Il Consiglio Permanente degli incontri ha approvato l’agenda molto tardi, e, al di là della soddisfazione, la Santa Sede si dice preoccupata che questo ritardo non contribuisca un precedente, perché “gli Stati che partecipano hanno bisogno di un tempo congruo per studiare e prepararsi sui temi dell’agenda.
La Santa Sede ha anche voluto sottolineare che “l’universalità dei diritti umani” è una questione cruciale oggi, la cui risposta può determinare se “i diritti umani continueranno a marcare il comune orizzonte per la costruzione delle nostre società o meno”.
Ci sono due sviluppi che la Santa Sede guarda con preoccupazione: una vasta quantità di interpretazioni di certi diritti, con l’affermazione di alcuni diritti, e l’universalità dei diritti umani messa a rischio “quando alcuni diritti umani vengono ignorati, quando si stabilisce una gerarchia tra i diritti umani, e quando un approccio inadeguato alle condizioni dei diritti condiziona il rispetto dei diritti umani”.
La Santa Sede è preoccupata soprattutto dall’affermazione di alcuni diritti su cui non c’è consenso globale, e propone che i 57 Stati dell’OSCE si uniscano intorno ad una comune comprensione degli impegni dell’OSCE, e in particolare sui principi universali dei diritti umani e le libertà fondamentali della dimensione umana”.
I diritti, spiega ancora la Santa Sede, non devono essere rimassi dal contesto, e per questo il termine “diritto umano” deve essere “esattamente e prudentemente applicato, in modo che non diventi un artificio retorico che si espande senza fine a seconda dei tempi”.
La Santa Sede sottolinea anche l’importanza della partecipazione della società civile agli Incontri per lo Sviluppo della Dimensione Umana, un ruolo ausiliare che “dovrebbe essere ulteriormente rafforzato attraverso più grandi sforzi per portare attori della società civile con specifiche esperienze e capacità a prendere parte agli eventi sulla dimensione umana”.
La Santa Sede chiede anche più consultazione tra gli Stati durante le sessioni di lavoro degli incontri.
La Santa Sede all’OSCE: la questione della libertà religiosa
Il 19 settembre, l’Incontro sull’implementazione della Dimensione Umana si è concentrato sul tema delle libertà fondamentali, e in particolare sulla libertà di coscienza, religione o credo.
La Santa Sede ha insistito sulla centralità della libertà di religione e di credo, ha sottolineato che si tratta della “caratteristica di tutti i diritti umani, perché riguarda la più intima realtà dello spirito, e che si tratta di rispettare l’area più sensibile dell’autonomia della persona umana, consentendole di agire in accordo con quanto gli è dettato dalla coscienza sia in privato che pubblico”.
La libertà religiosa – ha proseguito monsignor Wachowski – è “un barometro che indica accuratamente il vero livello di liberà nella società”, tanto che i sistemi dispotici hanno sempre voluto tenere la libertà religiosa sotto controllo.
La Santa Sede aveva voluto la libertà religiosa tra i principi della Dichiarazione di Helsinki, e ora richiama quei principi per ricordare che “la somma degli impegni adottati durante gli anni dimostra che la libertà di religione o di credo include non solo il diritto a manifestare la propria religione, ma anche quello di seguire la propria coscienza.
La delegazione della Santa Sede accoglie le linee guida sulla personalità legale della comunità religiose, sottolineando però che gli Stati devono vigilare affinché i meccanismi di registrazione non diventino di per sé una violazione della libertà religione o di credo.
La Santa Sede denuncia anche il preoccupante fenomeno dell’approccio riduzionista alla libertà religiosa o di credo, perché il risultato è quello “di limitare o persino silenziare ogni pubblico coinvolgimento basato sulla fede religiosa o sulla morale”.
La Santa Sede nota anche che “una società che garantisce libertà di religione o di credo è una società che rilascia per il suo beneficio il potenziale per un impegno attivo e costruttivo.
La Santa Sede condanna il fatto che alcuni concetti di “società civile” escludono deliberatamente le comunità religiose, mentre la società civile dovrebbe piuttosto accettare la presenza delle religioni.
La Santa Sede all’OSCE, sulla pari opportunità tra uomini e donne
Sempre il 19 settembre, monsignor Wachowski è intervenuto a nome della Santa Sede al dibattito sulle pari opportunità tra uomini e donne e l’uguaglianza di genere.
