Monsignor Camilleri ha anche sottolineato che “sebbene la legge internazionale stabilisce che gli Stati portano il dovere primario di proteggere i cittadini”, i leader religiosi hanno una “particolare responsabilità” nel promuovere una coesistenza pacifica “attraverso il dialogo e la comprensione”, in modo che le loro comunità e i loro seguaci possano rispettare tutti i diversi background religiosi piuttosto che fomentare aggressione e violenza”.
Un esempio di questa collaborazione, ha detto il “viceministro degli Esteri” vaticano, è dato dalla dichiarazione di Abu Dhabi, in cui Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar “dichiarano risolutamente che tutte le religioni non devono mai incitare alla guerra, ad attitudini di odio, ostilità ed estremismo, né devono mai incitare alla violenza e allo spargimento di sangue”.
Monsignor Camilleri ha quindi parlato della “manipolazione politica della religione”, tema su cui va data particolare attenzione, non solo come contrasto ai gruppi estremisti, ma anche come riflessione da parte dei governi per comprendere “fino a che punto sono realmente impegnati nella difesa della libertà religiosa e nel combattere la persecuzione basata sul credo religioso”.
Tra l’altro, nota monsignor Camilleri, ci sono “altre forme di discriminazione religiosa e persecuzione che sono forse meno radicali dal punto di vista della persecuzione fisica, ma che allo stesso tempo mettono a rischio il pieno godimento della libertà di religione e della pratica o espressione di quella convinzione, sia in privato e in pubblico”.
Senza peli sulla lingua, monsignor Camilleri sottolinea di riferirsi a “una crescente tendenza, anche in democrazie stabili, di criminalizzare o penalizzare i leader religiosi perché presentano i principi base della loro fede, specialmente sui temi di vita, matrimonio e famiglia”.
Camilleri ha sottolineato che “il diritto alla libertà religiosa è radicato nella dignità della persona umana, e non è solo l’esito di una cultura giuridica e politica, ma anche una condizione per la ricerca della verità che non si impone con la forza”.
Le religioni possono dunque essere un importante “fattore per l’unità e la pace nella famiglia umana”.
Monsignor Camilleri si è riferito anche al concetto di cittadinanza, perché “è vero che la costituzione della maggioranza delle nazioni afferma che tutti i cittadini, senza distinzione di razza, religione, sesso o etnia, sono uguali in diritti e doveri”, ma è anche vero che “il risorgere del nazionalismo in alcune nazioni, insieme all’aggressiva affermazione della identità religiosa, può facilmente portare a fondamentalismi religiosi”.
Senza mai menzionare esplicitamente alcun Paese – ma il riferimento al Medio Oriente è chiaro -, monsignor Camilleri sottolinea che “ci sono livelli di persecuzioni che possono essere considerati come una forma di genocidio, dove la presenza dei cristiani viene sistematicamente espunta da società e culture, anche dalle aree da cui sono originari”. Una aggressione che “non è solo un attacco alla coesistenza pacifica fondata sul pluralismo religioso, ma anche più fondamentalmente un attacco al concetto essenziale della uguale e inviolabile dignità di ogni persona umana”.
Conclude monsignor Camilleri: “Mantenere la presenza delle comunità cristiane, in particolare in quelle aree in cui non sono parte di un gruppo di maggioranza, è molto più che un atto simbolico: è una forte testimonianza di fede e di una testimonianza che la coesistenza pacifica di una pluralità di religione è possibile quando la dignità di ogni persona è rispettata.
Il rapporto sulla libertà religiosa commissionato dal ministero degli Esteri britannico e redatto dal vescovo Philip Mountstephen di Truro sottolinea che “le prove suggeriscono che atti di violenza e altre intimidazioni contro i cristiani stanno diventando sempre più diffusi” e che in parti del Medio Oriente e Africa si arriva quasi a parlare di genocidio.
Il rapporto nota che la cristianità è concentrata nel Sud globale, diffusa tra i più poveri e dunque è falsa la percezione che il cristianesimo riguardi soprattutto la società occidentale, e mette in luce che la persecuzione cristiana “non è certamente limita a contesti di maggioranza islamica” e che c’è l’idea che “per un numero di ragioni siamo rimasti ciechi a questo tema, in parte per una colpa post-coloniale. La sensazione che abbiamo interferito non invitati in alcuni contesti nel passato e non lo dovremmo fare di nuovo”.
