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Diplomazia pontificia, arriva il nuovo ambasciatore USA presso la Santa Sede?

Brian Burch è stato sentito al Senato in vista del voto per la sua nomina ad ambasciatore presso la Santa Sede. Dopo la conferma, si aspetterà l’agreament della Santa Sede. Intanto, gli USA prendono una posizione forte sulla Nigeria

Brian Burch | Brian Burch, nominato da Trump ambasciatore USA presso la Santa Sede, all'udienza di conferma al Senato | da Catholic Vote Brian Burch | Brian Burch, nominato da Trump ambasciatore USA presso la Santa Sede, all'udienza di conferma al Senato | da Catholic Vote

Il 9 aprile, Brian Burch, nominato dal presidente Donald Trump come ambasciatore degli USA presso la Santa Sede, è stato ascoltato al Senato in vista del voto che ne deve confermare o bocciare la nomina. Burch si è trovato a rispondere a domande che riguardano il modo in cui intende rappresentare gli interessi americani di fronte alle proteste vaticane per la chiusura di US Aid, o di come intende portare la posizione USA nei confronti della Cina, con cui la Santa Sede ha un dialogo in corso che però l’amministrazione USA non vede di buon occhio.

Va ricordato, infatti, che il primo mandato di Trump si concluse con un grande evento sulla libertà religiosa a Roma, cui parteciparono sia il Cardinale Parolin che l’arcivescovo Gallagher, e durante il quale l’allora Segretario di Stato USA Mike Pompeo non mancò di avanzare critiche forti sull’accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi, esplicitato tra l’altro anche in un articolo su First Things nei giorni precedenti.

Ora, nell’ambito della guerra dei dazi che sembra avere come obiettivo proprio la Cina e il suo mercato che ha eroso quello americano, il tema delle relazioni tra Santa Sede e Cina diventano per gli Stati Uniti un tema fondamentale. Come lo diventa, di nuovo, la questione della libertà religiosa.

Va segnalata, in questo senso, una forte posizione del Congresso USA sulla situazione in Nigeria.

Nel corso della settimana, la Santa Sede è intervenuta due volte alle Nazioni Unite a New York e una volta all’UNCTAD.                                                          

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                                                           FOCUS USA

Brian Burch sentito al Senato per la conferma della sua nomina ad ambasciatore presso la Santa Sede

Lo scorso 9 aprile si è tenuta al Senato degli Stati Uniti l’udienza di conferma della nomina di Brian Burch come ambasciatore presso la Santa Sede. In particolare, la commissione ha chiesto a Burch come intenda rappresentare i tagli agli aiuti esteri dell’Amministrazione Trump in vaticano, così come la sua posizione riguardo la relazione della Santa Sede con la Cina.

Parlando al Comitato delle Relazioni Estere del Senato, Burch si è detto “onorato” di essere stato scelto come ambasciatore presso la Santa Sede, che considera “un ruolo di grande importanza”.

Secondo Burch, le relazioni tra Santa Sede e Stati Uniti sono “allo stesso tempo uniche e vitali”, radicate più che nella diplomazia tradizionale in “impegni condivisi sulla libertà religiosa, la dignità umana, la pace globale e la giustizia”.

Il Comitato gli ha chiesto come intende rappresentare gli Stati Uniti riguardo i tagli all’aiuto estero e la chiusura di US Aid, l’agenzia Usa che finanziava diversi progetti, anche da parte di ONG cattoliche, come fatto anche recentemente notare dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher.

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Ammettendo di non avere cifre esatte sull’ammontare dell’aiuto che andava a mancare ai progetti, Burch ha definito la questione come “particolarmente complessa”, e ha sottolineato che “il Segretario di Stato, quando ha cominciato l’incarico, ha reso noto che stava ristabilendo e rifocalizzando il nostro aiuto estero su posti che avrebbero reso l’America più sicura, forte e prospera”.

Da parte sua, Burch ha sottolineato che “questi criteri debbano essere rispettati”, e che, per quanto “la partnership con la Santa Sede possa essere una molto buona”, i partner “devono comprendere che il nostro aiuto estero non è senza fine, che non possiamo finanziare ogni ultimo programma”.

