Il secondo punto, ha aggiunto, “è la riconciliazione. È probabilmente il punto più difficile. Parlo di riconciliazione anche nel mio Paese. L'anno prossimo celebreremo l'80° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, e non c'è ancora una riconciliazione interna tra sloveni e sloveni. Sapete anche che il rapporto tra Italia e Slovenia è stato influenzato dalle crudeltà da entrambe le parti durante la Seconda guerra mondiale. I Balcani occidentali sono la stessa cosa.
La riconciliazione deve ancora progredire, quindi dobbiamo lavorarci. Ciò significa educare i giovani e dire loro la verità sul passato, le cose belle e quelle brutte”.
Infine, il terzo punto, che suona così: “se si negozia qualcosa e di conseguenza si concorda su qualcosa, bisogna rispettarlo fino all'ultima lettera. Anche questo non è spesso il caso nei Balcani occidentali”.
FOCUS SLOVACCHIA
Il 9 dicembre il presidente di Slovacchia sarà da Papa Francesco
Con un post lo scorso 5 dicembre, Peter Pellegrini, presidente di Slovacchia, ha reso noto di aver ricevuto l’arcivescovo Nicola Girasoli, nunzio in Slovacchia, in vista della visita presidenziale a Papa Francesco che avrà luogo il prossimo 9 dicembre. Pellegrini arriverà già nel pomeriggio l’8 dicembre, e ha affermato che “obiettivo della sua visita è di portare alla Slovacchia un messaggio di Natale del Santo Padre”.
Pellegrini ha ricordato di aver già incontrato Papa Francesco nel suo precedente incarico di Primo Ministro, e sottolineato che quell’incontro “ha dato a me e a tutta la Slovacchia tanta speranza, ispirazione e fede”. Ha in particolare ricordato che il Papa gli avrebbe detto che “una nazione è come un albero dove le persone anziane, le loro esperienze e le loro tradizioni sono le radici, la generazione di mezzo il tronco e i più giovani i fiori e i frutti”, parole che – ha detto Pellegrini – “ricorderò sempre”.
Ha concluso Pellegrini: “Credo che anche da questo incontro di Avvento porterò alla Slovacchia un messaggio pieno di speranza, forza spirituale e unificazione”.
Slovacchia, un memorandum per una cappellania della presidenza
L’ufficio del Presidente della Slovacchia avrà il suo cappellano, nella persona di don Ivan Rušička, segretario generale della Conferenza Episcopale Slovacca.
Lo scorso 4 dicembre, l’ufficio del Presidente ha firmato un memorandum di cooperazione con la Conferenza Episcopale Slovacca. Concluso sotto gli uffici del presidente Peter Pellegrini, obiettivo del memorandum è la cooperazione nel campo della cura spirituale.
Il servizio spirituale del cappellano consisterà in celebrazioni nella Cappella di Santa Barbara nel Palazzo Presidenziale, con la possibilità di un colloquio spirituale o del sacramento della penitenza, e la creazione di un programma spirituale che soddisferà le esigenze dell'ufficio.
Slovacchia, il governo decide nuove norme per il finanziamento delle Chiese
Dal 2025, la base per i sussidi statali alle Chiese in Slovacchia dipenderà dal numero dei credenti. Lo ha deciso lo scorso 27 novembre il Consiglio Nazionale Slovacco. L’emendamento alla regolamentazione del contributo statale al finanziamento delle Chiese e delle comunità religiose è stato accolto con favore dalla Chiesa Cattolica.
L’emendamento si basa su un regolamento già esistente in punti importanti. Fino a cinque anni fa, le norme sul finanziamento alle Chiese e comunità religiose erano in Slovacchia ancora regolamentate dalla legge ecclesiastica statale dei tempi dell’imperatore Giuseppe II. Fu grazie a questo modello che l’Unione Sovietica riusciva a tenere sotto controllo le chiese.
Nel 2020, si adottò un modello che prevedeva una valorizzazione basata sul 20% del tasso di inflazione e sull’80% degli stipendi dei dipendenti statali. Nemmeno nel 2020 si è verificata una completa separazione tra Chiesa e Stato, ma da allora le chiese non ricevono più sussidi statali in base al numero del loro clero, ma piuttosto al numero dei credenti, il che ha svantaggiato particolarmente le chiese più piccole.
L'emendamento, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2025, mantiene il collegamento al numero di credenti nel 2020, secondo il quale i risultati dell'ultimo censimento decidono se l'importo rimane invariato o diminuisce o aumenta in caso di una variazione del 10% del numero dei soci. Ciò che cambia ora è la base per il calcolo dell’importo del contributo. Recentemente ciò si è basato sullo sviluppo economico della Slovacchia; in futuro il fattore decisivo sarà il rispettivo livello del salario minimo.
Negli ultimi cinque anni i parametri si erano inaspettatamente allontanati: il valore di riferimento del tasso di inflazione del 24%, quello del salario minimo del 44%. I datori di lavoro della Chiesa furono quindi costretti a contribuire con fondi propri o a ridurre gli ordini di lavoro. Grazie alla nuova normativa, nel 2025 le chiese riceveranno dallo Stato ulteriori 4,6 milioni di euro.
