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Diplomazia pontificia, dal conflitto in Ucraina al nuovo ambasciatore del Libano

Arcivescovo Maggiore Sviatoslav Shevchuk | L'Arcivescovo Maggiore Sviatoslav Shevchuk parla della libertà religiosa in Ucraina, Ambasciata USA presso la Santa Sede, 13 giugno 2018 | US Embassy to the Holy See Arcivescovo Maggiore Sviatoslav Shevchuk | L'Arcivescovo Maggiore Sviatoslav Shevchuk parla della libertà religiosa in Ucraina, Ambasciata USA presso la Santa Sede, 13 giugno 2018 | US Embassy to the Holy See

Il tema della libertà religiosa in Ucraina è stato oggetto di un incontro a porte chiuse organizzato dall’ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede, e nell’occasione l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ha tenuto un intervento in cui ha sottolineato l’importanza del dialogo e della diplomazia pontificia nel portare luce su situazioni dimenticate, come è appunto il conflitto in Ucraina.

È l’evento più importante della settimana diplomatica, che ha visto anche due interventi della Santa Sede su famiglia e cura degli anziani a Ginevra, e un incontro speciale alle Nazioni Unite sulla crisi israelo palestinese.

 Il conflitto silenzioso dell’Ucraina

L’incontro sulla libertà religiosa in Ucraina si è tenuto all’ambasciata USA presso la Santa Sede lo scorso 13 giugno, ed è il primo di una serie di incontri sul tema promossi dall’ambasciata. L’evento ha avuto un momento a porte chiuse e uno di dialogo con un gruppo ristretto di giornalisti.

Nei suoi saluti iniziali, Callista Gingrich, ambasciatore USA presso la Santa Sede, ha fortemente condannato la situazione in Ucraina, lamentando l’aggressione russa sul territorio ucraino, e sottolineando che la Russia è tra i peggiori violatori di libertà religiosa e diritti umani, e che “non c’è segno che la sua persecuzione di minoranze religiose e missionari stranieri finirà, e quello che è ancora più preoccupante che la repressione non è limitata ai suoi confini”.

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L’Ambasciatore Gingrich ha poi sottolineato che “sono quattro anni che la Russia ha occupato l’Ucraina dell’Est” e tentato di annettere la Crimea, con “atti ingiusti, lanciati con la pretesa di “difendere il popolo russo-parlante”.

L’arcivescovo Maggiore Shevchuk non ha toccato toni politici, ma ha sottolineato che la diplomazia della Santa Sede o legata alla Santa Sede può mettere insieme persone tra le più disparate ed avere effetti, e che la “presenza diplomatica della Santa Sede nel mondo offre una speciale possibilità di condividere le nostre storie, e denunciare a nome del nostro popolo”.

Il capo dei Greco Cattolici di Ucraina ha raccontato la vita sul territorio, lì dove anche le falde acquifere sono inquinati dai test nucleari dei tempi sovietici, mentre ci sono migliaia di bambini sotto diretta esposizione di materiale esplosivo.

L’arcivescovo maggiore Shevchuk ha lamentato il fatto che spesso “il futuro della nostra nazione è discusso senza di noi”, e che i cattolici in Ucraina sono chiamati non solo a pregare per la riconciliazione, ma anche a compiere “azioni per la riconciliazione”, ricordando però che “riconciliazione non significa essere riconciliati dall’aggressore, né di essere riconciliati dalle fake news”.

Il dialogo ecumenico è cruciale per la pace della nazione, secondo l’arcivescovo maggiore, e questo ancora di più oggi che un forte dibattito interno sta dilaniando il mondo ortodosso dopo che due Chiese ortodosse non riconosciute nella sinassi hanno chiesto l’autocefalia, suscitando le preoccupazioni del Patriarcato di Mosca.

Secondo l’arcivescovo maggiore Shevchuk, “naturalmente c’è qualche sorta di competizione tra le Chiese, specialmente quelle che si chiamano ortodosse; naturalmente c’è il rischio di una strumentalizzazione della Chiesa per proposte geopolitiche; naturalmente ci sono anche evidenze che preti ortodossi hanno preso le armi contro l’esercito ucraino. Tuttavia, credo che la consapevolezza che la pace religiosa è un bene comune di tutti stia prevalendo oggi”.

