Il governo della Republica Ceca era rappresentato dal ministro dell’Agricoltura Marek Výborný; dal deputato Marek Benda; dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale Tomáš Pojar, dal vice ministro degli Esteri Eduard Hulicius, dall’ambasciatore di Repubblica Ceca presso la Santa Sede Václav Kolaja; da Petra Fojtíková, Direttore Generale della Sezione dell’Ufficio del Primo Ministro; Lucie Ješátková, Portavoce del Governo; Hana Thorne, Direttore del Dipartimento di Protocollo; la Sig.ra Magdalena Pokludová, Direttore del Dipartimento per le Relazioni Estere, Dan Macek, Ufficiale dell’Unità di Relazioni Esterne.
Un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede mette in luce che l’accordo “consiste in 16 articoli miranti a rafforzare ulteriormente i rapporti di amicizia tra la Santa Sede e la Repubblica Ceca, favorisce la proficua collaborazione tra la Chiesa e lo Stato nella promozione del bene comune e dei valori spirituali, umani e culturali del Popolo Ceco”.
L’accordo, prosegue la Santa Sede, cerca “di garantire ulteriormente la libertà religiosa dei fedeli e, di conseguenza, anche libertà della Chiesa nello svolgimento della propria missione”, ed è per questo che il trattato “ribadisce il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione, non soltanto dei fedeli cattolici, ma di tutte le persone, in conformità con gli strumenti internazionali sui diritti umani”, e afferma che la libertà di culto “può essere regolamentata esclusivamente tramite leggi (e non per norme di livello inferiore) e soltanto nella misura strettamente necessaria per tutelare l’ordine pubblico, la salute e i diritti altrui”.
Con l’accordo, lo Stato Ceco riconosce il diritto della Chiesa Cattolica di operare secondo le proprie regole, di autogovernarsi e di nominare liberamente i propri ministri di culto, e garantisce il diritto all’obiezione di coscienza sia nel contesto del servizio militare che in ambito sanitario.
Importante anche che l’Accordo tuteli “l’inviolabilità del sigillo sacramentale, senza condizioni o limitazioni, e del segreto analogo a quello confessionale degli operatori pastorali”. La Chiesa ha il diritto di istituire centri educativi e caritativi e di fornire assistenza spirituale e cura pastorale alle persone ospitate in strutture di assistenza sociale, sanitarie e penitenziarie, e sarà facilitata la cura per i membri delle forze armate e di polizia.
L’accordo entrerà in vigore quando sarà ratificato da Papa Francesco e dal Parlamento della Repubblica Ceca, ed entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scambio degli strumenti di ratifica.
Monsignor Stanislav Přibyl si è detto “lieto che il governo abbia deciso di portare a termine un lavoro di oltre venti anni”. L’accordo e la sua finalizzazione era parte della piattaforma programmatica del governo di Petr Fiala.
Questi, ha sottolineato che, con questo Accordo, la Repubblica Ceca si unisce “ai 64 Stati che hanno già un accordo con la Santa Sede. Dopo 22 anni, siamo riusciti a negoziare un trattato bilateralmente equilibrato che rispetta pienamente il nostro ordinamento giuridico, ma chiarisce alcune procedure e chiarisce alcune questioni controverse. I cittadini cechi ne trarranno beneficio. Il trattato sottolinea ancora di più la libertà di religione, sulla base della quale la Repubblica Ceca potrà collaborare con le chiese nei settori del servizio spirituale negli istituti socio-sanitari o nelle carceri, nell’esercito e nella polizia – ciò non è avvenuto ancora stato trattato in alcun modo”.
Inoltre – aggiunge il Primo Ministro – l’accordo sancisce la possibilità di contrarre matrimonio nella forma del matrimonio ecclesiastico, il diritto di costituire persone giuridiche ecclesiastiche, sottolinea la collaborazione dello Stato e della Chiesa nella protezione del patrimonio culturale".
Secondo Přibyl, l'obiettivo dell'accordo non è quello di ottenere privilegi per la Chiesa cattolica, ma piuttosto di rafforzare la garanzia dei diritti derivanti dalla libertà religiosa. L’accordo, invece, non tocca questioni patrimoniali né la proprietà della Cattedrale di S. Benvenuti. Si tratta di questioni già state risolte e chiuse in passato.
Il contratto inoltre non crea alcun requisito per la modifica delle leggi ceche. Per l'attività della Chiesa cattolica nella Repubblica Ceca è importante anche l'elemento ecumenico, cioè la collaborazione con le Chiese non cattoliche, per questo motivo i rappresentanti della Conferenza episcopale ceca hanno informato dettagliatamente il Consiglio ecumenico delle chiese (CER) riguardo ai negoziati.