Nell’intervento, la Santa Sede ha puntato il dito contro la cultura iper e over sessualizzata, che “non solo distorce la dignità delle donne e della sessualità umana, ma porta avanti l’accettazione di queste distorsioni”, rappresenta un cedimento a un concetto della donna che sarebbe dovuto “essere sorpassato anni fa”, perché “le donne non sono proprietà, non sono oggetti sessuali e non dovrebbero accettare che gli uomini le considerino tali”.
La Santa Sede nota che si deve considerare anche la violenza contro le ragazze, incluse le giovani ragazze, definisce come biasimabile il fatto che l’OSCE non si adatti al piano del 2004 per la assunzione delle donne e invita in proposito ad effettuare politiche più “family friendly”, e chiede di considerare meglio come implementare alcuni obiettivi del piano di promozione dell’uguaglianza di genere del 2004, sottolineando che sarebbe meglio non introdurre nuove strutture prima di concludere il percorso con strutture che hanno già avuto consenso.
Per questo, la Santa Sede raccomanda che gli Stati che partecipano all’OSCE assicurino “maggiore focalizzazione su come l’organizzazione lavora per l’eguaglianza di genere”, che allo stesso tempo gli Stati membri facciano sforzi per usare un linguaggio “chiaro e adeguato” sull’eguaglianza di genere” che riguardi la “comune, ordinaria e generalmente accettata comprensione dell’espressione” (vale a dire, non quella di gender come costruzione sociale del sesso), e che la pubblicazione delle Istituzioni Democratiche e Diritti Umani sottolineino, nella prossima pubblicazione, quando l’impatto della società ipersessualizzata fa nel creare una cultura di violenza sulle donne.
La Santa Sede all’OSCE: il traffico di esseri umani
Il 20 settembre, sempre nell’ambito dell’incontro sull’Implementazione della Dimensione Umana, è stato monsignor Andrea Francia, della nunziatura di Varsavia, a leggere l’intervento della Santa Sede nel dibattito sulla “Lotta al traffico di esseri umani. Rifugiati e sfollati. Persone a rischio di sfollamento”.
La Santa Sede ha notato che “il traffico di esseri umani è una grave e profonda ferita alla dignità umana e ai diritti umani universali”, e che per questo è vitale che la lotta al traffico di esseri umani “resti nell’agenda dell’OSCE”, sottolineando la necessità di un approccio centrato sulle vittime e informato sui traumi”.
Per quanto riguarda le migrazioni, l’OSCE riconosce “il ruolo delle Nazioni unite”, ma mette in luce come l’OSCE ha il compito di dare maggiore attenzione alla situazione critica di migranti, rifugiati e sfollati”, includendo “il diritto alla vita, lo Stato di diritto, la libertà di religione o di credo e una specifica considerazione alla famiglia, e in particolare al ricongiungimento familiare”.
Per questo la Santa Sede raccomanda che si continui a garantire strutture con necessari fondi perché possano lavorare per queste emergenze e che si coinvolga la società civile in questi temi, incluse le organizzazioni religiose.
Un rabbino nel Comitato per la Fratellanza Umana
È stato incluso anche il rabbino Bruce Lustig nel Comitato per l’implementazione del documento per la Fratellanza Umana. Dopo l’incontro dell’11 settembre, il comitato aveva espresso l’auspicio di includere anche membri di altre confessioni religiose, e il rabbino Lustig è il primo di questi membri.
M. Bruce Lustig è Rabbino senior della Congregazione ebraica di Washington, dove ha servito per più di 25 anni. Lustig ha anche organizzato il primo summit Abrahamic che ha riunito cristiani, ebrei e musulmani negli Stati Uniti dopo gli attacchi dell'11 settembre. Il vertice ha portato alla creazione della prima tavola rotonda abramitica con il vescovo John Chane, il professor Akbar Ahmed e il rabbino M. Bruce Lustig, diventando un trio che ha parlato a favore della pace e del dialogo interreligioso negli Stati Uniti
La sua inclusione porta il numero di membri del comitato a otto. Il rabbino si è detto grato a Papa Francesco, ha ringraziato il comitato per la sua nomina, e ha sottolineato la sua speranza che la dichiarazione di Abu Dhabi “sarebbe stato un momento di svolta per offrire nuove opportunità per costruire ponti tra i leader religiosi e le comunità e per promuovere la Pace e l'Armonia nel nostro mondo frammentato”.