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Certo – ha consentito – “ci sono alcune tensioni interne in ogni Chiesa, ma grazie a Dio abbiamo la pace religiosa attorno a noi”.

Dalle Nazioni Unite di New York: la Santa Sede su Gerusalemme

Presso le Nazioni Unite, c’è una sessione che è chiamata la Decima Sessione Speciale di Emergenza. Fu riunita per la prima volta nell’aprile 1997, per parlare delle azioni di Israele a Gerusalemme Est e nel resto dei territori Palestinesi. La Sessione speciale è stata ripresa il 21 dicembre 2017, per considerare la crisi nella striscia di Gaza.

Lo scorso 13 giugno, si è tenuto il 38esimo incontro plenario della sessione, ed è intervenuta anche la Santa Sede. L’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite, ha lodato gli sforzi degli Stati membri di proteggere la popolazione civile palestinese, evitare ulteriore violenza e promuovere negoziati tra gli Israeliani e i Palestinesi. Quindi, ha ricordato che la Quarta Convenzione di Ginevra ha messo la protezione di civili al cuore della legge umanitaria internazionale, e per questo utilizzare come obiettivi civili e infrastrutture civili come tattica di conflitto deve essere evitato. L’arcivescovo Auza ha reiterato la richiesta di rispettare lo storico “status quo” di Gerusalemme, come la Santa Sede già aveva fatto nella 37esima sessione dello scorso dicembre. Questo per “preservare il carattere unico di Gerusalemme e creare le condizioni per dialogo e riconciliazione verso la pace nella regione”.

Da Ginevra: la Santa Sede chiede di proteggere la famiglia

A Ginevra, si è tenuto l’11 giugno un seminario interessione di un giorno sul ruolo della famiglia nel supportare la protezione e la promozione dei diritti umani delle persone più anziane.

L’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, è intervenuto in due panel.

In uno, intitolato “Verso una maggiore protezione della famiglia e dei diritti umani delle persone più anziane”, l’arcivescovo Jurkovic ha sottolineato che “quello che le persone più anziane possono dare e ricevere dall’ambiente famigliare è al centro della vita di una società in crescita in cui i diritti umani sono esaltati”, sebbene “troppo spesso vediamo che le basi antropologiche della famiglia, la sua costituzione basata sul pieno e libero mutuo impegno di un uomo e una donna, le sue dinamiche intergenerazionali e la sua finalità di generare, crescere e curare la vita sia costantemente minacciato, se non negato”.

Questo perché viene promossa l’idea di una famiglia che non è costruita su ragione umana e amore, ma su bisogni psicologici, cosa che facilmente può diventare una società egoistica, di certo non l’ambiente in cui la vita viene accolta e protetta”.

Per questo, la Santa Sede chiede di “proteggere l’identità della famiglia”, perché è quella, in molti modi, la prima scuola di come essere umani e il centro e il cuore di una civilizzazione dell’amore”.

In un altro panel su “Ruolo della Famiglia nel fornire cura e supporto a lungo termine alle persone anziane”, l’arcivescovo Jurkovic ha sottolineato che “una società sana e bilanciata ha il compito di assicurare e permettere amienti che supportino le persone anziane quando queste a loro volta diventano i primi agenti di sviluppo per tutti.

E per questo – aggiunge – il ruolo delle famiglie è “importantissimo”, e si affianca ai servizi forniti dai governi, dato che “è attraverso le relazioni famigliari che la solidarietà è appresa e goduta”.

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Insomma, si deve “prendere seriamente in considerazione il contributo delle famiglie come fornitori di cure”, mentre i governi sono chiamati a “considerare di supportare le famiglie che si prendono cura dei loro anziani attraverso, tra le altre cose, di incentivi economici, considerando politiche fiscali e lavorative che prendono in considerazione il beneficio che la società deriva completamente dall’assistenza offerta alle persone anziane dalle loro famiglie”.

