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Diplomazia pontificia, il rapporto con l’Italia, il focus sull’Africa

Palazzo Borromeo | Il Cardinale Pietro Parolin, il presidente Sergio Mattarella e l'ambasciatore Pietro Sebastiani, a Palazzo Borromeo, visitano una mostra dedicata ai 90 anni dei Patti Lateranensi | Twitter @Quirinale Palazzo Borromeo | Il Cardinale Pietro Parolin, il presidente Sergio Mattarella e l'ambasciatore Pietro Sebastiani, a Palazzo Borromeo, visitano una mostra dedicata ai 90 anni dei Patti Lateranensi | Twitter @Quirinale

Il rapporto tra Santa Sede ed Italia è stato l’oggetto del tradizionale bilaterale in occasione dei Patti Lateranensi, che si è tenuto lo scorso 14 febbraio. Incontro in cui sono emerse le diverse sfumature delle due parti, in un clima comunque di dialogo.

Intanto, dall’Uganda arrivano conferme che si prepara un viaggio papale nel Paese, mentre la situazione in Venezuela diventa sempre più complessa, e una delegazione è stata ricevuta nei giorni scorsi in Segreteria di Stato. Una buona notizia dall’Africa: il Cardinale Souraphiel è stato nominato presidente della Commissione Verità e Riconciliazione dell’Etiopia. Lavorerà per creare la pace dopo il conflitto.

Il Bilaterale Italia – Santa Sede per i Patti Lateranensi

Si è tenuto il 14 febbraio il consueto bilaterale tra Italia e Santa Sede in occasione dell’anniversario dei Patti Lateranensi e della revisione del Concordato del 1984. Quest’anno, l’evento aveva una particolare risonanza, perché si è celebrato il 90esimo dalla firma dei Patti e il 35esimo dalla revisione del concordato. L’incontro si è tenuto a Villa Borromeo, sede dell’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede.

L’incontro è una buona occasione per “misurare” il clima di qua e di là dal Tevere. C’era il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e anche il premier Giuseppe Conte, che già in mattinata aveva partecipato con Papa Francesco all’inaugurazione della 42esima assemblea generale dell’IFAD. Da parte vaticana, c’era come tradizione il Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin. Tra i ministri, non c’era il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini per l’Italia, mentre c’era l’altro vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, che comunque aveva incontrato il Cardinale Parolin in un incontro che lo stesso capo della diplomazia vaticana ha definito “non segreto, ma riservato”. Da parte italiana, c’erano anche i ministri Busseti, Bonisoli, Tria, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti.

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Il Cardinale Parolin ha parlato di un incontro che si è svolto in un “clima buono, di grande ascolto”, con “sfumature diverse”. Il Cardinale ha poi raccontato che si è “partiti dal concetto espresso dal presidente del Consiglio di inclusione”, declinato nell’impegno del governo “soprattutto nelle fasce più deboli della popolazione”. Il Cardinale ha notato che “ci possono essere sfumature diverse” tra Santa Sede e Italia sugli strumenti con cui portare avanti questa idea di inclusione, ma “nell’assieme abbiamo condiviso questo impegno tipico della Chiesa, che deve essere di ogni autorità del governo: cioè, essere al servizio del bene comune”.

Nell’incontro – ha aggiunto il Cardinale – si è parlato “dei temi internazionali, andando a toccare tutti i punti di crisi”, e sono state sottolineate le coincidenze tra governo e Vaticano su “una soluzione pacifica delle molte crisi, dell’impegno da parte della Chiesa per lo sviluppo dei Paesi da cui provengono i migranti”.

Si è parlato dunque anche di migrazione, soprattutto dal punto di vista dell’integrazione, e la Santa Sede ha chiesto “politiche di integrazione”, considerando sempre che la questione migratoria deve essere comune responsabilità. “Non è un problema di un Paese, ma di tutta l’Europa, e va condiviso”, ha chiosato il Segretario di Stato Vaticano.

Tra i temi, anche la domenica senza lavoro: la posizione sia della Santa Sede che della CEI è quello di “salvaguardare il senso della domenica”, ma considerando persone e famiglie perché “ci possono essere ricadute sul lavoro”.

