L’arcivescovo Celli ha sottolineato che Giovanni Paolo II seguiva personalmente il dossier Cina, fece degli interventi specifici, inviando persino una lettera a Deng Xiaoping, lavorò per creare un ponte che portò anche all’incontro dell’arcivescovo Celli con le autorità cinesi nell’ambasciata.
Tre erano le piste da seguire: sostenere le comunità clandestine che soffrivano per la loro fedeltà a Pietro; favorire il ritorno alla comunione dei vescovi illeciti; e mantenere il contatto con i vescovi che uscivano dal Paese.
L’arcivescovo Celli notava che i vescovi illeciti avevano comunque “un senso profondo di comunione ecclesiale con il Papa”.
Se i contatti con le autorità cinesi hanno “rappresentato un cammino non facile, segnato da tensioni, dal limitata fiducia reciproca, da scarsa conoscenza tra le parti”, c’era comunque l’esigenza di “costruire un ponte”, e questo ponte ha portato all’attuale accordo provvisorio con la Cina, da considerare “un punto di arrivo, ma anche un punto di partenza per il dialogo più concreto e fruttuoso tra le parti, per il bene della Chiesa in Cina e l’armonia all’interno del popolo cinese”.
L’arcivescovo Celli ha poi sottolineato che Benedetto XVI conosceva bene la questione cinese sin da quando era prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, e questa conoscenza lo portò a scrivere la “lettera ai cattolici cinesi” del 2007, che presentava chiarimenti dottrinali e orientamenti pastorali tuttora validi, chiedeva la riconciliazione tra fratelli oltre alla comunione con Pietro e la richiesta alla piccola Chiesa di Cina “l’urgente compito della missione evangelizzatrice”.
Quindi, Papa Francesco – conclude l’arcivescovo Celli – ha “portato la novità del proprio carisma”, da cui è scaturito l’accordo provvisorio che “chiude la dolorosa esperienza dei vescovi illegittimi”. L’accordo “non è solo un punto di arrivo, ma anche un punto di partenza”, anche perché “il cammino verso la normalizzazione della vita della Chiesa è lungo”.
Il contributo alla riconciliazione e alla giustizia è stato invece oggetto dell’intervento di Padre Sosa, generale dei Gesuiti, che però non ha voluto dare una posizione ufficiale della Compagnia del Gesù, ma piuttosto ha voluto guardare alla possibilità missionaria della Cina. Il suo intervento si è snodato sul tema dell’inculturazione, riconciliazione e giustizia.
Sosa ha spiegato che “sinizzare il cristianesimo in Cina non è facile”, perché è un processo “complesso e incompleto”; come lo sono tutti i processi, e questo tipo di inculturazione comporta anche “una forte dose d umiliazione”, da cui deve scaturire vita nuova.
La riconciliazione è necessaria in un mondo “interdipendente”, e padre Sosa ha messo in campo l’impegno dei gesuiti a favorire “un processo di mondializzazione in cui si riconosca la multiculturalità come ricchezza umana”. Padre Sosa ha notato che la politica sembra indebolita, ed è un problema perché questa “è centrale quando si tratta di favorire la riconciliazione tra gli uomini”, sottolinea la frammentarietà e la progressiva centralizzazione della società, mette in luce che “la missione riconciliazione e giustizia assume in Cina una dimensione interna di speciale importanza e complessità”, e che “la riconciliazione dentro la Chiesa è quella che permetterà di camminare, al medesimo tempo, verso la riconciliazione con tante altre dimensioni della vita politica, sociale e culturale cinese in mezzo a una rapida trasformazione di tutte le sue forme”.
La Santa Sede all’ONU di Ginevra, la questione delle armi robot
Non c’è solo l’abolizione delle armi nucleari nei pensieri della Santa Sede. Certamente, la Santa Sede è stata tra i primi al mondo ad accorgersi degli effetti letali delle piccole armi automatiche, gestite da remoto, che possono fare danni gravi e allo stesso tempo annullare il concetto di responsabilità personale. La Santa Sede ne ha parlato il 26 marzo, a Ginevra, al Gruppo di Esperti Governativi dei Sistemi Autonomi Letali di Armi (LAWS) sulla Convenzione su alcune armi convenzionali.
L’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra, ha sottolineato che la questione delle LAWS non riguardo solo la legge umanitaria internazionale, ma allo stesso tempo fanno emergere potenziali serie implicazioni per la pace e per la stabilità.
Per la Santa Sede, prima di tutto vanno comunque applicati principi di diritto umanitario internazionale, a partire dalla necessaria considerazione che c’è sempre un giudizio prudenziale per il quale la persona umana non è in nessun caso sostituibile, a partire proprio dai principi di proporzionalità, precauzione, comprensione di contesti.
Insomma, le decisioni etiche richiedono una serie di interpretazioni che solo l’essere umano può gestire.
L’altro problema da sollevare riguarda la responsabilità: in caso armi automatiche sbaglino, di chi sarà la responsabilità? Perché non c’è essere umano cui dare la responsabilità, e solo le persone sono soggetti responsabili che possono essere sanzionati per i loro errori e obbligati a risarcire per i propri errori.
La Santa Sede poi nota che anche scienziati, ingegneri, ricercatori militari, esperti di etica mostrano sempre più preoccupazione, specialmente per una crescente obiezione di coscienza su “certi processi che riguardano l’armare l’intelligenza artificiale”.
Per concludere, la Santa Sede nota queste considerazioni comune “richiedono una cornice multilaterale solida e regolamentativa”.