Secondo il possibile nuovo ambasciatore USA presso la Santa Sede, la questione dell’aiuto estero “deve essere un processo”, e che tra l’altro molte delle organizzazioni con cui ha parlato hanno visto i loro finanziamenti di nuovo autorizzati, mentre altre richieste sono ancora in attesa di nuova approvazione.

Nell’audizione, si è affrontato anche il tema dell’accordo sino-vaticano per la nomina dei vescovi. In particolare, uno dei senatori si è detto preoccupato che il governo comunista possa avere un giorno la possibilità di nominare vescovi cattolici e che questo accordo incoraggia le continue persecuzioni delle minoranze religiose nella nazione.

“Credo – ha detto Burch – che sia importante per la Santa Sede mantenere una posizione di pressione e di applicare pressione al governo cinese riguardo gli abusi che compiono sui diritti umani, particolarmente la loro persecuzione delle minoranze religiose, inclusi i cattolici”. Ha aggiunto che “se confermato, come ambasciatore incoraggerei la Santa Sede a resistere all’idea che ogni governo straniero abbia qualunque ruolo nello scegliere la leadership di una istituzione religiosa privata”.

È stato chiesto a Burch cosa crede possa ottenere attraverso la diplomazia con il Vaticano per gli ostaggi (tra i quali anche cittadini americani) che sono ancora detenuti da Hamas a Gaza. Secondo l’ambasciatore nominato, la Santa Sede potrebbe “giocare un ruolo molto significativo” prendendo parte alla conversazione e “portando la necessaria urgenza morale di terminare questo conflitto e, si spera, assicurare una pace durevole”.

                                                           FOCUS ASIA

Gli Stati Uniti protestano contro la legge in Nigeria.

Il deputato USA Chris Smith presidente della sottocommissione per l'Africa degli Affari Esteri della Camera dei rappresentanti negli Stati Uniti, ha condannato fermamente i recenti atti di repressione transnazionale contro nigeriani e nigeriano-americani negli Stati Uniti a seguito di un'udienza congressuale del 12 marzo 2025 da lui presieduta sulla persecuzione religiosa in Nigeria.

Smith è anche autore della Alta Risoluzione 220, che include la Nigeria come un Paese di particolare preoccupazione per gli Stati Uniti.

Nel suo intervento, Smith ha parlato di “allarmanti atti di intimidazione” che “non sono isolati”, ma piuttosto “riflettono un preoccupante schema di ritorsioni legato alle testimonianze rese al congresso sulle violazioni alla libertà religiosa.

L'udienza del presidente Smith del 12 marzo ha esaminato il pessimo record della Nigeria in materia di libertà religiosa e ha valutato se gli Stati Uniti debbano ridesignare la Nigeria come Paese di Particolare Preoccupazione (CPC) ai sensi dell'International Religious Freedom Act. Le testimonianze hanno messo in luce la persecuzione sistematica di cristiani, musulmani non Fulani e leader religiosi che propugnano la tolleranza, questioni che sembrano aver scatenato minacce contro le persone che hanno testimoniato o sostenuto gli sforzi per ottenere le responsabilità.

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Smith si è detto “sconvolto dalle notizie secondo cui il vescovo Wilfred Anagbe e padre Remigius Ihyula stanno subendo minacce, presumibilmente da fonti governative nigeriane e organizzazioni affiliate, a causa della testimonianza del vescovo davanti al Congresso, che ha descritto dettagliatamente le violenze nello Stato nigeriano di Benue”.

Ha aggiunto che "fonti attendibili indicano ora che il vescovo Anagbe potrebbe essere arrestato al suo ritorno in Nigeria, e temo anche che ci siano alcuni che cercherebbero di fargli del male fisicamente".

Per quasi un decennio, il vescovo Anagbe ha lanciato l'allarme sull'incapacità del governo di proteggere le comunità di Benue dai violenti attacchi dei pastori Fulani, che hanno causato uccisioni di massa, sfollamenti e l'occupazione delle terre ancestrali. Invece di avviare indagini, il Ministero degli Esteri nigeriano ha cercato di screditare la testimonianza del Vescovo, bollandola come disinformazione nonostante le prove. Il cambio di governo negli Stati Uniti ha indubbiamente suscitato nel governo nigeriano il timore che la designazione come membro del CPC possa diventare realtà.