L’ambasciatore del Papa in Armenia incontra il Primo Ministro
L’arcivescovo José Avelino Bettencourt, nunzio apostolico in Armenia, ha incontrato lo scorso 17 luglio il Primo Ministro Nikol Pashinyan. Secondo un comunicato del governo di Erevan, il primo ministro ha apprezzato gli “encomiabili sforzi del nunzio” nel rafforzare le relazioni tra Armenia e la Santa Sede e ha notato che “l’Armenia dà particolare importanza all’approfondimento delle relazioni bilaterali e allo sviluppo delle relazioni tra la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica.
Non è da sottovalutare, a questo proposito, che la Chiesa Apostolica Armena ha un rappresentante permanente presso la Santa Sede, l’arcivescovo Khajag Barsamian, e che questi ha l’ufficio proprio nell’ambasciata armena presso la Santa Sede.
L’arcivescovo Bettencourt ha notato a sua volta che Armenia e Vaticano “hanno avuto una speciale relazione sin dall’indipendenza dell’Armenia” e di essere “felice di essere in Armenia in un periodo di cambiamenti storici”, sottolineando la volontà della Santa Sede di aiutare l’Armenia nello sviluppo.
Durante l’incontro, i due interlocutori si sono scambiate opinioni su come sviluppare ulteriormente le relazioni tra Armenia e Vaticano, e Pashinyan ha espresso gratitudine a Papa Francesco e alla Santa Sede per aver riconosciuto il genocidio armeno durante l’omelia dedicata al Centenario del Genocidio Armeno, cosa che ha dato un grande contributo al riconoscimento internazionale del genocidio armeno.
Santa Sede e Libano, incontro tra il nunzio e il presidente
L’arcivescovo Joseph Spiteri, nunzio apostolico in Libano, è stato ricevuto lo scorso 17 luglio dal presidente libanese Michel Aoun. Dopo l’incontro, il nunzio ha sottolineato che “la Santa Sede attribuisce grande importanza per la stabilità e l’unità del Libano” e ha appoggiato la candidatura del Libano al progetto delle Nazioni Unite per una Accademia di incontri e dialogo tra gli uomini.
Questo perché – ha detto il nunzio Spitieri – “la società pluralistica e multi-fede del Libano è un mondo in miniatura. Siamo riusciti a superare le tentazioni del vivere tra noi, e il vivere insieme è la nostra volontà per tutti”.
Il nunzio ha parlato dell’importanza del conoscersi e per questo della necessità di creare organizzazioni internazionali di incontri, una visione che è parte della mentalità del Libano, un Paese che è un “messaggio”.
Ci saranno anche cambi in nunziatura: monsignor Ivan Santus, finora incaricato di affari, passerà alla Segreteria di Stato Vaticana, mentre arriverà un uovo incaricato di affari.
La Santa Sede a New York sul ruolo dei giovani nella cura ecologica
Lo scorso 11 luglio, l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, ha tenuto il discorso di apertura al “side event” Aspirazione dei Giovani e urgenza climatica, organizzato dalla Don Bosco Green Alliance e co-sponsorizzata dalla Missione Permanente di Samoa. L’evento era parte del forum di alto livello politico sullo sviluppo sostenibile sponsorizzato ogni anno dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite.
L’arcivescovo Auza ha parlato della necessità di una “solidarietà intergenerazionale” per la cura della casa comune e riconosciuto il coinvolgimento dei giovani nello sviluppare consapevolezza di temi ambientali. L’Osservatore della Santa Sede alle Nazioni Unite di New York ha anche lodato l’impegno dei giovani in un tempo in cui “così tanti vivono solo per il presente, in cui stili di vita consumistici permettono una cultura dello scarto e una crescente indifferenza per le sofferenze di tanti”
L’arcivescovo Auza ha infine chiesto di lavorare per una “ecologia integrale” che non metta da parte “parole gentili, un sorriso o un qualunque singolo gesto che sviluppi pace e amicizia.
