Un nuovo nunzio in Benin, un nuovo osservatore presso l’OSA
Monsignor Mark Gerard Miles lascia il suo incarico di Osservatore presso l’Organizzazione degli Stati Americani e si trasferisce in Africa, dove sarà nunzio in Benin, venendo anche elevato al titolo di arcivescovo.
Monsignor Miles, che era conosciuto come traduttore del Papa quando era in Segreteria di Stato, era stato destinato come Osservatore nel nuovo ufficio della Santa Sede presso l’Organizzazione degli Stati Americani nell’agosto 2019.
Nato nel 1967, sacerdote dal 1996, è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede il 1 luglio 2003, e ha servito nelle Rappresentanze Pontificie in Ecuador, Ungheria e presso la sezione degli Affari Generali della Segreteria di Stato. Si trova ora a rappresentare il Papa in una nazione africana piccola, ma cruciale, da cui proveniva il Cardinale Gantin e che quest’anno celebra i 40 anni di relazioni diplomatiche con la Santa Sede.
Il posto di monsignor Miles come Osservatore Permanente all’OSA viene preso da Juan Antonio Cruz Serrano. Spagnolo, consigliere di Nunziatura, è sacerdote dal 2001 e nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2004. Ha servito nelle nunziature di Zimbabwe, Irlanda, Cile e presso la Sezione degli Affari Generali per la Segreteria di Stato.
Nata nel 1948, la OSA è la più antica delle organizzazioni regionali, ed ha un peso tale che viene spesso descritta come “una piccola ONU”. La OSA comprende i 35 Stati indipendenti delle Americhe (la Guyana francese non vi partecipa perché, appunto, dipartimento d’Oltremare francese) e funziona come forum politico multilaterale per la soluzione di problemi politici.La sede principale dell’Organizzazione è appunto a Washington, e vi partecipano, in qualità di osservatori, oltre 70 tra Stati e organizzazioni. La Santa Sede è uno di questi.Fino al 2012, il ruolo di Osservatore Permanente presso l’Organizzazione degli Stati Americani era stato ricoperto dal nunzio negli Stati Uniti. Nell’agosto 2012, invece, fu deciso che il posto sarebbe stato ricoperto dall’Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite, che al tempo era l’arcivescovo Francis Chullikat.Era stato l’arcivescovo Pietro Sambi, nunzio a Washington deceduto nel luglio del 2011, ad avviare una serie di riflessioni sull’opportunità della nomina del nunzio presso gli Stati Uniti come Osservatore permanente, perché in generale tutti i rappresentanti dei Paesi membri dell’OAS con qualità di ambasciatore erano diversi da quelli in servizio presso il governo degli Stati Uniti, e il “doppio incarico” di nunzio a Washington e osservatore presso l’OAS non sempre facilita le relazioni diplomatiche.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede a Ginevra
Il 3 febbraio, la Santa Sede è intervenuta al comitato Commercio e Sviluppo dell’UNCTAD, l’agenzia ONU per il commercio. L’intervento è stato pronunciato dall’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali a Ginevra.
La Santa Sede ha notato l’impatto della pandemia sulle nazioni meno sviluppate, mettendo in luce che ci sono più di un miliardo di persone nelle nazioni di questo tipo, ma che contano per solo l’1,3 per cento del PIL globale.
Queste persone hanno meno mezzi finanziari ed istituzionali per reagire agli shock economiche, e così – come si vede nel rapporto UNCTAD – gli Stati meno sviluppati hanno avuto le peggiori performance economiche degli ultimi 30 anni, e potrebbe peggiorare, anche perché il numero di persone in estrema povertà in queste nazioni potrebbe aumentare di 32 milioni di unità.
La Santa Sede chiede che la povertà non sia definita solo in base a parametri economici, e mette in luce che ci sono molti parametri da considerare, dalle infrastrutture all’energia, alla scienza, alla tecnologia e innovazione, fino allo sviluppo del settore privato.
Ad ogni modo, nota la Santa Sede, la marginalizzazione delle nazioni meno sviluppate le ha colte anche in una difficile situazione di mercato, e sottolinea che invece le economie più avanzate possono “aiutare a rilanciare la crescita globale sostenibile combinando una politica fiscale proattiva, che include le spese sulle infrastrutture, insieme a politiche monetarie chiare e di supporto”, in modo che così le nazioni meno sviluppate “possano incoraggiate e aiutate a costruire domanda interna, usare i regolamenti per proteggersi dei rischi della finanzializzazione nei loro contesti domestici e proteggere il loro spazio politico e fiscale per poter gestire altri shock economici non previsti”.
La Santa Sede ha reiterato che la crisi da COVID ha mostrato ancora di nuovo “le ineguaglianze e le asimmetrie” del sistema economico e dell’architettura finanziaria multilaterale. Secondo la Santa Sede, si deve abbandonare un approccio economico basato sull’esportazione, ma piuttosto lavorare sulle capacità produttive di sviluppo, e così, “nel dare forma al recupero economico alla luce della pandemia”, ci si assicurerà che “le misure di supporto al commercio internazionale portino ad una integrazione dei Paesi meno sviluppati nell’economica globale”.
La Santa Sede chiede inoltre di accompagnare le nazioni meno sviluppate anche dopo che hanno abbandonato le fasce basse di sviluppo, in modo che possano stabilizzare l’economia e che si possa dare forma a una società che “non lascia nessuno indietro”.