Un viaggio in Uganda per Papa Francesco?

Già lo scorso anno i vescovi dell’Uganda avevano detto che Papa Francesco sarebbe tornato in Uganda, in occasione del cinquantesimo anniversario del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM), che fu inaugurato da San Paolo VI il 31 luglio 1969. Ora, la possibilità sembra farsi più concreta. L’11 febbraio, i media ugandesi hanno riportato dichiarazioni di Betty Amongi, ministero delle Terre, che ha sottolineato che Papa Francesco sarà in Uganda il prossimo luglio per le celebrazioni del SECAM alla Messa di inizio ministero del nuovo vescovo di Lira Sanctus Linus Wanok.

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“Il governo – ha detto Amongi – ha ricevuto una lettera dal Vaticano che sua Santità sta tornando in Uganda per una conferenza internazionale molto importante. Il mio ministero e il ministero delle Finanze stanno lavorando per rinnovare il santuario del Martiri Cattolici di Namugongo e raccogliere i fondi per la visita del Papa”.

Papa Francesco è già stato in Uganda nel 2015, nel corso di un viaggio durante il quale ha toccato anche la Nigeria e la Repubblica Centrafricana, dove ha aperto la prima Porta Santa dell’Anno Santo Straordinario della Misericordia.

Ci sono state anche conferme che Papa Francesco andrà in Mozambico e in Madagascar. Nessuno dei viaggi di un eventuale tour africano del Papa sono stati comunque ufficializzati.

Il Cardinale Souraphiel presidente della Commissione per Riconciliazione e pace dell’Etiopia

Il Cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel, arcivescovo di Addi Abeba, è stato nominato coordinatore della Commissione nazionale per la Riconciliazione e la Pace. Vice della commissione è Yetnebersh Nigussie, avvocato, attivista per i diritti umani.

A scegliere il Cardinale come presidente della Commissione è stato il primo ministro Abiy Ahmed, incontrato da Papa Francesco lo scorso 21 gennaio. La visita arrivava dopo lo storico accordo tra Eritrea ed Etiopia, che ha posto fine a un conflitto durato venti anni e segnalato tra le luci dell’anno diplomatico da Papa Francesco nel discorso di inizio anno agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, e dopo le elezioni presidenziali di novembre, che hanno visto per la prima volta eleggere alla guida della nazione una donna, Sahle-Work Zewde. Durante l’incontro, si era parlato anche del contributo che potevano dare i cattolici alla nazione, specialmente sul tema della pace.

La Commissione è chiamata a ricostituire unità nazionale e riconciliazione, e il premier ha dato totale libertà al lavoro della Commissione. Già in Ruanda e Sudafrica commissioni analoghe hanno contribuito a ricostruire un humus pacifico dopo anni di conflitti.

La Chiesa è, dunque, in prima linea, e dà anche il buon esempio. L’arcivescovo di Asmara Mengisteab ha guidato lo scorso 12 febbraio una delegazione della Chiesa Cattolica Eritrea in Etiopia. Era la prima volta in 21 anni che una visita del genere aveva luogo. I membri della delegazione si sono incontrati con la presidenza della Conferenza Episcopale Etiope, guidata appunto dal Cardinale Souraphiel.

Il Cardinale e l’arcivescovo hanno sottolineato che la Chiesa è rimasta un ponte per le persone di entrambe le nazioni anche nei tempi del conflitto. L’arcivescovo Mengisteab ha anche servito per anni come agente pastorale in diverse parti di Etiopia, insegnando anche teologia all’istituto Cappuccino di Filosofia e Teologia di Addis Abeba.

La Santa Sede all’ONU di New York

Si è tenuta il 14 febbraio presso la sede delle Nazioni Unite a New York la 57esima sessione della Commissione per lo Sviluppo Sociale sul tema “Affrontare le diseguaglianze e le sfide della inclusione sociale attraverso politiche di protezione salariali, fiscali e sociali”. Per la Santa Sede, monsignor Tomasz Grysa, Primo Consigliere, ha letto un intervento dell’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York.