Smith ha detto che questa violenza “non solo minaccia i diritti umani fondamentali, ma viola anche il diritto penale statunitense e mina una funzione fondamentale di controllo del Congresso", ha affermato l'alto parlamentare statunitense. "Rispecchia le ben documentate tattiche di repressione transnazionale del Partito Comunista Cinese (PCC), che calpestano le libertà civili e tentano di mettere a tacere i dissidenti ben oltre i suoi confini".

Il Presidente Smith ha anche citato il caso passato del coraggioso avvocato nigeriano per i diritti umani Emmanuel Ogebe, che ha subito ritorsioni da parte delle autorità nigeriane in seguito alla sua testimonianza al Congresso del 2015, inclusi i tentativi di revocargli il passaporto e di infangarne la reputazione.

"Gli Stati Uniti. ha detto Smith - non possono permettere ad attori stranieri di intimidire o molestare individui all'interno dei nostri confini per aver esercitato i loro diritti fondamentali, in particolare coloro che aiutano il Congresso fornendo testimonianza",

La Missione statunitense ad Abuja ha ribadito la preoccupazione del deputato Smith in una dichiarazione pubblica. “La Missione statunitense in Nigeria – si legge - è turbata da questa notizia di intimidazioni e minacce contro i leader religiosi nigeriani, il vescovo Wilfred Anagbe e il reverendo padre Remigius, a causa della loro testimonianza del 12 marzo davanti alla Commissione Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti sulla situazione dei diritti umani nella Middle Belt in Nigeria".

La situazione in Nigeria è molto complessa.  Il massimo dirigente della contea di Gwer-West, che comprende la città natale del vescovo Wilfred Anagbe, ha chiesto a gran voce aiuto dopo che i terroristi Fulani hanno finalmente completato l'occupazione della contea.

"Mentre vi parlo, i jihadisti Fulani hanno occupato 15 dei 15 distretti del governo locale di Gwer-West (contea), costringendo tutti i residenti della contea a trasferirsi a Naka, sede del governo locale, e ad Agagbe. Questo significata che l’intero governo locale è sotto l’occupazione Fulani", ha dichiarato giovedì il presidente Victor Torsar Ormin a TruthNigeria in una telefonata.

Nell'ultima ondata di attacchi, uccisioni e rapimenti nelle due contee in subbuglio, martedì 8 aprile 2025, milizie armate Fulani hanno teso un'imboscata a un agricoltore cristiano mentre si recava alla sua fattoria, lungo la strada Atuku-Aondona (villaggio natale del vescovo Anagbe). L'agricoltore è stato ferito a morte con i machete. Il ritrovamento del suo corpo ha scatenato un'altra protesta da parte dei giovani cristiani mentre il suo cadavere veniva trasportato nella città di Naka.

Nella comunità di Mbasombo, nella vicina contea di Gwer-East, nelle tarde ore di mercoledì 9 aprile 2025, i jihadisti Fulani hanno invaso la comunità mentre i residenti si stavano ritirando a letto dopo la frenetica attività agricola della giornata, uccidendo 3 persone e ferendone molte.

Gwer-West e Gwer sono contee agricole con terreni fertili (famose per l'enorme produzione di riso, igname, mais, pesce e sorgo) e a maggioranza cattolica.

                                                           FOCUS AFRICA

Sudafrica, il nunzio compie una visita pastorale nella diocesi di Kimberly

L’arcivescovo Henryk Mieczysław Jagodziński, nunzio in Sudafrica, ha tenuto dal 3 al 6 aprile una visita pastorale nella diocesi di Kimberly. La città si trova nella Provincia Northern Cape, e la sua storia è legata alla corsa ai diamanti, e la diocesi è guidata dal vescovo Theodore Tsoke.

Nel 1871, nella fattoria Vooruitzicht di proprietà dei frateli De Beers, vengono scoperti i primi diamanti, lanciando la caccia ai diamanti con l’arivo di migliaia di cercatori, che trasformarono la città, e stabilirono anche diverse mine.

