Il presidente e il Cardinale Turkson hanno sottolineato che tra Lettonia e Santa Sede ci sono eccellenti relazioni diplomatiche e che la visita di Papa Francesco ha dato ulteriore slancio al rafforzamento del dialogo ecumenico, che – ha detto il presidente Vejonis – contribuisce la dialogo e all’unità della società.
Il presidente Vejonis ha anche messo in luce che lo Stato cura gli edifici di culto e consente l’insegnamento cristiano nelle scuole elementari, mentre le autorità locali forniscono anche supporto finanziario alle chiese.
Il Cardinale Turkson è stato anche presso l’Università di Riga il 22 maggio, dove è stata presentata la traduzione in lingua lettone del Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa.
Nella sua presentazione, il Cardinale Turkson ha delineato la storia della Dottrina Sociale della Chiesa e ha ricordato che “l’insegnamento sociale della Chiesa è piuttosto una teologia morale che si occupa di questioni sociali. Non è un’ideologia, non è un ideale utopistico. La dottrina sociale della Chiesa è una espressione di fede e riflette la posizione della Chiesa sulle realtà sociali alla luce del Vangelo”.
Il cardinale Turkson ha ricordato le encicliche sociali dei Papi: dalla Rerum Novarum di Leone XIII (1891) alla Quadragesimo Anno di Pio XI (1931), dalla Populorum Progressio di Paolo VI (1967) alla Centesimus Annus di Giovanni Paolo II nel 1991, per finire con la Caritas in Veritate di Benedetto XVI (2009) e la Laudato Si di Papa Francesco (2015).
Fu Giovanni Paolo II, nel 1998, e chiedere al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace di elaborare il compendio. Oltre alla Centesimus Annus, San Giovanni Paolo II ha redatto altri documenti sociali: la Laborem exercenses e la Solicitudo Rei Sociali.
Il Cardinale Turkson ha anche caldeggiato una nuova edizione del Compendio, che includa anche gli insegnamenti di Caritas in Veritate e Laudaato Si e ha sottolineato la necessità di un documento in cui si parli di intelligenza artificiale.
Il cardinale Turkson ha sottolineato che “quando si pensa allo sviluppo sociale, bisogna rendersi conto che non si tratta solo di noi, ma di una solidarietà intergenerazionale. Le nostre decisioni riguardano non solo noi, ma anche le generazioni future ".
La Santa Sede a Ginevra: al Consiglio Mondiale delle Chiese
Lo scorso 21 maggio, si è tenuto al Consiglio Mondiale delle Chiese di Ginevra il seminario “Promuovere la Pace Insieme”. L’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali a Ginevra, ha partecipato a nome della Santa Sede.
L’arcivescovo Jurkovic ha notato che l’interdipendenza tra Stati include il diritto della Santa Sede di inviare e ricevere inviati verso e da Stati, e quindi i Papi sono “attori internazionali nella comunità globale, nel senso moderno, dall’inizio nel 15esimo secolo fino ad oggi”.
Il prelato ha spiegato il funzionamento della Santa Sede, il ruolo dei rappresentanti pontifici, che “in ogni posizione abbiano, rappresentano la persona del Santo Padre come capo della Chiesa Cattolica, esprimendo in questo modo la cura per tutte le Chiese e per tutta l’umanità che è il Successore di Pietro”.
Il dialogo è un esercizio per “promuovere e rafforzare la pace”, ma la Santa Sede ha anche relazioni bilaterali con gli Stati e nei forum multilaterali e, “a differenza di altre diplomazie, si preoccupa più della vita delle popolazioni che dell’ambiente sempre mutevole della vita politica”.
La Santa Sede cerca sempre il benessere delle persone e per questo, sottolinea l’arcivescovo Jurkovic, non ha mai chiuso o alzato il livello di tensione nelle relazioni diplomatiche, ha firmato concordati su aree di comune interesse tra Chiesa e Stato e ha combattuto per garantire la libertà della comunità cattolica di ciascuna comunità particolare.
La Santa Sede usa gli accordi per rafforzare il principio del diritto alla libertà di religione e di credo, come riconosciuto dalla comunità internazionale, perché – sottolinea l’arcivescovo Jurkovic – “la libertà di religione è allo stesso tempo la base e il limite dell’elaborazione dei concordati della Santa Sede”.
Il nunzio è anche chiamato a avere rapporti con le altre confessioni cristiane, e questo è un lavoro che fa anche il Consiglio Mondiale delle Chiese, fondato 100 anni fa.