"Il Consiglio ecumenico delle Chiese della Repubblica Ceca – ha dichiarato Tomáš Tyrlík, presidente dell’organismo ecumenico - accoglie con favore il progetto di accordo tra la Repubblica Ceca e la Santa Sede e ritiene che l'adozione di questo accordo contribuirà alla protezione dei valori spirituali, umani e culturali e ancorerà più saldamente il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel nostro Paese. La protezione fornita da questo accordo si applica non solo alla Chiesa cattolica, ma anche ad altre chiese e società religiose".
Nel 2002, il governo ha negoziato e approvato il trattato con la Santa Sede, ma un anno dopo la Camera dei Deputati ha rifiutato di concedere l’approvazione alla ratifica.
La Santa Sede ha relazioni diplomatiche con 184 paesi del mondo, inclusa la Repubblica Ceca. Venticinque stati europei hanno concluso con la Santa Sede almeno un accordo internazionale, o concordato secondo la dicitura meno moderna. L'ultimo accordo contrattuale tra Praga e la Santa Sede fu il cosiddetto modus vivendi del 1928, che lo Stato cessò di applicare durante l'era comunista. Dopo il 1989 il tema della negoziazione di un contratto è tornato più volte all’ordine del giorno dei singoli governi.
Nel 2002, il governo ha negoziato e approvato il trattato con la Santa Sede, ma un anno dopo la Camera dei Deputati ha rifiutato di concedere l’approvazione alla ratifica. A partire dal 1989 il tema della negoziazione di un contratto è tornato più volte all’ordine del giorno dei singoli governi.
FOCUS MULTILATERALE
Libano, la Santa Sede alla Conferenza Internazionale a sostegno del popolo e della sovranità della nazione
Si è tenuta il 24 ottobre a Parigi la Conferenza a favore del popolo e della sovranità del Libano, una conferenza di donatori che ha raccolto un miliardo di dollari da destinare al sostegno del Paese dei Cedri.
La Santa Sede ha inviato monsignor Stanislaw Wachowski, sottosegretario della Santa Sede per le Relazioni con gli Stati, che ha tenuto un denso intervento, sottolineando come la Santa Sede “condivida le sofferenze del popolo libanese, che fanno eco alle battaglie di altri popoli nel Medio Oriente”.
Secondo il rappresentante della Santa Sede, è “imperativo che la comunità internazionale affronti le sfide della regione, che è significativa da un punto di vista storico e spirituale ed è allo stesso tempo lacerata da divisioni e conflitti”. La santa Sede reitera dunque l’appello di Papa Francesco per un “cessate il fuoco immediato”.
Wachowski nota come la comunità internazionale sia “fondata sul principio dell’eguale sovranità di tutti gli Stati”, e rimarca che “la Santa Sede è convinta che il Libano è una nazione nella quale il concetto di coesistenza armoniosa tra le sue varie comunità religiose è un aspetto integrale della sua identità”, e per questo è fondamentale che il Libano “continui ad essere un faro di pace e stabilità nella regione”, una “terra di tolleranza e pluralismo”, un “rifugio di fraternità dove diversi gruppi religiosi e confessionali coesistono, e dove le comunità si uniscono allo scopo del bene comune, andando oltre i loro interessi individuali e partigiani”. Tutte queste caratteristiche vanno, secondo la Santa Sede, protette dalla comunità internazionale.
Wachowski mette anche in luce il ruolo fondamentale della popolazione cristiana in Libano, la quale “dà un contributo cruciale alla prosperità e il benessere della nazione”, tanto che “si può ragionevolmente assumere che un Libano senza cristiani sarebbe una nazione meno prospera, perché gli mancherebbe un componente vitale della sua identità nazionale”.
Il “viceministro degli Esteri” vaticano ricorda la preoccupazione della Santa Sede per il vuoto istituzionale in Libano, dove da due anni non si riesce ad eleggere il presidente, lasciando così la regione priva di un contributo (quello di un cristiano maronita) che potrebbe essere fondamentale, e per questo la vacanza della posizione andrebbe invece “coperta con la massima urgenza”.
Il sottosegretario vaticano per i Rapporti con gli Stati ha anche sottolineato che “l’attuale conflitto sta esercitando una considerevole pressione sul Libano, che ancora una volta si trova ad affrontare la prospettiva della devastazione e della perdita di vite”.
Le circostanze attuali – osserva ancora Wachowski – stanno causando “un considerevole stress, particolarmente tra le comunità che risiedono nella regione meridionale del Libano e in particolare nei villaggi cristiani”.