Nel 1880 Kimberley fu ufficialmente incorporata nella Colonia del Capo, aumentando ulteriormente la sua importanza economica. Nel 1888 Cecil Rhodes e la sua compagnia De Beers Consolidated Mines acquisirono il controllo della maggior parte dei giacimenti diamantiferi, facendo di Kimberley il centro mondiale del commercio di diamanti.

Alla fine del XIX secolo, le crescenti tensioni tra Boeri e Britannici portarono allo scoppio della Seconda Guerra Boera (1899–1902). Kimberley, come città chiave sotto controllo britannico, divenne uno degli obiettivi dei Boeri. Nell’ottobre 1899 la città fu assediata per 124 giorni. I Boeri la bombardarono cercando di costringerne gli abitanti alla resa. L’assedio si concluse nel febbraio 1900 con l’intervento delle truppe britanniche guidate da Lord Kitchener.

I britannici crearono un campo di concentramento per Boeri fuori città, dove furono internate donne e bambini – evento ricordato dal Concentration Camp Memorial e dal Honoured Dead Memorial, dedicati a coloro che morirono difendendo la città.

Dopo la guerra, Kimberley riprese il suo sviluppo come centro diamantifero, e divenne anche culla dell’aviazione sudafricana con la formazione della forza di aviazione nel 1913.

Kimberley conta oggi 167 mila abitanti, e la Chiesa ha avuto un ruolo importante nella sua storia, sia per aver fatto da centro spirituale, sia per aver portato un elemento decisivo allo sviluppo dell’educazione, della carità e dell’opera missionaria.

I cattolici sono arrivati a Kimberley negli anni Settanta dell’Ottocento, insieme ai cercatori di diamanti, e in particolare con i Missionari dello Spirito Santo, che iniziarono una opera di evangelizzazione tra minatori e coloni.

Nel 1886 Kimberley divenne centro della nuova Prefettura Apostolica dell’Africa Meridionale Centrale, e nel 1887 fu creato il Vicariato Apostolico di Kimberley in Orange, comprendente le attuali province del Northern Cape e del Free State. Il primo vicario apostolico fu mons. Anthony Gaughren, membro degli Spiritani. La diocesi di Kimberley è stata istituita nel 1951, e conta circa 200 mila fedeli.

Arrivato a Kimberley nella sera del 2 aprile, l’arcivescovo Jagodziński ha tenuto nella mattina del 3 aprile l’incontro con il clero, cui ha partecipato anche l’arcivescovo metropolita di Bloemfontein Zolile Peter Mpambani, oltre a 33 sacerdoti.

Il nunzio ha parlato della natura gerarchica della Chiesa nel contesto della sinodalità, e che sinodalità significa partecipazione, ma non uguaglianza di autorità. Il Papa – ha detto – è il fondamento visibile dell’unità della Chiesa e suprema autorità spirituale, mentre lo Spirito Santo protegge la Chiesa dall’errore anche attraverso il magistero papale.

Il 4 aprile, Jagodziński ha invece incontrato i consacrati che operano nella diocesi. A loro, ha sottolineato l’importanza della vita consacrata come testimonianza profetica, e ha parlato anche dell’importanza della vita consacrata nell’ambito della Chiesa sinodale.

Inoltre, in vista del prossimo Giubileo del 2025, il nunzio ha ricordato che Papa Francesco invita il rinnovamento vocazionale, ad essere missionari di speranza, promuovendo misericordia e riconciliazione.

“Dopo pranzo – racconta il nunzio - ho visitato la vecchia miniera Big Hole con gli edifici storici dell’epoca. Ho visto anche il monumento alle vittime del campo di concentramento britannico – purtroppo le iscrizioni sono solo in afrikaans. Mi sono fermato anche al mausoleo dedicato ai difensori della città durante l’assedio boero”.

Il 5 aprile, l’arcivescovo Jagodziński ha invece incontrato i rappresentanti del laicato, delle sodalità e dei consigli economici parrocchiali. L’incontro è stato dedicato sia al tema della diocesi che a quello della sinodalità, e l’arcivescovo ha evidenziato in particolare il ruolo dei laici, che partecipano alla missione evangelizzazione.

Il 6 aprile, il nunzio ha concluso la sua visita celebrando la Messa nella cattedrale di Kimberley.