In questo secolo, la Santa Sede è stata “un membro della comunità internazionale” e si è unita a diverse organizzazioni, come membro o osservatore, per promuovere “la dimensione umana” o “la centralità della persona umana e il suo sviluppo integrale”.
La Santa Sede, insomma, vive l’idea di fraternità. Per questo, “la libertà di religione e credo è anche promossa e capace di fiorire”.
La Santa Sede all’ONU di Ginevra: l’Assemblea Mondiale della Salute
Il 22 maggio, si è tenuta a Ginevra la 72esima Assemblea Mondiale della Salute. La Santa Sede ha partecipato e, in un intervento dell’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente, ha sottolineato che “salvaguardare il diritto di tutti di avere accesso alla salute è, in realtà, un modo di rafforzare il valore della giustizia sociale, della eguaglianza di salute e il bene comune”.
La Santa Sede nota che molti Stati hanno fatto grandi passi avanti per dare accesso a “cure sanitarie di qualità”, ma che non c’è ancora eguaglianza, dato che “metà della popolazione mondiale ancora manca di accesso a cure essenziali, e quasi 100 milioni di persone sono spinte all’estrema povertà ogni ano a causa delle spese sulla salute”.
La Santa Sede mostra preoccupazione perché “nonostante gli sforzi di molti governi di arrivare all’obiettivo globale della copertura sanitaria universale”, ci sono ancora molte persone cui manca questo accesso, “specialmente, migranti, rifugiati, sfollati, persone senza cittadinanza, perché alcuni Stati non includono queste persone nei loro programmi di copertura sanitaria”.
A queste si aggiungono quanti non hanno i documenti necessari perché vengono da zone di guerra, o quelli che vengono da nazioni in cui non si possono avere documenti senza il consenso degli sposi.
La Santa Sede osserva anche che in molte nazioni il settore non profit fornisce una gran parte di programmi di copertura sanitaria, e che quindi il supporto e la collaborazione delle organizzazioni di tipo religioso dovrebbe essere reso “efficace e sostenibile, attraverso il lavoro di insieme in uno spirito di partnership, rispetto mutuo e dialogo.
La Santa Sede nota che c’è bisogno, per garantire accesso a sanità di qualità per tutit, ci vuole una forza di lavoro “ben formata” e che quindi gli investimenti devono anche essere mirati a sviluppare la forza lavoro perché questo “assicurerà lo svluppo di un team interdisciplinare, capace di fornire un vasto raggio di servizi accessibili, dando la priorità alla promozione della salute e alla prevenzione delle malattie”.
Santa Sede all’ONU di New York: sulla protezione di civili in zone di confitto
Il 23 maggio si è tenuto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite un dibattito sulla Protezione dei Civili nei Conflitti. La Santa Sede è intervenuta con un intervento dell’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore presso le Nazioni Unite a New York, letto da monsignor Tomasz Grysa, il suo vice.
La Santa Sede ha sottolineato che quest’anno si celebra il 70esimo anniversario delle quattro Convenzioni di Ginevra e il 20esimo anniversario della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1265, che ha fornito i pilastri della legge umanitaria internazionale.
Le quattro convenzioni e la risoluzione condannavano deliberatamente l’attacco ai civili, e sono “oggi più rilevanti che mai”, perché molti conflitti coinvolgono gruppi armati non Statali che non hanno alcun riguardo per la legge umanitaria internazionale e non si fanno scrupoli di attaccare scuole, ospedali, staff medico, luoghi di culto, siti storici, case, donne e ragazze, giornalisti, operatori umanitari e altre persone vulnerabili.
La Santa Sede ha denunciato che una cultura di impunità “impedisce alle parti in guerra di rispettare le regole di guerra e meccanismi legali più forti. Il dibattito dovrebbe dunque portare a nuove azioni per meglio proteggere i civili in conflitto.
Il nunzio in Honduras decorato dal governo prima della partenza per le Fiji
Lo scorso 21 maggio, il governo dell’Honduras ha decorato l’arcivescovo Novatus Rugambwa, nunzio apostolico, con l’Ordine Francisco Morazan nel grado de Gran Gruz Plata.
L’onoreficenza è stata consegnata dalla Cancelliera Maria Dolores Aguero Lara, la quale ha sottolineato che l’arcivescovo Rugambwa “è stato il testimone eccezionale degli accadimenti politici dell’Honduras, perché ha visitato e ha interagito con la realtà, ha potuto constatare che molte volte la realtà nazionale è colpita da fattori esterni”.