La Santa Sede chiede “il massimo rispetto della legge umanitaria internazionale convenzionale”, incluso il rispetto per lo status di tutte le persone e la protezione di ospedali, cliniche, scuole, istituzioni educative, e si appella alla comunità internazionale perché “aiuti il Libano a sostenere il significativo movimento di sfollati interni del Sud al Nord”.
Da parte sua, la Chiesa sta fornendo molti aiuti attraverso Caritas Libano e numerose parrocchie, scuole, monasteri e conventi.
Da non sottovalutare, poi, la richiesta della Santa Sede di rispettare le Forze delle Nazioni Unite in Libano – parole che hanno un significato dopo la denuncia dell’UNIFIL di essere stato obiettivo dell’Israeli Defense Force.
Wachowski ricorda che la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1701 / 2006 “sottolinea che è importante che il governo del Libano eserciti un controllo su tutto il territorio libanese per rendere la sua sovranità reale”.
Infine, la Santa Sede chiede a tutte le autorità di “rendere prioritaria la ricerca della pace”, perché è imperativo che “l’interesse dei pochi non sia prioritizzato su quello dei molti”, e che “le verità partigiane cessino di prevalere sulle speranza della popolazione”.
La Santa Sede a New York, le nazioni in situazioni speciali
La Seconda Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha affrontato lo scorso 21 ottobre il tema dei Gruppi di Nazioni in Situazioni Speciali.
L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha sottolineato nel suo intervento l’importanza di rispondere con la solidarietà alle sfide economiche lanciata delle nazioni meno sviluppate, dando priorità allo sradicamento della povertà e alla promozione dello sviluppo integrale di ciascuna persona.
Caccia ha poi guardato alla situazione delle nazioni in via di sviluppo senza sbocco sul mare, e ha sottolineato che la mancanza di un accesso diretto al mare limiterà la loro partecipazione nel commercio globale e rende più difficoltoso l’accesso ai mercati, esacerbando povertà e ineguaglianza. La Santa Sede chiede alla comunità internazionale di agire in maniera tangibile per integrare pienamente l’economia di queste nazioni nell’economia globale.
Altro tema è quello degli Stati in via di Sviluppo costituiti da piccole isole, le quali devono affrontare sfide in tutte le dimensioni dello sviluppo sostenibile, essendo anche colpite in maniera sproporzionata da cambiamento climatico, disastri naturali e crescita del livello del mare.
In generale, la Santa Sede chiede di agire per alleviare o cancellare il debito estero, in modo da assicurare che gli sforzi delle nazioni per sradicare la povertà siano “bloccati” dal peso del debito. Inoltre, la Santa Sede chiede di proteggere la dignità umana, sviluppare crescita e costruire resilienza.
La Santa Sede a New York, gli effetti delle radiazioni atomiche
Il 21 ottobre, la Santa Sede ha partecipato anche al dibattito della Quarta Commissione dell’Assemblea Generale sugli Effetti delle Radiazioni Atomiche.
L’arcivescovo Caccia ha apprezzato il lavoro del Comitato Scientifico delle Nazioni Unite sugli Effetti delle Radiazioni Atomiche e il suo straordinario contributo nell’avanzamento della conoscenza riguardo le radiazioni ionizzanti.
Secondo la Santa Sede, ci vuole una comprensione più globale dell’impatto delle radiazioni, che può essere raggiunto dando la priorità alla ricerca sui sistemi circolatori, neurologici e immunitari. Questo salvaguarda la salute pubblica e l’ambiente.
L’arcivescovo Caccia si è anche detto preoccupato dal rischio significativo di un rilascio incontrollato di radiazioni ionizzanti, in particolare considerando il conflitto intorno alla centrale di Zaporizhzhia in Ucraina e nelle vicinanze delle centrali di Kursk in Russia.
La Santa Sede chiede anche che siano ratificati il Trattato sulla Protezione delle Armi Nucleari e il Trattato Globale di Bando del Nucleare.
La Santa Sede a New York, la discussione sulle armi nucleari
Il 22 ottobre, si è tenuto alle Nazioni Unite di New York una discussione tematica sulle Armi Nucleari nell’ambito della Prima Commissione.
L’arcivescovo Caccia, osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha sottolineato il bisogno urgente di lavorare per il disarmo nucleare, perché la minaccia del loro uso si trova “al livello più alto in molte generazioni”.
Caccia ha notato che la comunità internazionale ha scelto la divisione piuttosto che lo spirito di fraternità, e ha rimarcato che è imperativo superare questi ostacoli e rinnovare l’impegno e gli sforzi collaborativi.
