Il documento di Abu Dhabi era stato firmato da Papa Francesco e dal grande imam di Al Azhar Ahmed al Tayyb, ed era parte di un percorso di avvicinamento della Santa Sede al mondo sunnita e di un lavoro portato avanti dall’Islam sunnita su vari temi, come quello della cittadinanza.
Secondo il comunicato che ha lanciato il Comitato, la dichiarazione di Abu Dhabi è “una dichiarazione comune d’impegno a unire l’umanità e lavorare per la pace nel mondo al fine di assicurare che le generazioni future possano vivere in un clima di rispetto reciproco e di sana convivenza.
Il comitato ha l’obiettivo di sviluppare iniziative che mettano in pratica gli obiettivi del Documento della Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune, promuovendo incontri a tutti i livelli tra leader religiosi e capi di organizzazioni internazionali. Il comitato è chiamato anche a supervisionare il museo memoriale della visita di Papa Francesco e del Grande Imam di al Azhar ad Abu Dhabi, la “Abrahamic Family House”, e ha tra i suoi compiti quello di fare lobbying a livello nazionale per l’adozione di provvedimenti nazionali all’insegna della tolleranza.
Per parte cattolica, membri del comitato sono l’arcivescovo Miguel Angel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ;e monsignor Yoannis Lahzi Gaid, segretario personale di Papa Francesco. Gli altri membri sono
Mohamed Hussein Mahrasawi, rettore dell’Università Al-Azhar; il giudice Mohamed Mahmoud Abdel Salam, consigliere del Grande Imam; Mohamed Khalifa Al Mubarak, presidente del Dipartimento della Cultura e del Turismo di Abu Dhabi; Sultan Faisal Al Rumaithi, segretario generale del Consiglio Musulmano degli anziani; e lo scrittore Yasser Hareb Al Muhairi.
Il documento di Abu Dhabi adottato a Mindanao
I leader religiosi del Mindanao, regione delle Filippine a maggioranza musulmana dove da tempo si vive un conflitto, hanno adottato la scorsa settimana il documento di Abu Dhabi. Tra coloro che più si sono impegnati per la riconciliazione, il Cardinale Orlando Quevedo, creato da Papa Francesco nel concistoro del 22 febbraio 2014.
Il documento è stato adottato al termine di un incontro a Davao tra leaders cristiani e musulmani, che ha avuto luogo alla vigilia degli attacchi bomba mossi nelle province di Sulu e Zamboanga.
Joel Tabora, gesuita e presidente della Università di Davao, ha definito il documento “notevole” e messo in luce la lunga “storia di conflitto, violenza e guerra” tra musulmani e cristiani “nonostante il fatto che entrambi credo in un solo Dio e nella compassione”.
Il consigliere per la pace del governo Carlito Galvez ha invece commentato che il documento “potrebbe aiutare ad evitare il ricorso al conflitto armato e la diffusione della violenza estrema”.
L’incontro aveva come tema “Lavorare e camminare insieme per la guarigione e la riconciliazione”. L’obiettivo era quello di raccogliere suggerimenti su come affrontare problemi di pace e sicurezza”.
Padre Tabora ha notato che il documento è stato firmato proprio mentre si firmava un accordo di pace tra il governo delle Filippine e i ribelli Moro a Mindanao, evento che è stato “uno storico sì alla pace tra cristiani e musulmani a Mindanao e nelle Filippine, dopo una inimicizia durata secoli”.
Il Fronte di Liberazione Islamico Moro e il governo avevano raggiunto un accordo di pace nel 2014, dopo quaranta anni di guerra, e a gennaio l’accordo era stato ratificato con l’approvazione della Bagsamoro Organic Law, che dà alla regione maggiore autonomia, più potere e risorse e un territorio più grande da amministrare”.
Tra le dichiarazioni più apprezzate del documento di Abu Dhabi, la richiesta di sviluppare una cultura del dialogo.