L’arcivescovo Rugambwa ha sottolineato che “la Santa Sede e la Chiesa in Honduras hanno continuato ad intensificare un servizio non basato sopra il capriccio umano, ma sulla rivelazione, in forma della legge naturale e della legge divina in tutti i temi della sua attività”.
“Si può comprendere – ha aggiunto l’arcivescovo Rugambwa – “perché la diplomazia della santa Sede non cessa di ricordare alle nazioni l’importanza dell’uomo in quanto corpo ed anima, dell’uomo in quanto portatore di una sua dignità”.
Il 25 maggio è stata resa nota la nomina dell’arcivescovo Rugambwa a Nunzio Apostolico in Nuova Zelanda e delegato apostolico nell’Oceano Pacifico. Prende il posto dell’arcivescovo Martin Krebs, nominato il 16 giugno 2018 nunzio apostolico in Uruguay.
Nomine di nunzi
Papa Francesco ha anche nominato l’arcivescovo Antonio Arcari nunzio apostolico presso il Principato di Monaco. Prende il posto dell’arcivescovo Luigi Pezzuto, che aveva aggiunto dal 2016 l’incarico di nunzio nel Principato a quello di nunzio in Bosnia Erzegovina e Montenegro.
L’arcivescovo Arcari viene dall’incarico di nunzio apostolico in Costa Rica, che ricopriva dal 2014.
L’arcivescovo Hubertus Matheus Maria Van Megen è stato nominato osservatore permanente presso gli Organismi delle Nazioni Unite per l’Ambiente e gli Insediamenti Umani, che ha sede a Nairobi. Dopo che era stato nominato nunzio apostolico in Kenya e poi in Sud Sudan, era un passaggio scontato: il nunzio a Nairobi ha sempre avuto anche l’incarico presso la sede delle Nazioni Unite in Kenya.
Myanmar: come le religioni possono lavorare per lo sviluppo
I riflettori sul Myanmar sembrano essersi spenti, così come quelle della situazone dei Rohingya. La Chiesa locale, però, continua a lavorare incessantemente. Il Cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, ha promosso l’incontrro del forum di Religons for Peace leaders religiosi tra il 7 e l’8 maggio nella capital Nay-pi-taw. L’incontro ha messo insieme più di 200 tra leaders religiosi, del governo, parlamentari, military, organizzazioni etniche. All’evento ha partecpato anche il Consigliere di Stato Aung San Suu Kyi, che ha tenuto il discorso di aperture.
Il Cardinale Bo ha sottolineto durante l’incontro che “non otteniamo nulla dal lottare l’uno contro l’altro e dall’uccidere i nostri fratelli e sorelle”. Quelli che “sono cresciuti in aree di conflitto non assaporeranno mai la pace. Tutti noi in questo forum stiamo invece parlando del percorso verso la pace”.
Verso le elezioni Europee: il punto di vista del vescovo Crociata
Il 26 maggio ci saranno le elezioni europee. Il vescovo Mariano Crociata di Latina, vicepresidente della Commissione delle Conferenze Episcopali Europee (COMECE) ha spiegato “L’Europa di Papa Francesco” in un incontro promosso lo scorso 15 maggio presso l’Università Cattolica di Milano.
Nel suo intervento, il vescovo ha sottolineato che oggi si vede “più chiaramente l’intento ideologico che stava dietro il rifiuto di riconoscere un dato storico, peraltro inoppugnabile”, che è quello delle radici cristiane. Ma, ha aggiunto, il contesto attuale porta piuttosto a vedere alle radici cristiane come “a un compito o una sfida per chi di esse continua a nutrirsi e ad attingere la linfa”.
Papa Francesco, ha detto il vescovo Crociata, considera “l’identità europea in termini relazionali e multiculturali”, la cui ricchezza “è sempre stata la sua apertura spirituale e la capacità di porsi domande fondamentali sul senso dell’esistenza”.
I padri fondatori dell’Europa hanno posto i pilastri della sua identità sulla centralità dell’uomo, la solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro”: tutti temi, dice il vicepresidente COMECE, che si presentano problematici oggi, specialmente di fronte alla sfiducia dei cittadini. Papa Francesco ha però rimarcato che “l’Europa non è un insieme di regole da osservare, non un prontuario d protocolli e procedure da seguire”, ma è piuttosto “una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente ed inalienabile”.
Sottolinea il vescovo Crociata: “La distanza fra cittadini e istituzioni, la deriva individualista e la mercificazione a cui è esposta la persona, di cui risentono particolarmente i giovani, segnano un tornante storico faticoso”.
Se ne esce con “un nuovo umanesimo”, e “integrazione e solidarietà”, che presuppongono “una cultura del dialogo”.