La Santa Sede a New York, nella Giornata Internazionale della Fraternità Umana
Si è tenuta il 4 febbraio la prima Giornata Internazionale della Fraternità Umana proclamata dalle Nazioni Unite su suggerimento dell’Alto Comitato per la Fraternità Umana voluto dagli Emirati Arabi dopo la dichiarazione di Abu Dhabi, e che vede anche la partecipazione della Santa Sede.
In occasione della giornata, l’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite a New York, ha definito la Giornata come “un percorso verso il futuro”.
Ricordando la firma del documento di Abu Dhabi da parte di Papa Francesco e del Grande Imam Ahmed al Tayyb, l’arcivescovo Caccia ha affermato che il documento ha “uno speciale appello ai credenti di diverse religioni perché mostrino, di fronte la violenza, l’importanza della vita di fede e del ruolo positivo che le persone di fede possono giocare nella società”.
L’arcivescovo Caccia ha poi messo in luce che il Papa ha poi elaborato questa chiamata al dialogo e alla riconciliazione nella enciclica Fratelli Tutti, in cui ha anche sottolineato “l’importanza della fraternità e il bisogno di difenderla, considerando la vera fraternità come una nuova frontiera per l’umanità, la grande sfida del nostro tempo”.
FOCUS MEDIO ORIENTE
Iraq, verso il viaggio di Papa Francesco: la restituzione delle case ai cristiani
Mentre si avvicina il viaggio di Papa Francesco in Iraq, Moqtada al Sadr, leader sciita iracheno che si era distinto ad inizio anni 2000 per le sue imprese paramilitari, ha lanciato una commissione speciale per raccogliere e verificare notizie e reclami sui casi di esproprio abusivo di beni immobiliari subiti negli ultimi anni da proprietari cristiani in diverse regioni dell’Iraq.
L’agenzia della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli Fides ha sottolineato che ci sono già dozzine di denunce, come ha spiegato Hassan al Kaabi, vice presidente della Camera dei Rappresentanti che si trova nella coalizione che fa capo ad al Sadr, in un aggiornamento ai media.
Al Kaabi ha raccontato che ora la commissione sta verificando le denunce sul campo, con vari sopralluoghi, raccogliendo testimonianze nelle comunità locali per verificare la veridicità delle denunce.
Il comitato non si occupa solo delle case espropriate ai cristiani, ma anche ai mandei, una minoranza religiosa che ha chiesto direttamente a Moqtada al Sadr di beneficiare dell’iniziativa.
La commissione ha chiesto anche alle famiglie di cristiani che hanno lasciato il Paese negli ultimi anni di segnalare possibili casi di abusi. Le case dei cristiani sono state illegalmente sottratte grazie ad una diffusa corruzione, collegata all’esodo di massa dei cristiani iracheni dopo la Seconda Guerra del Golfo.
FOCUS ASIA
Myanmar, l’appello del Cardinale Bo
Dopo il colpo di Stato in Myanmar, il Cardinal Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, presidente della Conferenza Episcopale Cattolica del Myanmar e presidente della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche, ha lanciato un accorato messaggio rivolto al popolo del Myanmar e alla comunità internazionale.
Il cardinale ha chiesto di “rispettare i diritti” dei rappresentanti eletti del popolo, così come scrittori attivisti e giovani che sono stati imprigionati. Invocando un loro pronto rilascio, il Cardinale ha sottolineato che “non sono prigionieri di guerra. Sono prigionieri di un processo democratico”.
Il cardinale si è rivolto direttamente ai capi dell’esercito che hanno orchestrato il golpe. Il Cardinale Bo era nello Stato di Kachin il giorno della presa di potere dei militari, e così è rimasto isolato per alcuni giorni.
Il testo del Cardinale è indirizzato a concittadini, leader civili, esercito e comunità internazionale. Parlando ai cittadini, il Cardinale chiede loro di “restare calmi, non cedere alla violenza. Abbiamo versato abbastanza sangue. Non si sparga più sangue in questa terra. Anche in questo momento così impegnativo, credo che la pace sia l'unica via, che la pace sia possibile. Ci sono sempre modi non violenti per esprimere le nostre proteste. Non diamo spazio all'odio in questo momento in cui lottiamo per la dignità e la verità. Che tutti i leader della comunità e i leader religiosi preghino e animino le comunità per una risposta pacifica a questi eventi. Pregate per tutti, pregate per tutto, evitando le occasioni di provocazione".
Il Cardinale si è poi rivolto ai generali, denotando lo “shock e l’amarezza” del mondo di fronte al colpo di Stato, mettendo in luce come in realtà, dopo la prima transizione democratica nel 2015, era stata promessa “pace e vera democrazia”, e invece l’esercito ha preso il potere unilateralmente.
E oggi, mentre l’esercito promette maggiore democrazia, il Cardinale ha notato che “la gente del Myanmar è stanco di promesse vuote”.
Il Cardinale si rivolge poi alla leader Aung San Suu Kyy e agli esponenti della Lega Nazionale per la Democrazia ora agli arresti, sottolineando che “la verità prevarrà. Dio è l'ultimo arbitro della verità. Ma Dio attende”.
Parlando alla comunità internazionale, il Cardinale Bo nota che “sanzioni e condanne hanno portato pochi risultati, anzi hanno chiuso le porte e chiuso il dialogo”, e questo è stata “una benedizione per quei poteri forti che mirano alle nostre risorse”.