L’arcivescovo Caccia ha anche insistito che non ci può essere pace attraverso la deterrenza, e che il possesso e la produzione di armi nucleari è “non solo immorale, ma anche devia risorse che possono essere utilizzate per raggiungere una genuina sicurezza globale. La Santa Sede, ha detto, è delusa dalla crescente polarizzazione e sfiducia nelle sessioni della Commissione Preparatoria del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, mentre chiede un ambiente di dialogo, fiducia e rispetto.
La Santa Sede a New York, le questioni dei diritti umani
Le questioni dei diritti umani e gli approcci perché questi siano goduti da tutti sono stati al centro della discussione dell’assemblea generale ONU del 23 ottobre.
Parlando a nome della Santa Sede, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente, ha affermato che la dignità umana è alla base dei diritti umani e che quando la dignità è vista come uno status da ottenere, allora il valore di ogni persona diventa contingente al suo status, potere e connessioni.
L’arcivescovo Caccia ha enfatizzato che nessun diritto può essere goduto senza il diritto alla vita, eppure il diritto alla vita, alle Nazioni Unite, è invocato in difesa dell’aborto, che invece termina direttamente la vita dei bambini non nati, che sono i membri più vulnerabili della nostra società.
Altro tema di preoccupazione è la crescente promozione di una legislazione per il suicidio assistito, che “instilla una cultura della morte e della disperazione” e che va considerato una “violazione del diritto fondamentale alla vita umana, così come è la pena di morte”.
L’arcivescovo ha quindi chiesto di proteggere il diritto alla vita in ogni circostanza, come responsabilità di buon governo e come chiave per la costruzione di una società giusta.
La Santa Sede a New York, la discussione sulle armi convenzionali
Il 24 ottobre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha tenuto una discussione tematica sulle armi convenzionali.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha sottolineato che la “proliferazione illecita e il cattivo uso delle armi convenzionali è diventato una delle preoccupazioni di sicurezza più pressanti a livello nazionale, regionale e globale”.
In particolare, la Santa Sede è preoccupata dalla significativa crescita della spesa militare, che è arrivata al record di 2,24 trilioni di dollari nel 2022.
La Santa Sede ha sottolineato che risorse sostanziali sono invece sprecate in armi che causano distruzione e danno, soldi che invece “potrebbero essere usati per raggiungere una sicurezza globale genuina o investiti per sradicare la povertà, la fame e la malnutrizione”.
La Santa Sede ha comunque apprezzato lo sforzo della comunità internazionale di combattere il traffico illecito, e ha supportato la richiesta del Segretario generale dell’ONU di concludere entro il 2026 uno strumento legale vincolante che proibisca le armi letali autonome che funzionano senza controllo o sorveglianza umana.
La Santa Sede a New York, le misure di disarmo
Il 25 ottobre c’è stata, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, una discussione tematica sulle altre misure di disarmo.
L’arcivescovo Caccia ha sottolineato come l’interconnessione e la comunicazione nel mondo attuale hanno un duplice canale, perché offrono l’opportunità di essere consapevoli dell’unità delle nostre nazioni e di essere allo stesso tempo consapevoli della minaccia a questa unità proprio dall’uso malizioso di informazioni.
Gli Stati, secondo la Santa Sede, dovrebbero “rafforzare le loro infrastrutture digitali e lavorare insieme per implementare forti linee guida di salvaguardia ed etiche che contrastino l’uso dannoso delle tecnologie dell’informazione”.
La Santa Sede supporta la creazione di norme internazionali che promuovono il dialogo e l’uso delle tecnologie informazioni, e ritiene importante applicare la legge internazionale e la legge umanitaria internazionale al cyberspazio.
La Santa Sede all’OAS, le questione del diritto alla libertà religiosa
Il 23 ottobre, l’Organizzazione degli Stati Americani ha tenuto una sessione straordinaria del suo Consiglio Permanente per presentare uno “Studio sul diritto alla libertà di coscienza, di religione o di credo”, redatto dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani.
Monsignor Juan Antonio Cruz Serrano, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’OAS, pur apprezzando il documento, ha messo in luce “l’alto numero di violazione che soffre il diritto fondamentale alla libertà religiosa, che viene violato in quasi un terzo dei Paesi del mondo, e che colpisce quasi 4,9 milioni di persone”.
La Santa Sede constata che quattro dei cinquanta Paesi con maggior numero di violazioni della libertà religiosa si trovano nell’emisfero latino, e che “queste violazioni sono particolarmente dirette contro i cristiani”, un dato che “sembra disperso nello studio presentato”.
