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Diplomazia pontificia, dalla Siria all’Iraq, occhi sul Medio Oriente

La lettera di Papa Francesco ad Assad ha causato reazioni miste, mentre in Iraq già si comincia a pensare al viaggio di Papa Francesco nel 2020

Bandiera del Vaticano | La bandiera vaticana | Andreas Dueren / CNA Bandiera del Vaticano | La bandiera vaticana | Andreas Dueren / CNA

La lettera inviata da Papa Francesco al presidente siriano Assad per tramite del Cardinale Peter Turkson ha causato reazioni miste. Da una parte c’è l’apprezzamento per l’apertura di un canale politico-diplomatico, dall’altra c’è la necessità di meglio definire la magmatica situazione siriana, e in particolare quello che sta succedendo ad Idlib. Il Cardinale Parolin, segretario di Stato vaticano, ha chiarito alcuni aspetti della posizione della Santa Sede.

La scorsa settimana, due incontri in Segreteria di Stato hanno avuto un particolare significato: quello dell’ambasciatore di Iraq presso la Santa Sede con il “viceministro degli Esteri” vaticano, durante il quale si è discusso anche della possibile visita del Papa nel 2020; e quelli di John Bolton, consulente per la sicurezza degli Stati Uniti, con il “ministro degli Esteri” vaticano per discutere della situazione in Venezuela.

La questione siriana

I contenuti della lettera che Papa Francesco ha inviato al presidente siriano Bashar al Assad non sono stati resi noti. Ma il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha voluto mettere in chiaro che “la grande preoccupazione della Santa Sede è sempre umanitaria. Noi ci muoviamo fondamentalmente su quel piano, in quella visione e in quella prospettiva”.

Il Cardinale ha parlato a margine della presentazione del bilancio sociale e scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, avvenuta lo scorso 24 luglio. Il Segretario di Stato vaticano ha ricordato che la Santa Sede “ha raccolto tante voci di inquietudine su questa possibile emergenza umanitaria che sarebbe capitata nella provincia di Idlib, dove si stavano raccogliendo e si sono raccolti i ribelli. Noi volevamo intervenire in quel senso e non si poteva farlo se non passando attraverso chi attualmente detiene ancora l’autorità del potere in Siria”.

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Con l’occasione, la lettera è andata anche a toccare il tema umanitario e altre questioni che sono a cuore per la Santa Sede.

Il Cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, ha sottolineato che “la lettera ha un valore umanitario e la vicinanza alle sofferenze della popolazione civile, in particolare della popolazione della provincia di Idlib. Se i combattimenti non cessano, c'è il rischio di una catastrofe umanitaria di proporzioni enormi, la regione ha circa 3.000 civili ”.

La lettera ha raccolto reazioni miste sul terreno. Da una parte, c’è apprezzamento per il dialogo avviato dalla Santa Sede con chi detiene l’autorità, dall’altra c’è la preoccupazione per la situazione ad Idlib, dove si sono concentrati i jihadisti che erano stati catturati dall’esercito siriano e avevano rifiutato di fare ritorno a casa. Si lamenta, soprattutto, la mancanza di una parola a favore dei cristiani, soggetti alle violenze dei jihadisti nella città. La scorsa settimana, una professoressa cristiana è stata violentata e alla fine lapidata.

La situazione di conflitto in Siria è preoccupante. Il Cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico, ha promosso, tra le altre cose, il progetto “Ospedali aperti”, che mira a tenere aperti tre ospedali in Siria per curare il sempre preoccupante numero di feriti.

Il progetto del Cardinale si è aggiunto al lavoro incessante fatto sul territorio dalle Congregazioni religiose, come Gesuiti, Francescani, Salesiani e di tutti gli istituti femminili. Questi istituti religiosi hanno lavorato da sempre, a tutti i livelli, facendo una serie di servizi che va dalla raccolta di medicine alla cura dei malati di cancro al parto delle donne. 

L’ambasciatore di Iraq presso la Santa Sede incontra monsignor Camilleri

More in Mondo

Amal Moussa, ambasciatore di Iraq presso la Santa Sede, si è incontrata lo scorso 21 luglio con monsignor Antoine Camilleri, sottosegretario vaticano per i rapporti con gli Stati. Secondo un comunicato diffuso dal ministero degli Esteri iracheno, l’ambasciatore ha espresso a monsignor Camilleri la gioia del popolo iracheno per l’intenzione di Papa Francesco di visitare l’Iraq il prossimo anno. L’ambasciatore ha detto che la visita sarà di “grande supporto per i cristiani affinché restino nella nazione” e che incoraggerà “il pellegrinaggio dei cristiani alla città natale del profeta Abramo nella storica città di Ur”.