L’arcivescovo Ayuso ha dato il benvenuto al nuovo membro, e ricordato che, nel prossimo periodo, il Comitato cercherà di incontrare un certo numero di importanti leader e icone per coordinare le iniziative e i progetti che il Comitato sta realizzando.
Il nunzio in Lituania incontra il ministro degli Esteri
L’arcivescovo Peter Rajic, nunzio apostolico in Lituania, Lettonia ed Estonia, ha incontrato lo scorso 17 settembre Linas Linkevicius, ministro degli Affari Esteri di Lituania. Linkevicius si è congratulato con l’arcivescovo per la sua recente nomina, e l’incontro si è concentrato sulle buone relazioni bilaterali tra Lituania e Santa Sede, che entrambe le parti si sono impegnate a sviluppare e approfondire. Il ministro degli Esteri ha detto che “le relazioni con la Santa Sede sono importanti per la Lituania, mentre il mondo combatte contro il rigurgito di sfide globali alla pace, alla stabilità e alla sicurezza”.
Nigeria, i vescovi prendo posizione contro l’assenza di sicurezza
Non è terminato l’incubo islamista di Boko Haram, in Nigeria, e la conferenza episcopale, al termine della plenaria, ha preso una dura presa di posizione sulla mancanza di sicurezza in diverse aree della federazione, perché – ha dichiarato l’arcivescovo Augustine Akubeze, presidente della Conferenza Episcopale – “ogni governo che non riesce a proteggere i diritti costituzionali dei suoi cittadini ha fallito. I leader di un Paese dovrebbero garantire la pace e la sicurezza del loro popolo”.
L’arcivescovo ha anche condannato le recenti uccisioni dei sacerdoti cattolici David Tanko nella diocesi di Jalingo e Paul Offu della diocesi di Enugu, e ricordato che “noi sacerdoti e fedeli cattolici dobbiamo predicare quotidianamente il messaggio di pace e giustizia. Fa parte del messaggio di Cristo. Fa parte della missione della Chiesa. Come missionari, dobbiamo essere precursori della giustizia e della pace nella nostra terra”.
Già a giugno, l’arcivescovo Akubeze aveva denunciato il “livello di insicurezza senza precedenti” che affligge da tempo la Nigeria.
La Giornata di Preghiera alle Nazioni Unite
La settimana di preghiera delle Nazioni Unite, che precede in genere l’assemblea generale di settembre, ha avuto un ospite di eccezione: il vescovo Paul Hinder, vicario apostolico per l’Arabi del Sud, che ha parlato della dichiarazione di Abu Dhabi. Parlando del documento, l’arcivescovo Hinder lo ha definito come “un appello a tutte le persone di buona volontà di mettere da parte ogni interesse egoistico, sia esso individuale, nazionale e continentale, per buttare giù i nostri muri mentali e attraverso i confini per promuovere e costruire giustizia e pace.
Alla preghiera, hanno partecipato 85 diplomatici delle Nazioni Unite, 60 leaders religiosi e 110 leaders di ONG. La preghiera si è tenuta alla chiesa della Sacra Famiglia, la “parrocchia” delle Nazioni Unite.
La dichiarazione di Abu Dhabi – ha detto ancora Hinder – punta alcuni argomenti urgenti che possono essere affrontati solo se le religioni fanno propriamente il loro dovere, e se le rispettive società, i loro governi e le comunità internazionali lavorano insieme”.
Il vescovo Hinder ha anche sottolineato come la prima visita di un Papa nella penisola arabica ha richiamato l’incontro di 800 anni prima tra Francesco e il Sultano.
Parlando della sua esperienza di vescovo da 15 anni nella regione, Hinder ha detto che la dichiarazione è un segno di progresso, ma resta molto da fare, specialmente nello Yemen “dove milioni di persone attendono pace e giustizia”.
L’arcivescovo Gallagher incontra il ministro degli Esteri dell’Azerbaijan
Lo scorso 17 settembre, Elmar Mammadyarov, ministro degli Esteri dell’Azerbaijan, ha incontrato la sua controparte vaticana, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, in Segreteria di Stato vaticana.