L'arcivescovo di Košice Bernard Bober, presidente della Conferenza Episcopale Slovacca, ha accolto con favore le nuove norme, sottolineando che attraverso il sostegno finanziario le Chiese potrebbero “continuare a sviluppare molte attività nei settori dell’amministrazione spirituale, dell’istruzione, della sanità e dell’assistenza sociale e contribuire così al benessere della società nel suo insieme”.
Anton Ziolkovsky, segretario esecutivo della Conferenza episcopale slovacca dal 2009 al 2019 e co-ideatore del precedente regolamento, ha negato in un'intervista al portale internet Postoj (Posizione) che il nuovo regolamento sia un modo del governo di “comprare la Chiesa”. Ha spiegato che il sussidio statale di 59 milioni di euro non era sufficiente nemmeno a pagare gli stipendi dei preti, e che se lo Stato volesse prenderei il controllo della Chiesa dovrebbe aumentare notevolmente il proprio contributo.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Crisi in Terrasanta, Abu Mazen da Papa Francesco il 12 dicembre
Torna in Vaticano Mahmoud Abbas, il presidente palestinese Abu Mazen, che dieci anni fa aveva partecipato alla preghiera per la pace nei Giardini Vaticani insieme all’allora presidente israeliani Shimon Peres. Nel frattempo, la Palestina ha aperto una ambasciata presso la Santa Sede, rafforzando le relazioni bilaterali, mentre si vive oggi il conflitto nato a seguito della strage di Hamas del 7 ottobre 2023.
Parlando con Avvenire, Abbas ha detto che avrebbe incontrato Papa Francesco il 12 dicembre, e poi il presidente italiano Sergio Mattarella e la Primo Ministro Giorgia Meloni il 13 dicembre.
Mahmoud Abbas ha sottolineato di non considerare il popolo di Israele un nemico, ma ha anche aggiunto di augurarsi che “in esecuzione del mandato della Corte penale internazionale Netanyahu venga presto arrestato e si possa rapidamente riprendere un percorso di pace. Non siamo solo noi ad augurarcelo ma anche tanti cittadini israeliani stufi del loro governo estremista e desiderosi di vivere in pace”.
Recentemente, l’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert ha presentato un piano di pace a Papa Francesco.
“Con Olmert – sottolinea Abu Mazen - ci siamo trovati in sintonia su tutte le questioni aperte. Eravamo vicini a un accordo ma, proprio quando mi preparavo all’ultimo incontro per firmare l’intesa, mi dissero: ’Non andare, Olmert sta per finire in prigione’. (Ehud Olmert, che si è sempre dichiarato innocente, è stato arrestato e condannato per un caso corruzione da 17mila dollari quando era ancora sindaco di Gerusalemme, ndr). Continuiamo ad avere buoni rapporti tra noi ancora adesso”.
Riguardo la soluzione dei due Stati, uno israeliano e uno palestinese, difesa dalla Santa Sede, ma rigettata dalla Knesset (il Parlamento israeliano), Abu Mazen sottolinea che la decisione del Parlamento di Israele “è contraria al diritto internazionale e agli accordi firmati. Dimostra che lo Stato occupante agisce al di sopra del diritto internazionale, spingendo la regione verso l’instabilità. La comunità internazionale deve fare pressione su Israele affinché rispetti il diritto internazionale. Da parte nostra vogliamo la pace sulla base della soluzione dei due Stati e secondo quanto legittimamente concordato in base al diritto internazionale. L’autorità di occupazione israeliana non ha il diritto di farlo, ma emana leggi nei territori occupati. I Paesi del mondo devono attuare il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia che chiede di porre fine all’occupazione entro 12 mesi. E punire Israele perché non la rispetta. I suoi crimini violano il diritto internazionale”.
Il presidente di Palestina ha poi affermato: “Noi siamo da sempre insieme, cristiani e musulmani. Non vogliamo che i cristiani siano costretti ad abbandonare la terra di cui sono figli. Al contrario, abbiamo il desiderio che quanti l’hanno lasciata a causa dell’occupazione militare israeliana possano ritornare in Palestina. Apprezziamo molto quanto fanno i cristiani e, in particolare, i francescani per cementare uno spirito di pace. Mi auguro che questo sia l’ultimo Natale di guerra e che, il prossimo anno si possa tornare a celebrarlo a Betlemme con la consueta gioia”.
Per questo, il presidente fa tre richieste: un immediato cessate il fuoco, che nessuno a Gaza e in Cisgiordania sia costretto a lasciare la propria terra e che sia costituito un comitato internazionale per affrontare il problema di Gaza e della ripresa di negoziati di pace.
Guardando all’incontro con Papa Francesco, Mahmoud Abbas afferma. “Dopo quasi 420 giorni di guerra genocida intrapresa dalle forze di occupazione israeliane contro il nostro popolo nella Striscia di Gaza, con più di 150.000 vittime, oltre il 70% delle quali erano bambini, donne e anziani, noi ci rivolgiamo a Sua Santità, alla sua grande levatura religiosa, spirituale e morale per chiedere la fine della guerra e andare verso la pace e la giustizia, secondo il diritto internazionale e il diritto umanitario”.