Verso una visita del Cardinale Parolin in Vietnam
C’è stato anche un incontro con Papa Francesco nella Domus Sanctae Marthae, segno che c’è davvero l’intenzione di stringere i rapporti tra Vietnam e Santa Sede. L’VIII incontro bilaterale Vietnam e Santa Sede ha puntato dritto verso una visita del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, nel Paese. La visita sarebbe molto importante, perché potrebbe portare alla definizione dei rapporti bilaterali e quindi ad uno scambio di ambasciatori. Nell’ultimo incontro Vietnam – Santa Sede si era appunto definita la possibilità di avere un rappresentante permanente ad Hanoi.
Al momento, la Santa Sede ha dal 2011 un rappresentante non residente in Vietnam, che è il nunzio a Singapore. Dal 21 maggio 2018, l’arcivescovo Marek Zalewski ricopre l’incarico, e la sua nomina è stata particolarmente bene accolta dall’episcopato vietnamita. L’arcivescovo Zalewski ha anche effettuato una visita pastorale in Vietnam.
Il gruppo di lavoro Santa Sede – Vietnam si riunisce dal 2009 alternativamente in Vietnam e Santa Sede. Vietnam e Santa Sede hanno deciso di mantenere il dialogo e di incrementare lo scambio di delegazioni di alto livello.
La delegazione del Vietnam era guidata dal vice primo ministro To Ahn Yung, quella vaticana da monsignor Antoine Camilleri, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati.
Entrambe le parti hanno riconosciuto lo sviluppo delle relazioni bilaterali negli ultimi anni e hanno identificato mezzi per migliorare la cooperazione, tra le quali il perfezionamento dell’accordo su un inviato speciale permanente vaticano in Vietnam e del suo ufficio.
Ahn Dung ha affermato che il governo lavora per garantire la libertà religiosa, mentre il Vaticano ha apprezzato l’appoggio del governo vietnamita alla Chiesa Cattolica nel Paese.
Uno dei nodi stringenti è quello della libertà religiosa. La nuova legge su credi e religioni, in effetto dall’1 gennaio 2018, ha aspetti positivi e negativi. Gli aspetti positivi riguardano lo status legale delle organizzazioni religiose. Tra gli aspetti negativi, la Chiesa è messa al di fuori dal sistema scolastico nazionale e da quello educativo, e include molti articoli di regolamento per controllare molti tipi di attività della Chiesa. La legge garantisce la libertà di credo e di religione a tutta la popolazione, e garantiva formalmente libertà di religione, anche se poi limitazioni erano state sperimentate dalla comunità cattolica sin dal 1976 da parte del regime che ha preso il potere invadendo il Sud e riunificando il Paese.
Si guarda al Vietnam anche per il modello delle ordinazioni episcopali, e in particolare si è pensato al modello Vietnam per l’accordo sulla nomina dei vescovi in Cina.
Il modello Vietnam funziona così: c’è un periodo di consultazione, al termine del quale il rappresentate pontificio invia i risultati alla Congregazione alla Congregazione dell’Evangelizzazione dei Popoli, che ha ancora competenza sul Vietnam. Quest’ultima finalizza la lista dei tre candidati, che viene presentata al Papa, il quale fa la sua scelta. Solo dopo la scelta del Papa, la Santa Sede si confronta con il governo vietnamita riguardo il candidato selezionato. Il governo vietnamita vaglia la candidatura, e poi accetta eventualmente il candidato. Quindi, la Santa Sede rende nota la nomina del vescovo.
Il Vietnam è uno dei 13 Paesi al mondo che non ha piene relazioni diplomatiche con la Santa Sede,
L’incontro del 20 – 22 agosto, l’ottavo del bilaterale, rappresenta una particolare accelerata alle trattative, dato che l’incontro del dicembre 2018 faceva seguito all’ultimo incontro, che aveva avuto luogo in Vaticano nel 2016.
I cattolici in Vietnam sono 8 milioni su una popolazione di 82 milioni, e hanno subito varie persecuzioni. Il Vietnam è una repubblica socialista, e il Partito Comunista governa la nazione.