Il compito dei cristiani è quello di essere presenti perché “nella visione cristiana ragione e fede, religione e società, sono chiamate a illuminarsi reciprocamente, sostenendosi a vicenda e, se necessario, purificandosi scambievolmente dagli estremismi ideologici in cui possono cadere. L’intera società europea non può che trarre giovamento da un nesso ravvivato tra i due ambiti, sia per far fronte a un fondamentalismo religioso che è soprattutto nemico di Dio, sia per ovviare a una ragione ‘ridotta’, che non rende onore all’uomo”.
Quebec, ancora leggi di secolarizzazione
Non c’è pace per il Quebec, già scosso negli Anni Novanta dall’ondata di secolarizzazione della Revolution Tranquille. Una nuova legge approvata lo scorso 21 maggio ha fatto affermare all’arcivescovo Christian Lepine di Montreal che c’è il timore che la legge sarà “a spese delle libertà individuali”.
Il “Bill 21” dovrebbe essere adottato dalla Assemblea Nazionale del Quebec prima della fine della sessione parlamentare a giugno, e nelle intenzioni del governo quebecoise questo dovrebbe chiudere il dibattito sul ruolo della religione nella sfera pubblica.
La legge chiede agli ufficiali pubblici, come giudici, ufficiali di polizia e insegnanti scolastici, di evitare di portare simboli religiosi. Secondo l’arcivescovo Lepien, la vera neutralità dovrebbe piuttosto “dimostrare apertura e accettazione verso tutti i cittadini”, perché non ci si può rendere conto che “la proibizione ad indossare simboli religiosi sia un ostacolo alla libertà di coscienza e religione, e anche un attacco alla dignità umana, dato che ai cittadini è richiesto di nascondere l’identità religiosa nel nome di una presunta neutralità”.
In particolare, l’arcivescovo Lepine si è lamentato sul divieto rivolto agli insegnanti e ha sottolineato che indossare simboli religiosi è un diritto riconosciuto dall’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”.
Regno Unito, otto secoli di Magna Carta. Il lavoro della Chiesa Cattolica
Gli otto secoli della Magna Carta, la prima costituzone inglese, sono stati celebrati dall’ambasciatore del Regno Unito Sally Axworthy con un articolo sull’Osservatore Romano del 20 maggio in cui veniva messo in luce anche il contributo della Chiesa cattolica alla stesura del documento.
L’ambasciatore ha ricordato come la copia della Magna Carta del 1217 della cattedrale dei Heretford è attualmente esposta a Vercelli, luogo dove il Cardinale Guala Bicchieri, strumentale alla ripubblicazione della Magna Charta, aveva fondato l’abbazia di Sant’Andrea.
In una conferenza patrocinata dall’ambasciata – ha detto Axworthy – “Nicholas Vincent dell’università di East Anglia ci ha spiegato che i punti centrali della Magna Carta che permangono nel diritto britannico sono che nessun uomo libero può essere imprigionato se non per giudizio dei suoi pari e per la legge del territorio; che la giustizia non può essere né comprata né venduta; e che la Chiesa d’Inghilterra sarà per sempre libera”. Sono temi che scaturiscono anche dall’assassinio di Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, la cui tunica è stata prestata quest’anno dalla Chiesa Cattolica alla Chiesa Anglicana per gli 850 anni del martirio.
All’evento, ha preso parte anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, che ha spiegato come la perdita degli Stati Pontifici nel XIX secolo ha liberato la Chiesa da interessi nazionali, e dunque l’interesse nazionale della Santa Sede è di promuovere della pace. Per questo “l’approccio della Chiesa alla risoluzione dei conflitti è incentrato sull’intera persona umana, compresa la dimensione spirituale, e apporta autorità morale alla costruzione della pace”.
Tra le mediazioni vaticane, quella del conflitto sul canale di Beagle tra Cile e Argentina. La Santa Sede – ha notato l’arcivescovo Gallagher – è stata anche recentemente invitata a fare da mediatore in conflitti, ma con la speranza “che la Chiesa si schierasse”, e il riferimento nascosto era in particolare alla richiesta di mediazione in Venezuela o a quella in Nicaragua.
All’evento ha preso la parole anche monsignor Richard Gyhra, della Segreteria di Stato, il quale ha spiegato “che il concetto di diritti umani della Chiesa è incentrato sulla dignità della persona umana. La libertà di religione o di fede è il fondamento del rispetto della coscienza e del prosperare di altri diritti. La Santa Sede ha una missione diplomatica unica nel promuovere il bene comune”.