Crisi in Siria, l’incontro del Primo Ministro ungherese con il patriarca siro ortodosso
Lo scorso 2 dicembre, il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán ha incontrato al Monastero Carmelitano di Budapest il patriarca siro-ortodosso Ignatius Aphrem III. I due hanno discusso la difficile situazione in Siria, e in particolare i combattimenti che mettono a rischio la salute delle comunità cristiane.
Insieme ad Orbán c’era Tristan Azbej, segretario di Stato per il progetto di sostegno ai cristiani perseguitati Hungary Helps.
Secondo un comunicato del governo, durante i colloqui è stata espressa grande preoccupazione per l’escalation di violenza che ha messo i cristiani locali in grande rischio. Il Primo Ministro Orbán ha riaffermato l’impegno dell’Ungheria per la pace e nel supporto dei cristiani perseguitati, e ha detto che l’Ungheria continuerà ad agire nei forum internazionali per assicurare condizioni di vita sicure alle comunità vulnerabili.
Il Patriarca Ignatius Aphrem II ha ringraziato l’Ungheria per il supporto e ha messo in luce le pressanti sfide che i cristiani affrontano in zone di conflitto.
Azbej, da parte sua, ha messo in luce i preoccupanti sviluppi ad Aleppo, ora sotto il controllo delle milizie della Forze Democratiche Siriane, che includerebbero anche estremisti islamisti. I cristiani non hanno per ora ricevuto violenze dirette, ma le tensioni restano alte, e ci sono incidenti come il taglio dell’albero e slogan violenti che rendono i circa 20 mila cristiani di Aleppo vulnerabili, in una difficile situazione esacerbata dalla difficoltà di fare arrivare approvvigionamenti.
La situazione in Siria, il Cardinale Zenari: la speranza muore
In una intervista a Vatican News, il Cardinale Mario Zenari, nunzio in Siria, ha commentato gli ultimi eventi in Siria, che hanno visto i ribelli jihadisti arrivare fino a prendere Aleppo, rinfocolando un conflitto che non si è mai realmente sopito.
In Siria – ha detto il Cardinale – “la speranza è morta”, la gente ha il solo desiderio di scappare dopo 14 anni di conflitto, povertà estrema, sanzioni internazionali, il terremoto che ha colpito il Paese lo scorso anno e infine la nuova ondata di tensioni.
Il cardinale Zenari è da 16 anni nunzio in Siria. Dal 30 novembre, Aleppo, la seconda cttà della Siria, è fuori dal controllo del governo di Assad, a seguito di una operazione jihadista che ha causato oltre 350 morti e migliaia di sfollati, numero, secondo il nunzio, “destinato ad aumentare”.
“Purtroppo – ha detto il cardinale Zenari - non si parlava più della Siria da circa tre anni, era sparita dai radar dei media. Adesso è tornata a far parlare di sé con questi tragici eventi. Sono in contatto con le comunità cristiane, i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose di Aleppo per vedere come si sta evolvendo la situazione. C’è in alcune zone una certa calma, però anche sospetta. C’è molta paura, gli uffici governativi sono spariti, l’esercito pure non si vede, ci sono questi gruppi armati che girano e che hanno promesso di non toccare la popolazione civile”.
Il cardinale Zenari parla anche di una nuova emigrazione che avrà luogo a partire da questa crisi, mentre “è aumentato il numero di sfollati interni”, che finora è di 7 milioni, mentre nei Paesi vicini ci sono circa 6 milioni di siriani rifugiati”, per un totale di circa 13 milioni di rifugiati interni ed esterni, “più della metà della popolazione”.
Rivolgendosi alla comunità internazionale, il Cardinale Zenari ricorda che “è giusto aiutare a risolvere i conflitti, ma prima di tutto c’è la prevenzione. Certi conflitti ultimi esplosi nel mondo erano prevedibili, bisognava fare qualcosa prima. In Medio Oriente, in Ucraina… Insisterei quindi sulla prevenzione delle guerre, sul muoversi prima, sennò poi ci muoviamo quando i cocci sono già rotti, sono per terra”.
Terrasanta, il Cardinale Pizzaballa: ricostruire la fiducia
Invitato nella cattedrale di Westminster per la prima domenica di Avvento, l’1 dicembre, al termine di una visita di quattro giorni a Londra, il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, ha pronunciato una omelia in cui ha messo in luce che “da un punto di vista materiale, a Gaza non c’è una casa che non sia stata colpita, toccata dalle bombe, dalla guerra. Più di due milioni di persone sfollate. Anche in Cisgiordania, la situazione è molto problematica. Oltre agli affetti materiali e fisici della guerra, c’è odio sfiducia e paura”.