La Santa Sede alle Nazioni Unite di New York: la convenzione sulla legge del mare
Da tempo, la Santa Sede sostiene la necessità di uno strumento legale vincolante con l’obiettivo di un uso sostenibile della diversità biologica marina in aree al di fuori della giurisdizione. E lo ha ribadito il 25 marzo, alla Conferenza Intergovernativa su uno strumento legalmente vincolante che cada sotto la Convenzione delle Leggi del Mare delle Nazioni Unite.
Tenendo l’intervento iniziale alla conferenza, l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha sottolineato cinque punti, cinque mancanze legali che la Santa Sede sperano sia rimediate dalla bozza.
Prima di tutto, la mancanza di definire su chi basare le decisioni sull’impatto ambientale. Un gap giurisdizionale, dato che le aree al di là delle giursdizioni nazionali non sono sotto il controllo di alcuno Stato; un gap di applicabilità dal punto di vista legale, sugli e tra Stati, su quanti propongono attività, sulle attività e sui corpi che regolamentano le cose; e un gap economico che possa definire la copertura economica nell’implementare misure procedurali, di adeguatezza e di rafforzamento legale. Infine, c’è un problema di chiarificazione dei termini, in partcolare delle frasi “eredità comune della natura umana” e “libertà degli alti mari”.
La Santa Sede chiede anche di prestare attenzione agli Stati in Via di Sviluppo che sono isole.
La Santa Sede alle Nazioni Unite di New York: combattere il finanziamento al terrorismo
Il 21 marzo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha ospitato un dibattito su “Minacce nella pace internazionale e la sicurezza causate da atti terroristici: combattere il finanziamento del terrorismo”.
L’arcivescovo Auza ha sottolineato che il terrorismo, ormai comune, deve essere condannato in tutte le forme, e ai terroristi vanno negati tutti i mezzi che possano facilitare le loro attività, dai soldi al cyberspazio. In più, povertà e miseria, che possono facilitare l’insorgenza del terrorismo, devono essere affrontati. L’arcivescovo Auza ha poi sottolineato che, nel combattere il terrorismo, “i dritti umani, lo stato di diritto e la legge umantaria internazionale deve essere scrupolosamente rispettata”.
La Santa Sede alle Nazioni Unite di New York: la cura della casa comune
Il 29 marzo, l'arcivescovo Auza ha tenuto un intervento all'Incontro di Alto Livello sul clima e lo sviluppo sostenbile per tutti". L'Osservatore della Santa Sede all'ONU ha sottolineato l'impegno di Papa Francesco per un approccio integrato ed etico che "si prende cura della casa comune e allo stesso tempo per i fratelli in quella casa, combattendo la povertà e l'esclusione e sviluppando solidarietà tra le popolazioni oggi e tra le generazioni".
L'arcivescovo Auza ha detto che le generazio di oggi conoscono bene la situazione odierna, e ciò che si deve fare, e che ora la conoscenza deve essere accompagnata da volontà politica e da un senso di urgenza perché msure efficaci siano messe in atto. "Ciò di cui c'è bisogno - ha detto - non sono previsioni da giorno del giudizio", ma piuttosto l'esame dei nostri consumi e stili di vita.
La Santa Sede all'ONU di New York: Papa Francesco e l'ambiente
Allo stesso tema è stata dedicata una conferenaz dell'arcivescovo Auza alla Fordham University lo scorso 27 marzo. Lì, l'arcivescovo Auza ha parlato di "ecologia integrale" come un prisma attraverso cui analizzare vari accordi delle Nazioni Unite sull'ambiente, dall'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile alla Convenzione ONU per il Cambiamento del Clima, il protocollo di Kyoto, l'Accordo di Parigi, il Pacchetto sul Clima di Katowice nonché la proposta di un Global Compact (accordo globale) per l'ambiente.
La Santa Sede alla FAO: i diritti delle popolazioni indigene
Si è tenuto il 28 marzo alla FAO un seminario di studio su “I popoli indigeni custodi della natura: l’enciclica Laudato Si di Papa Francesco e gli obiettivi di sviluppo sostenibile”.
Nel suo intervento conclusivo, monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso la FAO, ha sottolineato che il seminario ha voluto mostrare come si può curare la natura pensando ai comportamenti dei popoli indigeni, che hanno un comportamento speciale con la terra.
L’Osservatore ha messo in luce l’atteggiamento di colonizzazione economica, guidata solo da interessi commerciali, che ha creato il problema, mentre oggi la necessità di un dialogo con le popolazioni indigene. Le popolazioni indigene, ha ammonito l’osservatore, vanno considerate autentiche interlocutrici.
Papa Francesco nomina il nuovo nunzio in Nuova Zelanda
Dopo tre anni come nunzio in Honduras, l'arcivescovo tanzanianano Novatus Rugambwa è stato destinato da Papa Francesco all’incarico di nunzio apostolico in Nuova Zelanda e delegato apostolico dell’Oceano Pacifico.
Nato nel 1975, l’arcivescovo Rugambwa è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1991, e ha servito nelle missioni diplomatiche di Panama, Repubblica del Congo, Pakistan, Nuova Zelanda e Indonesia. Nel 2007, è stato nominato sottosegretario del Pontificio Consiglio dei Migranti, e nel 2010 è stato destinato all’incarico di nunzio a Sao Tomé e Principe ed Angola. Era nunzio in Honduras dal 2015.
Papa Francesco nomina il Nunzio Apostolico in Guinea e Mali
Un nunzio di prima nomina per Guinea e Mali. Monsignor Tytus Chmieleci, polacco, finora consigliere di nunziatura, è stato nominato nunzio in Guinea e Mali. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1995, ha prestato servizio nelle nunziatura di Georgia, Senegal, Austria, Ucraina, Kazakhstan, Brasile. Era attualmente nella sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.