Le due parti hanno discusso anche del programma dell’eventuale visita di Papa Francesco, e monsignor Camilleri ha segnalato i posti che il Santo Padre vorrebbe visitare, per cominciare le preparazioni.

Incontro Bolton – Gallagher sul Venezuela

Lo scorso 19 luglio, John Bolton, assessore di sicurezza della Casa Bianca, si è incontrato con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati che era negli Stati Uniti per il ministeriale sulla libertà religiosa. Temi dell’incontro tra Bolton e Gallagher sono stati la situazione in Venezuela e quella in Nicaragua. Ne ha dato notizia lo stesso Bolton, dal suo account twitter ufficiale.

La Santa Sede sulla questione palestinese

Periodicamente, presso il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite discute della situazione in Medio Oriente, inclusa la questione palestinese. L’ultimo incontro è avvenuto il 23 luglio.

Nel suo intervento, la Santa Sede ha messo in luce la costante violenza che avviene a Gaza e nella West Bank, nonché la sfiducia, la pericolosa retorica e l’ideologia estremista che mette in pericolo sia israeliani che palestinesi.

La Santa Sede ha sottolineato che c’è bisogno di agire, specialmente prendendosi cura dei rifugiati palestinesi ma anche incoraggiando entrambe le parti a tornare ai negoziati.

La Santa Sede ha toccato anche la questione umanitaria in Siria, nonché la situazione in Yemen, che peggiora sempre più. Lo scorso 15 luglio, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha emesso la risoluzione 2481, che rafforza l’implementazione del cessate il fuoco nello Yemen e chiede di dare accesso ai viveri necessari. La Santa Sede già è intervenuta più volte sulla questione dello Yemen, specialmente per far cessare alla carestia provocata dalla guerra. Ad inizio anno, sembrava che si fossero raggiunti accordi di pace che invece non hanno portato alla fine del conflitto.

Un altro rapporto sulla libertà religiosa certifica la persecuzione dei cristiani

Dopo i rapporti di Aiuto alla Chiesa che Soffre, Open Doors e del governo britannico, anche il Pew Research Center indaga sulla libertà religiosa con un rapporto pubblicato la scorsa settimana, che certifica come cristiani e musulmani sono perseguitati in più nazioni che qualunque altro gruppo religioso.

Il rapporto del Pew Forum è intitolato “Uno sguardo da vicino a come le Restrizioni Religiose sono cresciute nel mondo”. È uno studio comparativo di 10 anni (dal 2007 al 2017) di restrizioni in 198 nazioni.

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I cristiani sono il gruppo religioso più perseguitato, perché sono messi sotto attacco in 143 nazioni. I musulmani sono perseguitati in 140 nazioni, gli ebrei in 87 nazioni.

Le regioni dove cristiani e musulmani sono più perseguitati sono Medio Oriente e Nord Africa, mentre la seconda regione in termini di persecuzione anti-cristiana è quella dell’Asia Pacifico. In dieci anni, le nazioni molto popolate che impongono restrizioni alla religione “alte” o “molto alte” sono cresciute: erano un gruppo di 40, ora sono 52. Ma anche i Paesi cosiddetti democratici sperimentano una crescita di restrizioni: l’Europa ha sperimentato la più grande crescita di restrizioni religiose, che sono raddoppiate nei dieci anni di studio. In particolare, lo studio del Pew Forum nota che “nazioni come la Spagna hanno ristretto le prediche pubbliche e il proselitismo di molti gruppi religioni”.

L’America è il continente in cui ci sono meno restrizioni, eppure anche lì le restrizioni del governo sulle attività religiose sono in crescita: le nazioni americane con restrizioni sulle attività religiosi sono ora 28, mentre erano 16 all’inizio del decennio preso in esame.

Le nazioni con il più alto livello di restrizioni sono Cina, Iran, Russia, Egitto ed Indonesia, mentre quelle con il minor numero di restrizioni sono Sudafrica, Giappone, Filippine, Brasile e Core del Sud. In sole 26 nazioni – secondo il rapporto – tutti i gruppi religiosi sono trattati equamente.

La Conferenza Episcopale del Congo ricevuta dal presidente dell’Uganda

Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda ha ricevuto il 23 luglio l’arcivescovo Marcel Utembi, di Kisangani, presidente della Conferenza Episcopale del Congo, con i due segretari. L’incontro è avvenuto a margine della partecipazione alla 18esima assemblea plenaria del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM), che sta festeggiando i suoi cinquanta anni.