La paura è quella che domina, ma si guarda al cielo, alla “presenza di Dio, che è sempre lì”. Perché “la guerra finirà. È una questione di tempo. Ma l’odio non finirà presto. Avremo bisogno, soprattutto dopo la guerra, dello spazio emotivo per parlare del futuro. Ora tutti sono così toccati dalla guerra che non c’è spazio emotivo per pensare ad altro. Ma alla fine questo finirà”.
Quando finirà la guerra “avremo bisogno di trovare persone che ci aiutino a guardare oltre, ad aprire i nostri cuori per ricostruire ciò che questa guerra ha distrutto. Non solo ricostruire le relazioni tra palestinesi e israeliani, ma anche tra ebrei, cristiani e musulmani per ricostruire la fiducia”.
Per questo, ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, c’ è “bisogno di persone che ci aiutino ad alzarci in piedi, ad alzare la testa per vedere la presenza della nuvola”.
Pizzaballa ha parlato anche dei piccoli, ovvero delle comunità, che “hanno perso quasi tutto”, ma “non sono in grado di dire una parola di rabbia. Dicono: Siamo cristiani, abbiamo Gesù”.
FOCUS PAPA FRANCESCO
Il presidente del governo delle Baleari da Papa Francesco
Lo scorso 5 dicembre Margalida Prohens Rigo, presidente del governo delle Isole Baleari, ha avuto una udienza privata con Papa Francesco.
In un post su X, Prohens Rigo ha definito l’incontro come “arricchente”, affermando di aver potuto “portare al Papa l’affetto e le sfide delle Isole Baleari”, e di aver discusso con Francesco “di temi come l’importanza della famiglia, la protezione dei bambini nati e il bisogno di rafforzare i valori dell’umanesimo cristiano e, in particolare, del cattolicesimo nella nostra società”.
La presidente delle Baleari e il Papa hanno anche parlato del processo di canonizzazione del Beato Ramon Llull, una figura di grande significato storico, “chiave del pensiero e della fede cristiana nel Mediterraneo”, ma anche di altri santi delle Baleari, da San Catalina Tomàs a San Junipero Serra fino a Sant’Alonso Rodriguez. Con quest’ultimo, ha detto Prohens Rigo, Papa Francesco “mantiene una speciale connessione perché era un gesuita”.
Il motivo per cui la presidente ha invitato il Papa nelle Baleari a visitare le reliquie del Santo.
FOCUS MULTILATERALE
Gallagher all’OSCE
Il 5 e 6 dicembre, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha partecipato a Malta al 31esimo Consiglio Ministeriale dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.
In un discorso reso all’assemblea, il “ministro degli Esteri vaticano” ha ricordato che ci si avvicina al 50esimo anniversario dell’Atto Finale di Helsinki, e che per questo “dovremmo riconoscere sia i successi che le sfide che l’organizzazione ha sperimentato”, guardando al futuro “con chiarezza, determinazione e impegno rinnovato per perseguire la pace, la sicurezza e la giustizia da Vancouver a Vladivostok”.
L’arcivescovo Gallagher ha notato che “l’Atto Finale di Helsinki è l’espressione di una comprensione comune di tutti gli Stati partecipanti che la pace non è meramente l’assenza di guerra, o il mantenimento di un bilancio di potere, ma piuttosto il frutto di relazioni amichevoli, di un dialogo costruttivo e di cooperazione tra gli Stati nel dare seguito agli obblighi della legge internazionale e il rispetto di tutti i diritti umani universali”.
Gallagher ha notato che negli ultimi anni, “con preoccupazione”, si è notato “una mancanza di consenso procedurale dentro l’OSCE”, ma soprattutto “una crescente rottura della fiducia comune tra alcuni Stati partecipanti, una crescita nell’aggressione ideologica, e una flagrante mancanza di considerazione per i principi fondamentali contenuti nell’Atto Finale di Helsinki”.
La Santa Sede ha notato che “ci sono voluto molti mesi per nominare le quattro posizioni di vertice”, mentre ancora non ci sono formali discussioni sulla presidenza di ufficio 2026, e che è vero che Malta ha assunto la presidenza di turno focalizzandosi sul rafforzamento della efficacia e resilienza dell’organizzazione, ma “le attuali sfide all’efficaci e alla credibilità dell’OSCE riflettono la più ampia situazione geopolitica, in particolare la guerra in Ucraina”.
Insomma, ci sono crescenti frammentazioni e divisioni che “oscurano le radici dell’OSCE e ne colpiscono negativamente il lavoro quotidiano”, considerando che l’OSCE è una “organizzazione di Stati differenti, che opera per consenso” e dunque richiede “un paziente lavoro di dialogo e negoziazione piuttosto che una imposizione forzata”.
Gallagher ha detto che sarebbe deplorevole se gli Stati parte dell’OSCE “si arrendessero compromettendo la vera essenza dell’OSCE mettendo da parte l’obiettivo di una decisione basata sul consenso per trasformarla in un forum di Stati che la pensano tutti allo stesso modo”, perché in questo modo si rischia un auto-annichilimento dell’OSCE.