Secondo un comunicato del ministero degli Esteri azero, le due parti hanno “espresso soddisfazione per lo sviluppo delle relazioni tra Azerbaijan e Sant Sede”, e in particolare hanno guardato a diversi, significativi progetti congiunti portati avanti con la Fondazione Heydar Alyen, che ha restaurato alcuni monumenti storici in Vaticano.
Il ministro Mammadyarov ha notato – sempre secondo il ministero degli Esteri – che “l’Azerbaijan è sempre stato storicamente un posto dove i rappresentanti delle diverse culture e religioni coesistono pacificamento”, e che la nazione “sulla base della sua tradizione di tolleranza, promuove le idee di coesistenza pacifica, rispetto mutuo e multiculturalismo nel mondo”.
È stato anche affrontato il tema del conflitto tra Armenia e Azerbaijan sulla regione del Nagorno Karabach, e si è poi parlato anche di vari temi regionali e internazionali di mutuo interesse.
Ecuador, i vescovi contro l’aborto
Dopo la forte presa di posizione contro l’introduzione dell’eutanasia nel Paese, i vescovi ecuadoriani hanno preso una forte posizione contro la possibilità di allargare per legge i casi in cui è possibile un aborto. La Conferenza Episcopale Ecuadoriana, lo scorso 17 settembre, ha fatto sapere che la Chiesa sta pensando di procedere con azioni legali se le nuove norme dovessero essere approvate.
“Nessuna legge che legalizza la morte di un essere umano indifeso può essere etica. Se la approvano, sarà legale, ma non smetterà di essere letale”, ha dichiarato l’arcivescovo Espinoza, presidente della Conferenza Episcopale.
Da parte sua, il vescovo Danilo Echeverria, ausiliare dell’arcidiocesi di Quito, ha sottolineato che 2tutte le cause che permetterebbero l’aborto hanno come fine quello di terminare la vita di un essere umano nel ventre della madre”, e che ci sono “fondamenti antropologici che lo dimostrano”. Per questo, la proposta di riforma per depenalizzare l’aborto è definita “inqualificabile”.
L’arcidiocesi di Quito ha un programma, SOS Mamà, che ha aiutato più di 7 mila donne a tenere il loro bambino. In Ecuador, l’aborto è legale solo in caso di rischio della vita o di salute della gestante o quando la gravidanza è risultato di uno stupro a una donna con problemi mentali”.
Si congedano l’ambasciatore di Costa Rica e di Ucraina. Arrivano quello di Colombia e Grecia
Dopo 12 anni come rappresentante di Ucraina presso la Santa Sede, Tetiana Izhevska lascia l’incarico ed ha incontrato il Papa in visita di congedo lo scorso 16 settembre. Durante il suo periodo di ambasciatore, è stata un ponte tra Santa Sede e Ucraina, specialmente durante il periodo del conflitto.
Lascia anche Marco Vinicio Vargas Pereira, ambasciatore di Costa Rica, anche lui in visita da Papa Francesco lo scorso 16 settembre.
Il 20 settembre, Jorge Mario Eastman Robledo, ambasciatore di Colombia presso la Santa Sede, ha presentato le lettere credenziali. Laureato in giurisprudenza, con un master in relazioni internazionali alla Columbia University di New York, è stato: Consigliere Costituzionale, Ministero del Governo (1990-1992); Consigliere presidenziale per la modernizzazione dello Stato (1994-1996); Fondatore e Direttore di programmi speciali per il Millennium Center (Think Tank) (1996-1998); Vice Ministro degli Affari Interni (1998-2000); Segretario privato del Presidente (2000); Alto Commissario Aggiunto per la Pace in Colombia (2001); Consigliere speciale del Segretario Generale della OAS (Organization of American States, Washington D.C.) (2001-2004); Consulente per le comunicazioni strategiche alla Presidenza (2006-2009); Vice Ministro della Difesa (2004- 2006 e 2010); Consulente esperto in comunicazione strategica, affari pubblici e responsabilità sociale, Eastman Consultores (dal 2010); Segretario Generale alla Presidenza (dal 2018).