Il presidente ha voluto questo incontro perché convinto, si legge in un comunicato, che l’impegno della Chiesa per la riconciliazione e contro l’insicurezza nella Repubblica Democratica del Congo possa essere di beneficio con i Paesi vicini e dare stabilità alla regione dei Grandi Laghi. Il colloquio ha riguardato appunto le possibili soluzioni, mentre la Conferenza Episcopale rende noto di aver comunicato preoccupazione per la presenza di ribelli stranieri nel territorio, tra i quali la sigla ugandese ADF-NALU. Da parte sua, il presidente Museveni si è detto determinato a collaborare con le autorità della Repubblica Democratica del Congo per lo smantellamento di questi gruppi armati e ha sottolineato l’importanza di coinvolgere la popolazione in questa lotta.

L’arcivescovo Utembi ha dato, da parte sua, la disponibilità ad accompagnare con le Chiese sorelle come autorità morale gli Stati interessati nella lotta contro l’insicurezza nella subregione dei Grandi Laghi.

Il nunzio in Georgia incontra il presidente del Parlamento georgiano

Dopo l’incontro della scorsa settimana con il primo ministro armeno, l’arcivescovo José Avelino Bettencourt, nunzio apostolico in Armenia e Georgia, ha incontrato il 25 luglio Archil Talakvadze, presidente del Parlamento di Tbilisi. L’incontro è stato l’occasione per discutere le relazioni tra Georgia e Vaticano. La Santa Sede, ha detto l’arcivescovo Bettencourt, supporta con forza la sovranità e l’integrità territoriale della Georgia.

Durante i colloqui, si è parlato anche dei particolari meriti della popolazione cattolica in Georgia nello sviluppo della nazione. Le parti hanno discusso la necessità di scambiare visite di alto livello e hanno espresso impegno per la cooperazione.

Papa Francesco ha visitato la Georgia nell’ottobre 2016. La popolazione cattolica in Georgia è una minoranza molto vitale.Termina il mandato dell’ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede

Tatyana Izhevka è stata dimessa dal suo incarico di ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede: lo ha deciso il neo-presidente Volodymyr Zelenzky, con il decreto 523/2019.

Si tratta di un normale avvicendamento di diplomatici con la nuova presidenza. Nel servizio diplomatico dal 1990, Izhevska è ambasciatore ucraino presso la Santa Sede dal 2007. Nel 2015, è stata insignita della medaglia del Metropolita Andriy Shetptytsky dall’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. L’arcivescovo maggiore ha riconosciuto il lavoro fatto dall’ambasciatore perché la Santa Sede fosse a conoscenza dei fatti riguardo il conflitto in Ucraina. Ultimo successo diplomatico, la menzione della “guerra” in Ucraina nel comunicato finale dell’incontro di Papa Francesco con sinodo e metropoliti della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, avvenuto all’inizio di luglio.

Il nuovo nunzio in Croazia è l’arcivescovo Giorgio Lingua

Lo scorso 22 luglio, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Giorgio Lingua come nunzio apostolico in Croazia. Rimpiazza l’arcivescovo Giuseppe Pinto, che aveva lasciato anticipatamente l’incarico lo scorso aprile per ragioni di salute.

Nato nel 1960, piemontese di origine, l’arcivescovo Lingua lascia l’incarico di nunzio apostolico a Cuba preso nel 2015. Aveva, in quell’incarico, seguito e curato in prima persona la visita del Santo Padre all’Avana.

Lingua è nel servizio diplomatico vaticano dal 1992, quando era uno dei più giovani. Ha servito nelle delegazioni della Santa Sede negli Stati Uniti, in Costa D’Avorio, in Serbia. È stato nunzio in Giordania e in Iraq.

Sud Sudan: l’arcivescovo Gallagher riceve una delegazione di Sant’Egidio

Lo scorso 25 luglio, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha ricevuto una delegazione del National Pre-Transitional Committee, a Roma su invito della Comunità di Sant’Egidio e del Sout Sudan Council of Churches per colloqui sul processo di riconciliazione nazionale nel Paese.

Papa Francesco ha ricevuto lo scorso aprile i leader delle autorità politiche e religiose sud-sudanesi, guidando un incontro di preghiera, e sostiene lo sviluppo del processo di pace. Il comitato transnazionale è composto da ministri del governo del Sud Sudan e da rappresentanti di tutte le forze politiche di opposizione.

La Santa Sede segue con attenzione l’evolversi della situazione in Sud Sudan, dove ha stabilito una sede di nunziatura guidata da un incaricato di affari. La nunziatura in Sud Sudan è legata alla nunziatura in Kenya.