La situazione del Venezuela in Vaticano

II Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha incontrato lo scorso 11 giugno i deputati venezuelani Stalin Gonzalez e Juan Manuel Olivares. La notizia dell’incontro è stata data via Twitter da Oliveres, che ha sottolineato come l’incontro ha avuto luogo per parlare “della crisi umanitaria in Venezuela”.

Il Cardinale Parolin è stato nunzio in Venezuela dal 2009 al 2013, prima di essere nominato Segretario di Stato vaticano. Non è la prima volta che incontra in maniera riservata alcuni deputati venezuelani, per rimanere aggiornato sulla crisi nel Paese, che il Vaticano segue con attenzione: Papa Francesco ha fatto l’ultimo appello pubblico per il Venzuela al termine dell’Angelus del 20 maggio, prima di annunciare il Concistoro che si terrà il prossimo 28 giugno.

Il nunzio negli Stati Uniti ai vescovi statunitensi

L’assemblea generale dei vescovi degli Stati Uniti si è aperta lo scorso 13 giugno con un discorso dell’arcivescovo Christophe Pierre, nunzio negli Stati Uniti. Questi ha sottolineato l’importanza della dimensione dell’ascolto, e in particolare dell’ascolto dei giovani, della popolazione ispanica e del Santo Padre.

In particolare, l’arcivescovo Pierre ha suggerito che i vescovi debbano “ascoltare e offrire la loro esperienza e saggezza, attraendo i giovani attraverso la nostra fedeltà e la testimonianza delle nostre vite. C’è bisogno che aderiamo più fedelmente alla tradizione, in modo che i giovani possano, attraverso l’esperienza e l’incontro con noi, testare la coerenza della fede cattolica”.

Ma c’è da ascoltare anche “le popolazioni emergenti ispaniche e latino americane” ha detto l’arcivescovo Pierre, lodando il processo Encuentro che ha aiutato a identificare leaders nella comunità ispanica.

Forum Encuentro

Apertosi con un messaggio di Papa Francesco e con il discorso del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, il Forum Encuentro che si è tenuto a Casina Pio IV, nel cuore dei Giardini Vaticani, ha rappresentato un momento di confronto tra Santa Sede e Messico, considerando la particolare attenzione che la Santa Sede ha sviluppato con forza, e che guarda molto anche alla situazione dei migranti che attraversano il confine tra Messico e Stati Uniti.

Luis Videgaray, ministro degli Affari Esteri del Messico, ha colto l’occasione per criticare le “politiche anti migratorie degli Stati Uniti”, sottolineando come la relazione tra il Suo Paese e l’America sia “tra le più importanti per le politiche migratorie”.

Finlandia e Georgia, i nunzi presentano le credenziali

Lo scorso 23 aprile, l’arcivescovo James Patrick Green, nunzio apostolico in Scandinavia dal 7 aprile 2017, ha presentato le sue credenziali al governo di Finlandia.

Erano moltissimi gli ambasciatori chiamati a presentare le credenziali, e dunque è stata predisposta, per la prima volta nella storia del cerimoniale della Finlandia, un cerimonia collettiva di presentazione delle lettere credenziali al presidente Sauli Niinisto. Dopo la cerimonia collettiva, il capo dello Stato ha voluto ricevere singolarmente ogni ambasciatore.

Lo scorso 8 giugno, l’arcivescovo José Avelino Bettencourt, già a capo del protocollo vaticano, ha presentato le sue lettere credenziali al presidente di Georgia Giorgi Margvelashvili.

Tbilisi, capitale della Georgia, è sede della nunziatura cui è stato destinato l’arcivescovo Bettencourt. Ora dovrà presentare le lettere credenziali al presidente di Armenia, altra nazione presso cui il nunzio di fresca nomina rappresenta Papa Francesco

L’arcivescovo Bettencourt non è nunzio anche in Azerbaijan, come i predecessori che si vedevano assegnate tutte e tre le nazioni caucasiche: a causa delle tensioni tra Armenia e Azerbaijan, Papa Francesco ha invece nominato nunzio in Azerbaijan l’arcivescovo Paul Fitzpatrick Russell, che assomma questo incarico a quello di nunzio in Turchia e in Turkmenistan.