                                                            FOCUS ASIA

Shanghai, i fedeli chiedono la liberazione del vescovo ausiliare Ma Daqin

Lo scorso 18 marzo, l’agenzia delle Pontificie Missioni Estere Asia News ha pubblicato un appello da parte di un cattolico (rimasto anonimo, per ovvie ragioni) proveniente da Shanghai, che chiedeva la liberazione del vescovo ausiliare di Shanghai Thaddeus Ma Daqin.

Ma Daqin è agli arresti domiciliari dal 2012, da quando decise che non poteva essere vescovo e allo stesso tempo parte dell’associazione patriottica. Shanghai è rimasta senza vescovo fino al 2024, quando il governo di Pechino ha preso la decisione unilaterale di “trasferire” (senza nomina papale) come vescovo di Shanghai Giuseppe Shen Bin. Il Papa ha poi sanato questa nomina, e Shen Bin è persino venuto in Vaticano.

Cosa si si legge nella lettera? Che “molti cattolici di Shanghai desideravano due anni fa e tuttora desiderano che la decisione della Santa Sede di nominare mons. Joseph Shen Bin come vescovo della diocesi di Shanghai potesse portare presto sollievo anche per il vescovo Taddeo Ma Daqin, che ha dovuto affrontare ‘restrizioni’ per oltre un decennio”.

La lettera ricorda la visita a Shanghai in autunno 2024 dell’arcivescovo Claudio Maria Celli, capo del team negoziale della Santa Sede, e poi la visita della delegazione della diocesi di Hong Kong nel febbraio 2025, guidata dal Cardinale Stephen Chow.

Il fedele nota che “sebbene la partecipazione alla loro Messa nella basilica di Sheshan e ad altre attività diocesane sia stata limitata, anche con questo basso profilo le visite di queste figure di spicco hanno acceso la speranza tra i cattolici di Shanghai, che ora intravedono una rinnovata possibilità per il vescovo Ma”.

In particolare, si spiega che “l'argomento principale contro la ripresa delle funzioni del vescovo Ma è che un vescovo ausiliare può svolgere il suo compito solo con il mandato dell'ordinario della diocesi. Con il vescovo Shen ora a Shanghai, se fosse disposto a rinominare il vescovo Ma, quest'ultimo potrebbe tornare immediatamente al suo lavoro”.

In fondo, “da quasi due anni ormai il vescovo Shen presta servizio nella diocesi di Shanghai e ha ricopre la carica di presidente della Conferenza episcopale della Chiesa cattolica in Cina (BCCCC, organismo non riconosciuto dalla Santa Sede ndr) e sono stati compiuti sforzi significativi per mettere in luce il suo lavoro”.

La lettera mette in luce come “la diocesi di Shanghai, il binomio One-Association-One-Conference cinese (Associazione patriottica e BCCCC ndr) e persino Vatican News hanno ampiamente raccontato sia le attività della diocesi sia quelle del nuovo vescovo, contribuendo a rafforzare la sua reputazione”.

Eppure, la questione di Ma Daqin resta irrisolta. Questi fu arrestato il 7 luglio dopo che lasciò l’associazione patriottica a seguito dell’ordinazione episcopale. Il fedele anonimo nota che “il governo cinese aveva da tempo intenzione di nominare il vescovo Ma come successore del vescovo Aloysius Jin Luxian, in sostituzione del vescovo Joseph Xing Wenzhi. Questo piano era stato messo in moto già prima del graduale ritiro del vescovo Xing dalle funzioni pubbliche. E quando il vescovo Xing era andato in pensione, la Santa Sede aveva accettato di approvare la nomina del vescovo Ma”.

Quindi,  “in seguito all' ‘incidente del 7 luglio’ (l'ordinazione episcopale del vescovo Ma al mattino e al successivo isolamento iniziato da quel pomeriggio ndr), la Santa Sede ha ripetutamente comunicato attraverso vari canali che, per rispetto dei due vescovi allora viventi, il vescovo Aloysius Jin Luxian (vescovo coadiutore, deceduto poi nel giugno 2013) e il vescovo Joseph Fan Zhongliang (ordinario “sotterraneo”, deceduto nel marzo 2014), il vescovo Ma avrebbe potuto servire solo come vescovo ausiliare. Tuttavia, la Santa Sede aveva chiarito le sue intenzioni durante la sua nomina: Ma è stato designato come successore dei vescovi anziani, per assumere infine il ruolo di ordinario (vescovo diocesano) della diocesi di Shanghai”.