Migranti e rifugiati, l’appello dell’ICMC al governo degli Stati Uniti

La International Catholic Migration Commission (ICMC) ha chiesto lo scorso 19 luglio all’amministrazione degli Stati Uniti di conservare la storia di accoglienza e solidarietà della nazione verso i rifugiati più vulnerabili sostenendo il programma di assistenza dei rifugiati per la collocazione.

L’ICMC, che raggruppa le commissioni migranti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo, fornisce un grande servizio proprio nell’aiutare i migranti a ricollocarsi, come partner dello US Refugees Assistance Program.

L’appello dell’organizzazione fa seguito a recenti notizie che sostengono come il governo USA stia considerando una drastica riduzione del numero di rifugiati da ammettere al programma, tagliando il numero quasi a zero per l’anno 2020.

Monsignor Bob Vitillo, segretario generale dell’ICMC, ha sottolineato che “dalla nostra fondazione nel 1951, l’ICMC ha avuto il privilegio di restaurare la dignità e ispirare cambiamento per centinaia di migliaia di rifugiati facilitandone la ricollocazione negli Stati Uniti e in molte altre nazioni”.

Tra i rifugiati, ci sono “minoranze etniche e religiose e vittime di tortura e violenza di genere, impossibilitati e tornare nelle loro case di origine, che spesso sperimentano una mancanza di adeguata protezione nelle nazioni dove hanno per primi cercato rifugio”.

Sono molti i rifugiati che hanno atteso per anni, in precarie condizioni, di trovare collocamento, e oggi ci sono circa 26 milioni di rifugiati che hanno lasciato la guerra, persecuzione e violenza e solo il 7 per cento delle richieste di ricollocamento è stata soddisfatta.

La situazione della Porta di Giaffa

Tre lettere sono state inviate in Vaticano dal ministero degli Esteri e dalla municipalità di Betlemme riguardo la questione della Porta di Giaffa, dove un gruppo ebraico ha acquisito una serie di proprietà dalla Chiesa greco ortodossa. La Chiesa ortodossa reclama che la vendita non sia stata regolare, ma le sentenze del tribunale hanno dato ragione agli acquirenti. Sono scese in campo anche le tredici chiese cristiane di Terrasanta.

In una lettera inviata lo scorso 16 giugno dal presidente palestinese Mahmod Abbas direttamente a Papa Francesco si sottolinea che “la comunità internazionale non riconosce la giurisdizione di Israele sull’occupata Gerusalemme Est, e questo rende la decisione del tribunale nulla e vuota sotto il profilo dell’ordine internazionale. Il trasferimento di popolazione civile israeliana nel territorio occupato è una chiara violazione della quarta convenzione di Ginevra.”

Secondo Mahmood Abbas, la decisione del tribunale rappresenta una seria minaccia alla presenza cristiana a Gerusalemme, e mette a rischio tutte le Chiese”. Per questo, il presidente palestinese chiede al Papa supporto a “mantenere la presenza cristiana nella città, assicurare la preservazione dello Statu Quo e il mosaico della città e rigettare le misure illegali di Gerusalemme”.

Il 18 luglio, Riad Malki, ministro degli Affari Esteri di Palestina, ha invece inviato una lunga missiva all’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro per i rapporti con gli Stati. Anche in questa lettera, si sottolineava come la comunità internazionale non riconosca la sovranità di Israele sulla città di Gerusalemme, mostra preoccupazione per le azioni della attuale amministrazione USA che destano preoccupazione, come “il riconoscimento unilaterale di Gerusalemme come capitale dello Stato”, e reitera preoccupazione per le sentenze sulla porta di Giaffa, nonché per la decisione dell’Alta Corte di Giustizia di Israele dell’11 giugno 2019, quando è stata respinta una petizione dei residenti di Sur Bahir, cittadina palestinese a Gerusalemme Est, e ora questi abitanti hanno ricevuto una “notifica di intento di demolizione” secondo la quale devono lasciare le loro case entro 30 giorni prima della demolizione.

Il ministro degli Esteri palestinese nota che “non ritenere Israele responsabile per le sue rotture della legge internazionale ha portato grande ingiustizia al popolo palestinese”. È di ieri la decisione dell'Autorità Palestinese di rompere ogni accordo in essere con Israele per via della demolizione. 

Infine, le tre municipalità di Betlemme, Beit Jala e Beit Sabour hanno scritto al Papa lo scorso 19 luglio, sempre sul tema della Porta di Giaffa. “Temiamo – hanno scritto – che il controllo di una organizzazione estremista coloniale sulle nostre proprietà cristiane possa mettere a rischio il mosaico di diversità nel quartiere cristiano e alla fine impedire il nostro accesso ai nostri luoghi santi".

Le tre municipalità hanno anche affrontato la questione del muro di Cremisan, che ha tagliato in due la valle.