vice, Aldo Cagnoli. Con Al Gore c’era il direttore di Green & Blue Riccardo Luna

Secondo Padre Fortunato, “Gore ha molto lodato il papa per l’impatto che l'enciclica Laudato Sì ebbe sull’Accordo di Parigi sul clima nel 2015 e per la recente esortazione apostolica Laudate Deum”.

Da parte sua, Papa Francesco avrebbe ringraziato Gore per la “inquietudine climatica” che da sempre anima la sua attività politica. Gore ha detto che il Vaticano è un esempio di transizione ecologica anche nei fatti, citando il recente annuncio di un mega impianto agrivoltaico a Santa Maria Galeria.

“I due – conclude padre Fortunato - hanno convenuto sulla esigenza di accelerare la transizione nonostante la resistenza delle grandi aziende di combustibili fossili e hanno ragionato su possibili forme di collaborazione per provare ad avere un impatto maggiore sull’opinione pubblica”.