Il 21 settembre, Nicolas Patakias, ambasciatore di Grecia presso la Santa Sede, ha presentato le lettere credenziali. Moltissimi i suoi incarichi nel corso di una lunga carriera: Funzionario presso il Ministero degli Affari Esteri, Dipartimento Gestione delle Crisi - Centro di Telecomunicazioni (1986-1987); Funzionario presso il Ministero degli Affari Esteri, Direzione ONU e altre Organizzazioni Internazionali (1988-1989); Console e Incaricato d’Affari a.i. dell’Ambasciata a Oslo (1990-1992); Funzionario presso il Ministero degli Affari Esteri, Direzione Medio-Oriente e Nord Africa (1993-1996); Console e Incaricato d’Affari a.i. dell’Ambasciata ad Algeri (1997-1998); Rappresentante Permanente presso l’Unione Europea a Bruxelles (1998-2004); Coordinatore Geografico presso l’Organizzazione Internazionale UE-ACP (Africa, dei Caraibi e del Pacifico) Centre for the Development of Entreprise (CDE), Responsabile per i Paesi dell’Africa dell’Ovest et del Sud a Bruxelles (2004-2005); Capo Dipartimento ed in seguito Direttore presso l’OSCE e presso la Direzione del Consiglio d’Europa (2006-2012); Vice Direttore, Responsabile per le Questioni Bilaterali e Regionali e per l’Unione Africana all’Ambasciata a Addis Abeba (2012-2013); Vice Direttore per la NATO presso il Ministero degli Affari Esteri (2013-2015); Ambasciatore ad Addis Abeba e Rappresentante Permanente presso l’Unione Africana e la Commissione Economica per l’Africa (UNECA) (dal 2015 ad oggi)
Prende forma il nuovo ufficio della Santa Sede all’OAS
Lo scorso 16 settembre, monsignor Mark Miles ha presentato le sue credenziali di osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione degli Stati Americani al segretario generale Luis Almagro. La cerimonia di consegna di credenziali ha anche formalizzato lo stabilimento di un ufficio della Santa Sede dedicato esclusivamente agli affari dell’organizzazione.Monsignor Miles ha sottolineato che “con questa nomina, la Santa Sede ha voluto che questa missione permanente fosse ancora più costante e vicina all’OAS, venendo esclusivamente dedicata al lavoro di questa illustre organizzazione”. La missione, ha aggiunto monsignor Miles, vuole “imparare dall’esperienza di questo quartiere generale degli Stati membri”.
Nata nel 1948, l’OAS è la più antica delle organizzazioni regionali, ed ha un peso tale che viene spesso descritta come “una piccola ONU”. L’OAS comprende i 35 Stati indipendenti delle Americhe (la Guyana francese non vi partecipa perché, appunto, dipartimento d’Oltremare francese) e funziona come forum politico multilaterale per la soluzione di problemi politici.
La sede principale dell’Organizzazione è appunto a Washington, e vi partecipano, in qualità di osservatori, oltre 70 tra Stati e organizzazioni. La Santa Sede è uno di questi.
Il nuovo inviato al Consiglio d'Europa
È monsignor Marco Ganci, giovane diplomatico vaticano di origine calabrese, il nuovo inviato della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa. Prende il posto di monsignor Paolo Rudelli, promosso nunzio, che sarà ordinato arcivescovo da Papa Francesco il prossimo 4 ottobre.
Classe 1976, sacerdote dal 2000, monsignor Ganci è dal 2006 al servizio diplomatico della Santa Sede e ha prestato servizio nelle Rappresentanze Pontificie in Bolivia, Grecia, presso l’Unione Europea a Bruxelles e in Kenya.
La missione della Santa Sede al Consiglio d'Europa ha lo scopo di intrattenere un dialogo costruttivo con i 47 Paesi membri del Consiglio e i 5 Paesi osservatori, allo scopo di appoggiare tutte le iniziative che puntino a costruire una società democratica fondata sul rispetto della dignità dell’essere umano.
La Santa Sede coopera con il Consiglio d’Europa dal 1962, e dal 7 marzo 1970 diventato Stato Osservatore. Al 2014, la Santa Sede aveva ratificato 6 convenzioni del Consiglio d’Europa e partecipato a diversi accordi parziali, sia come Stato membro che come Stato Osservatore.