Nuovo ambasciatore del Libano presso la Santa Sede

Il Libano ha scelto come nuovo ambasciatore presso la Santa Sede l’ex deputato Farid el-Khazen, mentre per il 21 giugno è atteso a Beirut il nuovo nunzio apostolico, l’arcivescovo Joseph Spiteri, nominato lo scorso 7 marzo nunzio apostolico in Libano.

El-Khazem sostituisce il precedente ambasciatore, Antonio Raymond Andary

scelto anche per il suo legame con l’Argentina. Questi si è congedato dal Papa l’11 maggio, dopo aver presentato le sue lettere credenziali il 5 gennaio 2018.

Andary è andato in pensione, dopo aver risolto con la sua presenza una situazione spinosa per il Libano. Ad ottobre 2017, la Santa Sede aveva rifiutato il gradimento a Johnny Ibrahim, che era stato scelto come ambasciatore di Beirut presso la Santa Sede, perché legato alla massoneria francese.

Nuovo nunzio apostolico in Uruguay

L’arcivescovo Martin Krebs è stato nominato il 16 giugno da Papa Francesco nunzio apostolico in Uruguay. Viene dall’incarico di nunzio in Nuova Zelanda, Fiji, Isole Cook, Isole Marshall, Kiribati, Nauru, Palau, Samoa, Stati Federati di Micronesia, Vanuatu, Tonga e di Delegato apostolico nell’Oceano Pacifico.

Tedesco di Essen, 61 anni, l’arcivescovo Krebs è stato ordinato sacerdote nel 1983, ed è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1991 dopo aver conseguito il dottorato in diritto canonico.

Prima di diventare “ambasciatore del Papa”, ha lavorato nelle nunziature di Burundi, Giappone, Austria, Repubblica Ceca, Unione Europea e Stati Uniti d’America.

Nel 2008, è stato nominato nunzio apostolico in Guinea e Mali, e ordinato arcivescovo nel novembre 2008. Era in Guinea nel 2009, quando, nonostante gli appelli della Chiesa per la calma, una dimostrazione contro la giunta militare che governava il Paese divenne un bagno di sangue che portò alla morte di 128 persone.

Nel 2013, era stato nominato nunzio in Nuova Zelanda.

Succede all’arcivescovo George Panikulam, che era stato ambasciatore del Papa in Uruguay dal 2014 e che è andato in pensione lo scorso anno, al compimento dei 75 anni di età.

La nunziatura apostolica in Uruguay è stata istituita il 10 novembre 1939 da Pio XII con il breve Ob animorum curam.

I vescovi dell’Uruguay sono stati in visita ad limina da Papa Francesco il 16 novembre 2017. Tra i principali problemi, quello di una estrema secolarizzazione. Il cattolicesimo, presente dal XVII secolo, è stato religione di Stato in Uruguay dal 1830 al 1917. Poi, però, l’ateismo e la secolarizzazione, unito ad una forte presenza della massoneria, hanno creato la difficile situazione attuale.

L’Uruguay, infatti, è il solo Paese in America Latina in cui molti non sanno che il 25 dicembre si festeggia il Natale di Gesù Cristo, perché quel giorno è segnato come “La fiesta de los ninos” nei calendari ufficiali, mentre la Pasqua è “La fiesta del Turismo”, e l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione, è celebrato come “El dia de la Playa”.

Dal 1919 il governo ha abolito i nomi religiosi di città e paesi: Santa Isabel è diventata Paso de los Toros, San José è “Primero de Mayo”; nei giornali Dio si scrive dio, con la minuscola. La Costituzione proibisce tutti i segni religiosi in luogo pubblico, la Chiesa è stata pesantemente penalizzata e oggi la maggioranza della popolazione è senza assistenza religiosa, specie nelle campagne, per mancanza di sacerdoti.