La Santa Sede è tuttavia convinta che l’OSCE “continua ad essere un forum indispensabile e unico per un dialogo genuino e negoziazioni fruttuose, laddove decisioni urgenti e necessarie basate sul consenso possono essere prese”.
La Santa Sede all’Organizzazione degli Stati Americani
Il 5 dicembre, si è tenuta la Settima sessione straordinaria del Consiglio Permanente dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS). La sessione è stata dedicata al dialogo con gli osservatori permanenti.
Monsignor Juan Antonio Cruz Serrano, osservatore della Santa Sede presso l’organizzazione, ha sottolineato nel suo intervento che “in un mondo ogni volta più globalizzato e interconnesso, il dialogo che si promuove da parte degli Stati membri è essenziale in un organismo in cui tutti giocano allo stesso modo un compito cruciale per la democrazia, i diritti umani, la sicurezza e lo sviluppo umano integrale”.
Si tratta di “pilastri che sostengono tutte le azioni e i progetti per cui fu pensata questa Casa delle Americhe”.
Monsignor Cruz Serrano ha osservato che “la Santa Sede, a partire dalla sua relazione attiva con i popoli in seno a questa organizzazione, partecipa e collabora a partire dalla specificità della sua missione”, appoggiando le istituzioni dove “si favorisce la democrazia come base della vita politica e sociale; favorisce il dialogo con l’obiettivo di facilitare la comprensione mutua tra governi e popoli; ravviva una cultura della solidarietà basata sulla dignità umana, i diritti umani fondamentali e la giustizia sociale; sostiene la famiglia come cellula della società” e “appoggia le politiche pubbliche che promuovono l’accesso all’educazione, il lavoro, la saluta e la giustizia di tutti i cittadini”, rimanendo “impegnata nella difesa della dignità dei migranti”.
La Santa Sede si appella ai governi perché sviluppino “politiche positive con l’obiettivo di accogliere, proteggere, promuovere e integrare quelli che stanno o chiamano alle porte”, perché “il grido dei nostri fratelli e sorelle non può essere silenziato”.
Inoltre, la Santa Sede “promuove lo sviluppo umano integrale dei popoli e partecipa attivamente a questioni di assistenza umanitaria e cambiamento climatico”.
La Santa Sede promuove anche il diritto fondamentale della libertà di pensiero, coscienza e religione, ritenendo “significativo il ruolo del multilateralismo per poter evidenziare le realtà regionali più pressanti e proporre soluzioni efficaci e sostenibili in cui tutti possano impegnarsi e cooperare” e assicurando “il suo appoggio al dialogo tra le parti”.
La Santa Sede a New York, sul finanziamento dello sviluppo
Il 6 dicembre, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha preso la parola alla seconda sessione del Comitato Preparatorio della Quarta Conferenza Internazionale sul Finanziamento dello Sviluppo.
Il lavoro è stato preparato dai facilitatori con Elements Paper, che – ha detto Caccia – riconoscono le attuali sfide globali, incluso il fallimento degli sforzi finanziari passati per affrontare le ineguaglianze persistenti che hanno rallentato i progressi degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
Il nunzio ha messo in luce l’urgenza di rendere prioritari i bisogni delle nazioni vulnerabili, e ha enfatizzato che lo sradicamento della povertà deve essere al centro di tutti gli sforzi finanziari.
Inoltre, ha rimarcato che rispettare la dignità umana e raggiungere uno sviluppo sostenibile è “un imperativo sia morale che di sviluppo”.
FOCUS EUROPA
Europa, la richiesta di un coordinatore per combattere i crimini di odio anti-cristiani
Lo scorso 5 dicembre, nel Parlamento Europeo di Bruxelles si è tenuto un panel per discutere i passi e mezzi necessari per proteggere i credenti e salvaguardare la libertà religiosa in Europa.
Organizzato dall’Osservatorio per l’Intolleranza e la Discriminazione contro i Cristiani in Europa (OIDAC), il panel era moderato del parlamentare lituano Paulius Saudargas. I partecipanti erano Katharina von Schnurbein, coordinatore della Commissione Europea per la lotta all’Antisemitismo; Gudrun Kugler, membro del Parlamento austriaco e vicepresidente dell’Assemblea Parlamentare OSCE; Alessandro Calcagno, consulente sui diritti fondamentali della Commissione delle Conferenze Episcopali presso l’Unione Europea (COMECE); e il direttore esecutivo dell’OIDAC Anja Hoffmann.
Il titolo del panel era “Salvaguardare la libertà religiosa in Europa: sfide attuali e prospettive future”, e si è tenuto a seguito del Prayer Breakfast Europeo.
Von Schnurbein ha sottolineato che i recenti attacchi antisemiti in Europa non dovrebbero preoccupare solo i credenti ebrei, e che per superare l’odio religioso si deve lavorare insieme tra religioni e oltre le divisioni ideologiche.