Il Cardinale Sako ricevuto dal presidente dell’Iraq
Il presidente iracheno Barham Salih ha ricevuto lo scorso 22 agosto in udienza il Cardinale Louis Rafael Sako, patriarca di Babilonia dei caldei. Secondo il sito della presidenza della Repubblica dell’Iraq, durante l’incontro si è parlato dell’importanza di lavorare per consolidare le basi della coesistenza pacifica tra tutte le componenti del popolo iracheno.
Il presidente ha anche mostrato apprezzamento per la prossima visita di Papa Francesco, e sottolineato il ruolo dei cristiani nel rafforzare i legami di fratellanza e nella diffusione dei valori di tolleranza.
Il presidente Salih ha incontrato Papa Francesco lo scorso 24 novembre, mentre il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, vi ha trascorso il Natale. Dopo l’annuncio della volontà di Papa Francesco di fare un viaggio nel Paese, il Cardinale Sako ha anche espresso il desiderio che venga firmata anche in Iraq un documento sulla fratellanza universale sul modello di quello che Papa Francesco ha siglato ad Abu Dhabi.
In attesa del nuovo nunzio per Cuba
Secondo indiscrezioni ,potrebbe essere l’arcivescovo Giampiero Gloder il nuovo “ambasciatore del Papa” a Cuba. L’arcivescovo Gloder, dal 2014 presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica, andrebbe a prendere il posto dell’arcivescovo Giorgio Lingua, che il Papa ha invece nominato lo scorso 22 luglio nunzio apostolico in Croazia. Nessuna conferma ufficiale è arrivata sulla nomina.
Sarebbe, per l'arcivescovo Gloder, un primo incarico da nunzio in un posto cruciale, che ha visto già nunzi di un certo livello (due suoi predecessori sono i Cardinali Angelo Becciu e Beniamino Stella) e che per un periodo è stato il centro di attenzione della Santa Sede: dal lavoro di mediazione per il ripristino delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti fino all’incontro con il Patriarca Kirill all’Avana, Papa Francesco è pasato per due volte da la Isla. Nel 2020 si celebreranno anche gli 85 anni di relazioni diplomatiche tra Cuba e la Santa Sede.
Classe 1958, entrato al servizio diplomatico della Santa Sede nel 1992, l’arcivescovo Gloder è stato in missione in Guatemala dal 1992 al 1995, e poi è stato richiamato in Segreteria di Stato, dove ha lavorato nella sezione affari generali, fino a diventare nel 2009 capo ufficio con incarichi speciali.
Dal 21 settembre 2013 è presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica, l’istituzione vaticana che forma il personale diplomatico della Santa Sede, ed è vicecamerlengo dal 20 dicembre 2014. In caso la nomina fosse confermata, l’arcivescovo Gloder non dovrebbe mantenere l’incarico di vice-camerlengo, che probabilmente non sarà per ora assegnato.
Il presidente del governo basco da Papa Francesco
Il presidente del governo basco Inigo Urukullu sarà la prossima settimana in Vaticano, il 27 e 28 agosto: saluterà il Papa durante i baciamano al termine dell’udienza generale del mercoledì e incontrerà il Cardinale Pietro Parolin in Segreteria di Stato vaticano, per presentare la proposta “Share” del governo basco. La proposta ha l’intenzione di fornire una risposta condivisa all’arrivo in Europa di persone che fuggono dalla povertà e dai conflitti armati.
Urukullu non incontra il Cardinale Parolin dal gennaio 2017, quando presentò al capo della diplomazia vaticana i grandi assi di attuazione del piano vasco di “Convivenza e Diritti Umani”.
Quella visita del 2017 generò non poche polemiche, perché fu preparata alle spalle dei vescovi baschi, vale a dire i vescovi che mantengono le diocesi di Bilbao, Vitoria e San Sebastian, nonché l’allora presidente della Conferenza Episcopale Spagnola, il cardinale Ricardo Blazquez..