La Conferenza Episcopale nominava Ma come vescovo coadiutore, mentre la Santa Sede lo nominava vescovo ausiliare. Dopo il suo arresto, Ma non si è potuto registrare presso le autorità religiose statali, esercitare i suoi doveri o condurre attività religiose come vescovo, perché non era in grado di soddisfare tutti i requisiti previsti dagli articoli 6(6) e 7 delle “Misure sulla registrazione dei vescovi nella Chiesa cattolica in Cina (processo e attuazione)” emanate dall'Amministrazione statale cinese per gli Affari religiosi. In particolare, non ha potuto presentare la domanda di registrazione alle autorità governative cinesi attraverso il sistema “una Associazione-una Conferenza”.

La lettera ad Asia News ricorda che “il 12 dicembre 2012, la BCCCC ha revocato ufficialmente la lettera di nomina a vescovo coadiutore. Tuttavia, la nomina della Santa Sede a vescovo ausiliare, con l'intenzione esplicita di farlo succedere al vescovo diocesano ordinario è rimasta invariata fino ad oggi. Nel frattempo, l'affermazione che il vescovo Ma è ancora sotto “restrizione” è stata ripetutamente respinta e ignorata dai suoi oppositori all'interno della diocesi, così come dalle autorità governative cinesi”.

La situazione, prosegue la lettera, è “paradossale” perché, pur essendo un candidato favorito, a seguito di una dichiarazione di inopportunità, Ma si è ritrovato arrestato in nome del principio dell’affidabilità politica.
Inoltre, “esperti anonimi hanno sottolineato che la revoca della nomina di Ma a vescovo ausiliare da parte della BCCCC si basava su una norma giuridica superiore intitolata ‘Misure sulla registrazione dei vescovi nella Chiesa cattolica in Cina (processo e attuazione)’. Questo documento, indicato come Documento n. 25 [2012] emesso dall'Amministrazione statale per gli affari religiosi, è stato pubblicato sul sito web del governo centrale il 12 novembre 2012”.

La lettera nota inoltre che “solo il 12 dicembre 2012, lo stesso giorno in cui è stata revocata la lettera di nomina del vescovo Ma, è stata adottata la corrispondente norma giuridica subordinata, intitolata ‘Misure per l'elezione e la consacrazione dei vescovi da parte della Conferenza episcopale della Chiesa cattolica in Cina’. Questo documento è stato poi pubblicato l'8 aprile 2013, “con la data di pubblicazione che segna la sua attuazione”.

In precedenza, l’Associazione patriottica e la BCCCC avevano pubblicato un documento con lo stesso titolo nel 1993, composto di sei articoli e senza norme sulla consacrazione episcopale.

Si è trattato dunque di una “legislazione retroattiva”, la quale sarebbe “controproducente per gli sforzi di rafforzare lo stato di diritto negli affari religiosi. La promozione dello Stato di diritto nella governance religiosa richiede un'attenta considerazione di fattori quali la stabilità giuridica, la legittimità procedurale, la conformità costituzionale e la fiducia del pubblico. È fondamentale garantire che la creazione e l'attuazione delle leggi non solo aderiscano ai principi dello Stato di diritto, ma salvaguardino anche l'equità sociale e la giustizia in modo efficace”.

La lettera parla anche bene del vescovo Shen. “Da quando il vescovo Shen è entrato in carica – si legge -  la situazione è migliorata. Ha riorganizzato il clero diocesano, ha adeguato gli stipendi, ha rafforzato la gestione finanziaria e ha implementato molti regolamenti. Il Seminario di Sheshan, che al suo punto più basso contava meno di dieci seminaristi, ha vissuto una rinascita. Ora conta 25 seminaristi, tra cui 10 nuovi ingressi, oltre a tre suore novizie e 14 partecipanti al programma inaugurale di formazione per le suore, con una vitalità incoraggiante a cui non si assisteva da anni”.