Nell’intervento, l’arcivescovo Auza ha sottolineato che i livelli di disuguaglianza globale sono molto alti, e che “un ponte fondamentale per superare le disuguaglianze” è una “educazione inclusiva di qualità, particolarmente per i bambini in situazioni economiche di svantaggio”. L’arcivescovo Auza ha anche sottolineato che le “più efficaci politiche di protezione sociali sono rappresentante dal rafforzamento dei nuclei famigliari attraverso il supporto per la nascita dei bambini, le politiche fiscali a vantaggio della famiglia e i programmi di protezione sociale”. L’intervento della Santa Sede si è anche concentrato sulla necessità di dare uguale pagamento a uomo e donna.

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La Santa Sede all’ONU di Ginevra

Il 12 febbraio, si è tenuto a Ginevra il Quarto Dialogo tra le Fedi, sul tema “Solidarietà globale e accoglienza dello straniero”. È intervenuto anche l’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso le Naazioni Unite a Ginevra.

L’arcivescovo Jurkovic ha sottolineato che il tema “accogliere lo straniero” è “di straordinaria importanza per la Santa Sede”, che da sempre ha mostrato “preoccupazione per quanti sono esclusi e marginalizzati”. Accogliere gli altri - ha detto l’arcivescovo Jurkovic .- richiede “un concreto impegno anche per combattere le cause alla base delle migrazioni forzate e nella vera comprensione del bene comune, cioè di tenere a mente le esigenze di tutti i membri della famiglia umana”.

L’osservatore della Santa Sede ha ricordato che il primo viaggio del pontificato di Papa Francesco è stato a Lampedusa, e che in quella occasione ha denunciato “la globalizzazione dell’indifferenza”, una indifferenza verso il forestiero, e dunque verso i migranti, che “trova la sua spiegazione in una innata paura dello straniero, paura esacerbata dalle ferite causate dalla crisi economica, l’impreparazione delle comunità locali e l’inadeguatezza di molte misure prese in una atmosfera di emergenza”.

L’arcivescovo Jurkovic ha detto che è cruciale oggi “mettere in luce il valore della solidarietà, che non dovrebbe mai essere sostituito da sentimenti di mancanza di fiducia e rifiuto”. L’arcivescovo ha poi messo in luce il problema delle minoranze religiose, perché “il diritto alla libertà religiosa è un diritto fondamentale che delinea il modo in cui interagiamo socialmente e personalmente con i nostri vicini”.

Per questo, la “promozione del dialogo interreligioso, del rispetto mutuo e della comprensione mutua diventa fondamentale”, mentre è preoccupante che in molte parti del mondo “c’è una crescente attitudine a respingere la libertà religiosa”.

L’arcivescovo ha poi ricordato il viaggio di Papa Francesco ad Abu Dhabi, e in particolare la firma del Documento sulla Fraternità Umana, di cui ha richiamato alcuni passaggi che riguardano proprio la libertà religiosa.

L’arcivescovo Jurkovic ha poi segnalato che “davanti alle sfide della nostra realtà contemporanea, l’unico responso ragionevole è quello della fraternità e della misericordia”, ma è anche importante sviluppare “il dialogo, una cultura di tolleranza e l’accettazione degli altri a tutti i livelli”.

La Santa Sede all’IFAD

Papa Francesco è stato in visita al Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) lo scorso 14 febbraio, e nell’occasione ha avuto un incontro con i rappresentanti dei popoli indigeni. Questi si erano riuniti nel Forum Internazionale dei Popoli Indigeni il 12 13 febbraio, sempre presso la sede dell’IFAD. Il 13 febbraio, monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore della Santa Sede presso le organizzazioni e gli organismi delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, ha tenuto un intervento sul tema “Avere attenzione per la vita, avere attenzione per l’ambiente. Un binomio inscindibile alla luce del magistero di Francesco”.