Questa volta, i vescovi sono stati informati della visita e della proposta “Share”. La proposta vede la partecipazione, al momento, dei governi di Canarie, Navarra, Catalogna, Melilla, la comunità dei Paesi Baschi, Attica e Nuova Aquitania e il governo “euskadi”. La proposta “share” è stata presentata anche alle autorità dell’Unione Europea.
Tensioni Giappone – Corea del Sud, l’appello di un vescovo giapponese
Il vescovo Tajii Katsuya di Sapporo, presidente del Consiglio per la Giustizia e la Pace della Conferenza Episcopale Giapponese, ha chiesto ai leader politici di Giappone e Corea del Sud di ridurre le tensioni tra le nazioni in una dichiarazione in lingua giapponese e coreana dal titolo “Verso la riconciliazione della relazioni governative di Giappone e Corea”.
Il testo è stato diffuso il 15 agosto. Il vescovo Katsuya ha sottolineato che “Giappone e Corea dovrebbero essere importanti vicini, e i politici non devono danneggiare l’amicizia tra i popoli agendo in maniera avventata”.
Tokyo e Seoul hanno una disputa commerciale che riguarda un vecchio risentimento tra i coreani per le azioni di guerra dei giapponesi. La Corte Suprema della Corea del Sud ha emesso una serie di sentenze dall’ottobre 2018 che ordinano alle compagnie giapponesi di risarcire i coreani usati nei lavori forzati durante la Seconda Guerra Mondiale. Secondo il governo giapponese, la questione dei risarcimenti sarebbe invece stata risolta con un accordo delle due nazioni del 1965.
Il vescovo Katsuya ha notato che sia il governo giapponese che quello coreano, nonché la Corte Suprema del Giappone, sono d’accordo che il diritto della nazione di chiedere risarcimenti era stato già stabilito dall’accordo, ma è stato messo in luce che il diritto di ciascun individuo di chiedere un risarcimento non è ancora risolto”.
Per tutta risposta, il 4 luglio il Giappone ha complicato le procedure di esportazione per materiali usati in prodotti hi-tech in Corea, e il 2 agosto il governo ha annunciato di voler mettere fuori il Giappone dalla lista con uno status commerciale preferenziale. Si ritiene che Tokyo abbia risposto così alle decisioni della Corte Suprema coreana. In una escalation, anche la Corea del Sud ha pianificato di eliminare Tokyo dalla lista delle nazioni con una corsia preferenziale di commercio.
Il vescovo Katsuya ha sottolineato che tra le due nazioni c’è sempre stato un “fiorente scambio di prodotti”, mentre ora c’è un boicottaggio e lo scambio civile di eventi tra le nazioni è stato cancellato.
Si tratta – ha detto il vescovo – di una tensione “profondamente connessa a questioni non risolte riguardo il regolamento coloniale giapponese sulla penisola coreana e il suo processo di liquidazione. Dovremmo fare attenzione a questo”. E ha poi aggiunto che l’unico modo di risolvere la crisi è con “un calmo e razionale dialogo di mutuo rispetto”.
Il Cardinale Tumi chiamato a un incontro sulla prevenzione dei conflitti in Camerun
Il Cardinale camerunense Christian Tumi, 88 anni, è stato invitato a un dialogo comunitario a Douala, che aveva l’obiettivo di riunire i camerunensi provenienti dalle dieci regioni del Paese e riflettere su come garantire sicurezza e prevenire conflitti in Camerun.
La conferenza avviene nell’ambito della “crisi anglofona” nel Paese, m anche in varie crisi regionali. L’Unione Europea, la Fondazione Friedrich Ebert Stiftung e la Rete dei difensori dei diritti umani in Africa Centrale (REDHAC) hanno delineato un programma per la promozione della governance democratica e misure di sicurezza inclusive in Nigeria, Mali, Camerun e nella più ampia regione dell’ECOWAS.