I vescovi del Costa Rica non partecipano più al dialogo nazionale
Con un comunicato firmato da tutti i vescovi, la Conferenza Episcopale del Costa Rica ha reso noto che questi non parteciperanno più come garanti al dialogo nazionale tra governo e società civile.
Solo due vescovi rimarranno nel dialogo: il vescovo Javier Roman Arias, di Limon, per il dialogo nell’ambito dei trasporti, e il vescovo Oscar Fernandez Guillen, di Puntarenas, nel tavolo sui pescatori.
Il dialogo è stato promosso dalla presidenza del Costa Rica dopo le tensioni e le violenze tra indigeni ed agricoltori a causa di una legge del 1977. Lo scorso 3 luglio, Carlos Alvarado, presidente di Costa Rica, si era incontrato con l’Arcivescovo di San José Rafael Quiros per discutere, appunto, della partecipazione della Chiesa al dialogo nazionale.
La Santa Sede sul rapporto ONU sulla fame nel mondo
In questa settimana, è stato presentato il Rapporto 2019 sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo a New York da FAO, IFAD, UNICEF, World Food Program e Organizzazione Mondiale della Sanità. Il rapporto è parte del monitoraggio dei progressi verso il secondo obiettivo di sviluppo sostenibile, “Fame zero”.
Monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede verso gli organismi ONU sull’alimentazione, ha sottolineato con Vatican News che “l’umanità non ha fatto sufficientemente il suo dovere per i fratelli più poveri”, e che “il rapporto ci sta dicendo che le persone dietro questi numeri non hanno né un presente sereno né un futuro luminoso”.
Secondo il rapporto, ci sono circa 820 milioni di persone che non hanno avuto cibo a sufficienza, 9 milioni in più dello scorso anno, mentre un bambino su sette è sottopeso alla nascita e ci sono 148,9 milioni bambini al di sotto dei cinque anni malnutriti.
“La comunità internazionale – ha detto monsignor Chica Arellano – dovrebbe veramente fare di più. Manca la volontà, soprattutto nel togliere le cause dovute all’uomo, come i conflitti, la crisi economica e i cambiamenti climatici”.
La Santa Sede sull’inumazione di Franco
Le dichiarazioni del nunzio emerito in Spagna Renzo Fratini sull’esumazione dei resti di Francisco Franco “sono state espresse a titolo personale”. Lo sottolinea una nota del 17 luglio della Sala Stampa della Santa Sede.
La questione dell’esumazione era stata affrontata dal nunzio in una intervista con Europa Press in occasione del suo congedo. “Onestamente – aveva detto - ci sono così tanti problemi nel mondo e in Spagna, perché farlo risorgere? Lo hanno fatto risorgere. Sarebbe stato meglio lasciarlo in pace”
La Sala Stampa ricorda anche il nunzio “ha già smentito, a mezzo stampa, ogni intenzione di esprimere un giudizio su questioni politiche interne”.
Franco è attualmente sepolto nella Valle de los caidos, monumento nazionale dedicato ai caduti della guerra civile spagnola (1936-1939), ma lo scorso 4 giugno la Corte suprema spagnola ha deciso di sospendere la riesumazione dei resti di Francisco Franco, in attesa di valutare il ricorso della sua famiglia, che aveva espresso la volontà di portare le spoglie in uno spazio di loro proprietà nella cripta della cattedrale dell’Almudena di Madrid. Secondo l'esecutivo spagnolo, il cimitero di El Pardo, alla periferia di Madrid, dove è sepolta la moglie, garantiva condizioni di dignità e rispetto. Lo scorso agosto il governo socialista spagnolo aveva infatti approvato un decreto che apriva la strada alla riesumazione dei resti di Francisco Franco.
La Santa Sede ha già espresso la sua posizione in una lettera del Cardinale Pietro Paolin, segretario di Stato, alla vicepresidente del governo spagnolo, Carmen Calvo. La Sala Stampa della Santa Sede aveva fatto sapere che "il cardinale Pietro Parolin non si oppone alla riesumazione di Francisco Franco, se così deciso dalle autorità competenti; ma in nessun momento si è pronunciato sul luogo di sepoltura”.