In particolare, monsignor Chica Arellano si è soffermato sull’enciclica Laudato Si. Ha sottolineato che “la visione del cosmo dei popoli indigeni – ha detto l’osservatore – è un libro aperto da cui possiamo prendere lezioni luminose”. Si tratta di una chiave di lettura del mondo che “stanno chiedendo un ascolto reciproco, un dialogo cordiale e sincero”, perché “questi popoli e comunità hanno una esperienza copiosa” e sono depositari di “ricche tradizioni spirituali e culturali che sono passati da padre a figlio, da conoscenze ancestrali che conservano ancora valore e che mostrano in che modo vada trattata correttamente la terra. Insomma, si tratta di popoli che “ci ricordano allo stesso modo che salvaguardare l’ambiente è un modo privilegiato di tutelare la vita e rendere possibile che la stessa si sviluppi armoniosamente”.

Da parte sua, la Santa Sede “ha sempre levato la voce” per chiedere iniziative efficaci per conservare il pianeta e “proteggere la natura creata da Dio”, e lo ha fatto da un punto di vista integrale, considerando che “i sintomi dell’ambiente ci parlano di un problema spirituale ed etico”, e in particolare Papa Francesco ha chiesto sempre una “attenzione amorevole agli svantaggiati di questo mondo, che sono le prime vittime quando si dà il debito rispetto all’ambiente”.

Papa Francesco, nel suo insegnamento, declina la difesa della terra come difesa della vita, perché “sa bene che la vita non può prosperare in una terra arida, che danneggiare la terra porta alla lacerazione dell’uomo che la vive, e che viceversa preoccuparsi della terra permette che la vita si dispieghi in tutta la sua ricchezza e varietà”.

Monsignor Chica Arellano ha notato anche che “quando l’umanità non si preoccupa debitamente della casa che la accoglie, mette in pericolo la propria vita umana”, e per questo c’è bisogno, da parte di tutti, di continuare a collaborare e dialogare. Con la convinzione che “non ci sarà comunque soluzione ai problemi che colpiscono il nostro pienata se rimaniamo nel campo della retorica e non diamo spazio all’azione”.

Sono tutti temi che si trovano nell’enciclica Laudato Si di Papa Francesco, il cui contenuto “non a caso” è andata al di fuori dei contenuti della Chiesa, perché “la parola di Francesco non usa luoghi comuni, né vaghe generalizzazioni”.

Monsignor Chica Arellano sottolinea poi che le preoccupazioni per l’ambiente “richiedono provvedimenti che a volte sono pesanti, perché restringono tutta una serie di comodità, piuttosto superflue, che si sono convertite in nuove schiavitù, specialmente per i cittadini dei Paesi più sviluppati”.

L’Osservatore nota che l’invito di Papa Francesco alla sobrietà “non è disprezzo dei beni, ma piuttosto una prima valorizzazione dell’amore per Dio e per il prossimo, che va al di sopra dei beni materiali”. Il ritorno alla semplicità, aggiunge monsignor Chica Arellano, ci permette di “ritornare a valorizzare le cose piccole, e apprezzare le possibilità che ci offre la vita”.

Per monsignor Chica Arellano, in sintesi, la Laudato Si è “una autentica summa ecologica da cui estrarre idee per aguzzare l’orecchio e ascolare il rumore di una terra che geme”.

Un nuovo nunzio per il Kenya

L’arcivescovo Hubertus van Megen è il nuovo nunzio del Kenya. Prende il posto dell’arcivescovo Charles Daniel Balvo, nominato lo scorso 21 settembre nunzio apostolico in Repubblica Ceca.

Classe 1961, olandese, van Megen è sacerdote dal 1987. È stato segretario della nunziatura in Somalia, Brasile, Israele e Slovacchia, poi ha lavorato nella rappresentanza della Santa Sede presso l’ONU a Ginevra, e dal 2010 ha servito come incaricato di affari in Malawi.

L’8 marzo 2014, Papa Francesco lo ha nominato nunzio apostolico in Sudan, cui ha unito l’incarico di nunzio apostolico in Eritrea il 7 giugno 2014.

Va ora ad occupare la nunziatura del Kenya, cui significativamente non è stata unita la carica di nunzio in Sudan del Sud: la Santa Sede sta aprendo una nunziatura nel Paese, a testimoniare una particolare vicinanza di Papa Francesco, che avrebbe anche voluto fare un viaggio lì.