Cruz Serrano nota che la ragione dello studio è di “esaminare lo Stato della libertà religiosa nella regione e promuovere questo diritto”, ma che sarebbero da evitare affermazioni come il fatto che “la libertà di credo è in tensione con vari settori della società, incluse le persone LGBTQ”.
Tra l’altro, in alcuni casi si andrebbero a limitare i diritti e le responsabilità dei genitori per quanto riguarda l’educazione dei figli, e ci sono suggerimenti che lo Stato possa interferire nelle istituzioni ecclesiastico, persino nei cosiddetti maestri di fede.
È qualcosa – dice l’Osservatore – che “va contro gli stessi principi così difesi internazionalmente di indipendenza, nessuna interferenza e separazione tra lo Stato e la Chiesa”.
La Santa Sede vorrebbe che la Commissione Internazionale dei Diritti Umani possa aprire gli occhi su questo diritto fondamentale, e difenderlo e promuoverlo, “con piena coscienza che il rispetto ala libertà religiosa è un segno distintivo della più alta civilizzazione politica e giuridica, che garantisce la realizzazione di un autentico sviluppo integrale della persona umana”.
FOCUS ASIA
Il viceministro degli Esteri del Giappone nel’Ufficio Filatelico Vaticano
Lo scorso 21 ottobre. Yoshifumi Tsuge, viceministro deli Esteri, insieme l’Ambasciatore del Giappone presso la Santa Sede Akira Chiba e ad una piccola Delegazione di rappresentanza hanno fatto visita all’Ufficio Filatelico Vaticano.
Gli ospiti hanno visitato gli uffici, accompagnati da Antonino Intersimone, direttore delle Telecomunicazioni e dei Sistemi Informatici, da don Felice Bruno, capo ufficio, e da una piccola rappresentanza del servizio.
Gli ospiti hanno visto – secondo un comunicato dello Stato di Città del Vaticano – “parte della tubazione della posta pneumatica, il meccanismo di recapito posta, nel quale alcuni contenitori cilindrici venivano propulsi, attraverso una rete di tubi tramite l’aria compressa, arrivando in Segreteria di Stato o nel Palazzo del Governatorato”, e hanno visitato anche gli uffici della posta in partenza o della posta per il Vaticano, fino allo studio di grafica, dove si realizzano le emissioni speciali de francobolli”.
FOCUS UE
Crociata all’EU Future Talks sull’Europa e la Guerra
“C’è una guerra giusta?” è il tema che ha caratterizzato gli UE Future Talks, tenutisi il 25 ottobre e cui ha partecipato anche Mariano Crociata, vescovo di Latina e presidente della COMECE. Tema dell’incontro era: “Esiste una guerra giusta?”
Parlando ai partecipanti al convegno, Crociata ha affermato che “la pace non è un tema tra gli altri in questi tempi di aggressione, è il tema, poiché sono entrati in gioco in maniera nuova e drammatica l’identità e il futuro dell’Unione Europea e quindi anche i suoi valori fondanti”.
Il presidente COMECE ha denunciato che “il clima e il linguaggio di assuefazione e rassegnazione che caratterizzano vita sociale dei nostri Paesi di fronte alle guerre in Ucraina e Medio Oriente, che porta con sé la convinzione che ormai non ci sia più niente da fare, se non aspettare che la vicenda bellica faccia il suo corso”.
Secondo il vescovo di Latina, “quello che sta avvenendo, nella dinamica del riarmo, costituisce una formidabile patente contraddizione, un colpo al cuore all’origine della comunità europea, che nasce come comunità di popoli che doveva rendere impossibile il ritorno della guerra sul suolo europeo”. Si avverte, in questo senso, “il cambiamento di una natura originaria della Unione Europea che ha visto compiersi un processo di integrazione economico e regolativo su tanti aspetti della vita dei nostri paesi ma non ancora di carattere politico, perché non pochi passi che le istituzioni vanno compiendo della politica hanno la movenza”.
Si chiede Crociata se l’UE sarà ancora, dopo tutto quello che sta accadendo, un progetto di pace come era all’origine. Il vescovo mette in luce che le violazioni del diritto bellico sono così tante che “diventato impossibile distinguere tra guerra e terrorismo. Sono in gioco dilemmi spinosi tra diritti dei popoli e bisogno di pace, tra guerra giusta e pace giusta.
Quale pace può essere veramente tale, viene da chiedersi quando sono in atto guerre come quelle in corso. Se la pace non è solamente assenza di guerra, quale pace può esserci sotto la minaccia di una nuova guerra”.
Crociata ha sottolineato che “bisogna fare ricorso a tutti gli strumenti, iniziative efficaci adeguate alla gravità del momento”, perché la “pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi”.