Hoffmann ha presentato i dati dell’ultimo rapporto dell’OIDAC sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa, e ha notato che, a fianco a preoccupanti tendenze alla crescita dei crimini anti-cristiani in alcune nazioni europee come Regno Unito e Germania, ci sono anche legislazioni che restringono la libertà religiosa, dettagliando casi come quello del parlamentare finlandese Päivi Räsänen, a processo per aver twittato versi della Bibbia, o l’indagine contro Matthew Grech, cristiano maltese che aveva raccontato la sua storia in Tv, fino alla condanna di Adam Smith-Connor nel Regno Unito per aver pregato silenziosamente in una cosiddetta buffer zone vicino ad una clinica abortista del Regno Unito.
Kugler ha detto di aver sperimentato discriminazione non perché donna, ma a causa della sua fede cristiana, e ha notato che ci sono “un numero di restrizioni legali sulla libertà religiosa, inclusi i diritti dei genitori, in tutta Europa”, menzionando regolamenti che forzano studenti di medicina a partecipare agli aborti per completare i loro studi con successo.
Da parte sua, Alessandro Calcagno ha chiesto di rispettare tutti gli aspetti della libertà religiosa, nelle sue dimensioni privata e pubblica, individuale e collettiva.
“Troppo spesso – ha detto – la libertà religiosa è descritta come un diritto problematico, e la sua dimensione collettiva, comparata alla sua dimensione individuale, è messa da parte. La tolleranza non può diventare un surrogato della protezione del diritto fondamentale alla libertà religiosa”.
Per quanto riguarda i simboli, messaggi ed espressioni religiose, Calcagno ha detto che “finché sono considerati potenzialmente offensivi della sensibilità di altri credenti e non credenti, o come un possibile mezzo di pressione sugli altri, non si potrà assicurare la piena protezione della libertà religiosa”.
A nome della COMECE, Calcagno ha chiesto la nomina di un Coordinatore UE per combattere l’odio anti-cristiano. “Crediamo che sia il momento di questo passo, non mettendo in discussione la specificità delle comunità ebree e musulmane, che sono già coperte da coordinatori simili. Non è questione di vittimismo, ma di eguale accesso a mezzi di protezione”.
Papa Francesco, un messaggio a Notre Dame
L’arcivescovo Celestino Migliore, nunzio in Francia, leggerà uno speciale messaggio che Papa Francesco invierà per la riapertura di Notre Dame il prossimo 7 dicembre.
Intervistato da Vatican News riguardo quest’evento, ha affermato che la riapertura della cattedrale è “segno della speranza. Se lo shock provocato dall'incendio fu una ferita profonda, come se ne fosse stato lacerato il simbolo, la sua identità, oggi, la ricostruzione ottimamente eseguita ha l'effetto di invertire la cicatrice della ferita. La speranza che porta con sé è quella di riscoprire e rinnovare il senso e il gusto della propria identità nazionale. Un'identità che restituisca fiducia in se stessi e nella società, qualcosa di cui la Francia ha molto bisogno. Un'identità che apre l'individuo e la società all'interazione con il mondo, all'inclusione, lontana da ogni identitarismo esclusivo”.
Il nunzio ha anche negato che Papa Francesco non vada all’inaugurazione di Notre Dame perché non ama la Francia. Anzi, “la Francia affascina Papa Francesco per quello che percepisce come un sorprendente paradosso. È allo stesso tempo uno dei paesi dove il processo di secolarizzazione è più avanzato, al punto che Dio sembra essere scomparso dal panorama. Ma è anche una delle terre più feconde di santità, e non solo nel passato, ma anche oggi. È la creatività pastorale, la ricerca teologica e la testimonianza di santità che il Papa ama nel popolo di Dio che è in Francia”.
Il Papa, ha aggiunto il nunzio, ha “una conoscenza molto profonda della realtà francese. Sa che non ci sono solo gli abusi, che non c'è solo il calo della frequenza della messa domenicale, ma che c'è tutto ciò che i teologi hanno riassunto in due parole: il passaggio dalla vigilanza alla generazione. Se oggi il controllo, in termini statistici, è molto più debole, la generazione è veramente viva. Ci sono iniziative e persone che si impegnano per l'evangelizzazione, per promuovere nella società una fede molto più convinta, più personale e quindi molto più efficace e creativa”.
FOCUS ASIA
Corea del Sud, la crisi della legge marziale poi ritirata
Il presidente Yoon ha stabilito una legge marziale in Corea, lamentando infiltrazioni nord-coreane, e rispondendo così al blocco di molte iniziative parlamentari. Ma la decisione ha trovato subito il disaccordo politico (il Parlamento ha votato unanimamente 190 – 0 contro la legge marziale) e anche sociale. Il 7 dicembre, il presidente, scaricato dal suo stesso partito, sarà soggetto a voto parlamentare riguardo un suo possibile impeachment.
Come ha reagito la Chiesa alla decisione di Yoon? Pax Christi Corea ha rilasciato un comunicato, sottolineando di “opporsi e rifiutare la dichiarazione illegale di una legge marziale di emergenza del Presidente Yoon Seok-yeo”, e di apprezzare il voto parlamentare contrario.