La nunziatura in Kenya è la filiazione della delegazione apostolica dell’Africa, che Pio XI istituì a Mombasa l’11 gennaio 1930, con giurisdizione sulle missioni cattoliche africane che dipendevano da Propaganda Fide, con l’eccessione del Sudafrica, del Congo Belga, dell’Egitto e dell’Abissinia (Eritrea ed Etiopi). Il 2 gennaio 1947, la delegazione apostolica è stata rinominata Delegazione apostolica dell’Africa britannica Occidentale e Orientale, il 3 ottobre 1959 prese il nome di Delegazione apostolica dell’Africa Orientale, e il 27 ottobre, con il breve Quantum Utilitas, Paolo VI istituì la nunziatura apostolica del Kenya, il cui responsabile ebbe il titolo di pro-nunzio fino al 1996, e poi quello di nunzio apostolico. Dal 2013 ad oggi, il nunzio in Kenya ha avuto anche la carica di nunzio del Sudan del Sud.

L’ambasciata di Palestina presso la Santa Sede dopo la visita di Papa Francesco ad Abu Dhabi

Dopo la visita di Papa Francesco ad Abu Dhabi, conclusa con la firma di una dichiarazione congiunta con al Azhar sulla Fraternità Umana per la Pace Universale, Issa Kassisieh, ambasciatore di Palestina presso la Santa Sede, ha inviato a Papa Francesco una nota di apprezzamento per “gli sforzi di Papa Francesco per entrare in collegamento con le nazioni del mondo arabo e musulmano”.

Nella missiva, l’ambasciatore ha anche detto di sapere che il Papa ha a cuore allo stesso modo la questione palestinese, sottolineato che i palestinesi, nella loro difficile situazione, pongono grande fiducia nel Papa, e denunciato che “il popolo palestinese vive da decenni sotto l’oppressione imposta dallo Stato di Israele,” e notando che “tutto quello che desideriamo, come popolo e Stato, è di avere il permesso di esistere”.

La Santa Sede ha sempre sostenuto l’opzione dei due Stati come risoluzione del conflitto israelo – palestinese, posizione che ha reiterato più volte anche a seguito della decisione del presidente USA Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele spostandovi gli edifici dell’ambasciata degli Stati Uniti.

Un anno fa, il 16 febbraio 2018, Ryadh al Maliki, ministro degli Esteri di Palestina, è stato a colloquio in Vaticano con il Cardinale Pietro Parolin e con il “ministro degli Esteri vaticano” Gallagher, per chiedere alla Santa Sede di organizzare una conferenza su Gerusalemme.

Venezuela: la posizione della Santa Sede

Una delegazione dell’autoproclamato presidente ad interim del Venezuela Juan Guaidò è stata ricevuta in Segreteria di Stato lo scorso 11 febbraio. La delegazione, a Roma per incontri con il governo italiano, è stata ricevuta, secondo varie fonti, dall’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato e venezuelano. L’incontro è da considerare un atto di interesse per la sua nazione da parte del sostituto. La Santa Sede, come è noto, non ha intenzione di rompere le relazioni diplomatiche con il Venezuela.

E però la posizione della Santa Sede è chiara. All’ultima richiesta di mediazione di Maduro ha risposto Papa Francesco, in una lettera diffusa da alcuni organi di stampa, che ha indirizzato lo scorso febbraio la risposta al “Signor Maduro”. Non chiamando Maduro “presidente”, ha di fatto sostenuto la linea dei vescovi, che hanno considerato ul suo nuovo mandato come illegittimo.

Nella lettera, il Papa ha ricordato anche l’impegno della Santa Sede, le quattro condizioni per la pace dettate dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano (apertura del canale umanitario; libere elezioni; ricostituzione dell’assemblea costituente; liberazione dei prigionieri politici), la mediazione di Santo Domingo cui il Papa aveva inviato l’arcivescovo Claudio Maria Celli come suo inviato, dove “purtroppo, quanto è stato concordato nelle riunioni non è stato seguito da gesti concreti per realizzare gli accordi”. Il 15 febbraio, l’arcivescovo Celli è stato ricevuto in udienza da Papa Francesco.