Pax Christi chiede, si legge nella dichiarazione, “a tutti i membri dell’Assemblea Nazionale di lavorare insieme per ripristinare l’ordine costituzionale e la democrazia il più presto possibile, secondo lo Stato di diritto, e chiede a tutti i militari di “rifiutare di rendere operativa la legge”.
C’è stata anche una dichiarazione firmata da cinque vescovi e 1455 sacerdoti cattolici.
Nella dichiarazione, si nota che anche le persone più caute all’inizio “stanno ora perdendo la loro fiducia e le aspettative sul presidente”, arrivando a concludere che “non è più adatto al lavoro”, e lo stesso pensano i sacerdoti.
La dichiarazione, molto duramente, accusa il presidente Yoon di essere un “uomo di menzogne”, “uomo di oscurità” che si libera di tutto ciò che dovrebbe essere lì e ama tutto ciò che dovrebbe essere distrutto, ma è anche “uomo di violenza” e “uomo di divisione”.
Questo rende vani i sacrifici di quanti hanno combattuto per la libertà, scrivono i sacerdoti cattolici, e per tutte queste ragioni “non possiamo più tollerarlo”, e chiedendo di “stabilire le sue deposizione per aver abbandonato tutti i doveri presidenziali, dalla conformità alla Costituzione alla difesa nazionale fino alla pacifica riunificazione della nazione e la promozione del benessere del popolo”.
I vescovi firmatari dell’appello sono il vescovo di Jeonju Kim Sun-tae, il vescovo di Cheongju Kim Jong-gang, il vescovo di Chuncheon Kim Ju-young, il vescovo di Jeju Moon Chang-woo, e l’arcivescovo di Gwangju Ok Hyun-jin.
FOCUS AFRICA
Sudafrica, l’incontro natalizio presso la nunziatura apostolica
Sin dall’inizio dell’Avvento, la nunziatura apostolica di Pretoria, in Sudafrica, ha allestito un presepe davanti la recinzione, lungo la strada del quartiere. È la prima volta che un presepe viene collocato in uno spazio pubblico, in un Paese come il Sudafrica dove i cattolici rappresentano solo circa il 7 per cento della popolazione.
L’arcivescovo Henryk Jadodzinski, nunzio a Pretoria, ha affermato che “la reazione della gente è stata molto positiva. Alcuni residenti del quartiere si sono fermati con le auto per ringraziarci di persona. Un vicino ha scritto sulla piattaforma online della comunità: ‘Grazie per aver riportato Gesù al Natale’.”
Il 3 dicembre, la nunziatura apostolica ha organizzato un incontro natalizio, che ha visto tra gli invitati persone legate in modo speciale alla nunziatura, tra i quali alcuni rappresentanti del Corpo diplomatico e del Dipartimento degli Affari esteri africano, per un totale di un centinaio di persone.
Nel suo discorso, il nunzio ha sottolineato che la nascita di Gesù non è “solo un evento storico, ma una verità viva che continua a trasformare le nostre vite. Il Natale ci invita a essere strumenti di pace e riconciliazione in un mondo spesso segnato da divisioni”.
L’ambasciatore di Argentina in Sudafrica Claudio Perez Paladino ha donato alla nunziatura una statua della Madonna di Lujan, benedetta in una cerimonia presieduta dal vescovo José Luis Gerardo Ponce de León, originario dell’Argentina, e attualmente Vescovo di Manzini nel Regno di Eswatini.
Nel suo discorso, il nunzio si è soffermato sulla storia della Madonna di Lujan. “La leggenda – ha detto - narra che nel 1630 i buoi che trasportavano la statua di Maria si fermarono presso il fiume Luján e si rifiutarono di proseguire, il che fu interpretato come un segno che Maria voleva restare in questo luogo. Sul sito fu costruita una cappella e, nel tempo, un santuario, che divenne meta di pellegrinaggi”.
Nel 1887, poi, la statua della Madonna di Lujan fu incoronata da Papa Leone XIII e nel 1982 il Santo Giovanni Paolo II, durante la sua visita in Argentina, ha pregato per la pace nel mondo, offrendo a Maria una rosa d’oro.
Il rinfresco è stato a base di specialità polacche, secondo la tradizione del Paese di origine del nunzio, e di prelibatezze croate, che invece sono parte della tradizione del primo segretario della nunziatura Paviša.
FOCUS NUNZIATURE
Il nunzio a Cuba ha presentato le sue credenziali
Arrivato a Cuba il 22 luglio, l’arcivescovo Antoine Camilleri, nunzio all’Avana, ha presentato il 20 novembre le credenziali al presidente di Cuba Miguel Díaz-canel Bermudez.
Il nunzio era accompagnato da Milagros Carina Soto Agüero, capo del Dipartimento delle immunità franchigie e visti diplomatici del ministero degli Affari Esteri. Alla presentazione delle credenziali erano presenti il direttore del protocollo Miguel Lamazares Puello e il suo vice Juan Carlos Hernandez Padron.
Il Presidente ha espresso apprezzamento per la vicinanza al popolo cubano e l’insegnamento del Santo Padre e ricordato le visite di tre Pontefici sull’Isola. È stata altresì sottolineata l’importanza delle relazioni diplomatiche tra Cuba e la Santa Sede, specie in vista del 90° anniversario.
Il nunzio aveva comunque consegnato la copia delle credenziali il 23 luglio al viceministro per gli Affari Esteri dell’Avana Anayansi Rodriguez Camejo, con il quale ha discorso di pace, tutela dell’ambiente, dialogo interreligioso e lotta ala povertà.
Il 30 luglio, l’arcivescovo Camilleri aveva presentat la Lettera Commendatizia in occasione della riunione informale della Conferenza Episcopale Cubana.
Il nunzio apostolico in Ghana presenta le sue credenziali
Il 7 novembre, l’arcivescovo Julien Kaboré, nunzio in Ghana, ha presentato le sue lettere credenziali al presidente Nana Addo Dankwa Akufo Addo, in una cerimonia che ha visto la presenza di Akosua Frema-Osei Opare, capo ufficio della presidenza, del ministro per gli Affari Esteri Shirley Ayorkor Botchwey, del segretario della nunziatura e del direttore del Catholic Standard.
Nel successivo colloquio con il presidente, si sono sottolineate le buone relazioni tra Santa Sede e Ghana.
Kaboré era arrivato ad Accrà l’1 ottobre 2024, e aveva presentato la copia delle lettere credenziali al viceministro degli Esteri Mavis Nkansah.Boadu già il 10 ottobre.
Il nunzio in Sud Sudan presenta le lettere credenziali
Il 20 novembre 2024, l’arcivescovo Séamus Patrick Horgan, nunzio apostolico in Sud Sudan, ha consegnato le lettere credenziali al presidente Salva Kiir Mayardit, alla presenza del ministro per gli Affari Esteri e di alcuni membri della Segreteria particolare.
Primo nunzio destinato esclusivamente al Paese, Horgan è arrivato a Juba già il 29 agosto, e già il 30 agosto ha presentato copia della lettere credenziali al ministero degli Affari Esteri. Il ministro ha rconosciuto il ruolo della Chiesa nel Paese, in particolare nel campo educativo.
Il 2 settembre 2024, nella Cattedrale di Santa Teresa a Giuba, su invito del Cardinale Stephen Ameyu Martin Mulla, Arcivescovo di Giuba, il Nunzio Apostolico ha celebrato una messa dominicale con la comunità locale, e ha poi consegnato la lettera commendatizia all’ordinario, che è anche presidente della Conferenza Episcopale locale.
FOCUS PAROLIN
Il Cardinale Parolin presenta la biografia di Faustino Sainz
Faustino Sainz è un sacerdote spagnolo che ha lavorato al servizio dei Papi tra il 1970 e il 2010, ed ha anche contribuito con il suo lavoro alla risoluzione della contesta sul canale di Beagle tra Cile e Argentina – una mediazione pontificia che ha portato ad un trattato di amicizia di cui si è celebrato il quarantesimo anniversario la scorsa settimana.
La biografia di Sainz, chiamata “Al cuore della diplomazia vaticana”, scritta dallo storico Xavier Reyes Matheus, è stata presentata lo scorso 3 dicembre all’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, alla presenza del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.
Questi ha sottolineato che “da quando ci siamo conosciuti a Roma, Faustino ed io abbiamo stabilito una amicizia fraterna”, e che lui aveva già seguito ad ammirato il suo “infaticabile lavoro alla Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, che si concluse l’1 agosto 1975”, e poi era stato “nunzio apostolico a Cuba, nella Repubblica Democratica del Congo, presso l’Unione Europea e quindi in Gran Bretagna, dove aveva potuto accompagnare Benedetto XVI nella storica visita che con tanto zelo ed esperienza aveva preparato”.
Parolin ha poi assicurato che Sainz gli aveva detto che “gli anni che gli avevano procurato maggiore soddisfazione personale furono quelli che dedicò al processo di mediazione tra crisi e argentina”, una mediazione per la quale Giovanni Paolo II aveva incaricato il cardinale Antonio Samoré come suo rappresentante.
Il Trattato di Pace e Amicizia siglato nel 1984 “segnò – secondo il Cardinale Parolin – un pilastro nella millenaria storia della diplomazia pontificia”.
Isabel Celaá, ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede, ha sottolineato che l’apporto di Sainz alla mediazione del canale di Beagle “è probabilmente il contributo più valoroso portato da uno spagnolo alla causa della pace e attraverso la diplomazia pontifica da quando il grande erudito e uomo di Stato Alonso di Cartagena (1384 – 1456) aveva mediato tra l’imperatore e il re di Polonia e in vari conflitti tra i regni iberici”.
Parlando in generale del profilo del diplomatico della Santa Sede, Parolin ha sottolineato che questo “deve stare e sentirsi libero da interessi geopolitici, economici o militari immediati. È chiamato a discernere tra i suoi interlocutori di governo, politici o sociali e nelle istituzioni pubbliche con il desiderio di servire il bene comune. Senza togliere di valore al presente, deve lavorare a largo respiro, senza l’ossessione dei risultati immediati”.