L’ambasciatore Chiba su Taiwan, Cina, Asia

L’ambasciatore del Giappone presso la Santa Sede, Akira Chiba, ha concesso al quotidiano Avvenire una intervista pubblicata lo scorso 11 aprile. L’ambasciatore tocca vari temi di interessi, inclusa la questione di Taiwan, il dialogo con la Cina e il disarmo nucleare.

L’ambasciatore ha ricordato che c’è una storia di relazioni lunga quasi cinque secoli tra Giappone e Santa Sede, e che ci sono campi di azione condivisi per il futuro, a partire dal disarmo nucleare, perché il nucleare è “un’arma immorale che ha il potenziale di annientare l’intera umanità. Il Giappone non è soltanto il Paese che ha vissuto la tragedia dell’arma nucleare, ma è anche consapevole di aver causato quanto è risultato con la bomba atomica. Quindi si sente chiamato ad avere un ruolo primario nel costruire la pace. E con la Santa Sede condivide l’obiettivo ultimo dell’eliminazione completa delle testate nucleari”.

Chia sottolinea che “la pace mondiale passa anche dall’Asia”. Parlando del ruolo della Santa Sede a Taiwan, Chiba nota che “è significativo che la Santa Sede abbia relazioni diplomatiche con Taiwan. Bisogna risalire al 1971, quando all’Onu il governo di Pechino fu ritenuto l’unico rappresentante del Paese, per ricordare come molte nazioni abbiano abbandonato Taiwan per preferire la Cina. Invece la Santa Sede aveva scelto di non tagliare i rapporti. Oggi tutti siamo coscienti che il Partito comunista cinese voglia la riunificazione di Taiwan con la Cina. E non si può garantire che ciò avvenga senza spargimento di sangue. Al momento la Santa Sede sta cercando di rafforzare i legami con la Cina continentale. Però, se dovesse interrompere improvvisamente i rapporti con Taiwan, tutto ciò potrebbe rappresentare un incentivo per la Cina a usare la forza per giungere all’annessione”.

L’ambasciatore sottolinea che in caso di attacco, il Giappone sarebbe “un possibile bersaglio, perché accoglie numerosi basi militari americane”, mentre riguardo il dialogo della Santa Sede con la Cina, Chiba dice di comprenderlo ma aggiunge che “va garantita la libertà religiosa”, perché “l’attuale Partito comunista, che prosegue sulla linea di Mao Tse-tung, continua a volere sinicizzare la religione”.

Per quanto riguarda la Corea del Nord, la situazione è più complessa, e tocca il programma nucleare, che prevede sia la produzione sia il trasporto degli armamenti, e il rapporto con la Corea del Sud, nonché il rapporto con il Giappone, perché giapponesi sono stati rapiti e portati in Corea del Nord per insegnare giapponese”.

Chiba ha mostrato comprensione per il piano di riarmo europeo, e sottolineato che l’Asia è instabile, ma tuttavia “nel sudest asiatico c’è un organismo, l’Asean, che ha una funzione considerevole nel mantenimento dell’ordine regionale e quindi della pace. È formato da dieci Stati, presto undici, che in passato sono stati in guerra fra loro. Solo che da tempo la Cina sta minando l’unità dell’Asean”.

Secondo l’ambasciatore, il futuro dele relazioni tra Santa Sede e Giappone tocca anche altri due ambiti: la tutela dell’ambiente e l’aiuto alle popolazioni africane.

Infine, il dialogo interreligioso, che “si vive in famiglia”, e infatti “da neonati si fanno i riti di purificazione nel santuario shintoista; magari ci si sposa in una chiesa cristiana; il funerale è celebrato con il rito buddista. Inoltre la cultura giapponese è segnata da un insegnamento: non pensare solo a se stessi. Indica la consapevolezza che c’è qualcosa di più importante del proprio io. La ritengo una forma diffusa di religiosità”.

                                                  FOCUS NUNZIATURE

Un nuovo nunzio per l’Etiopia

Il 12 aprile, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Brian Udaigwe, finora nunzio apostolico in Sri Lanka.

Camerunense, sacerdote dal 1992, è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1994. Ha servito nella rappresentanze pontificie di Zimbabwe, Costa d’Avorio, Haiti, Bulgaria, Tailandia e Regno Unito.

È stato nunzio in Benin e Togo dal 2013 al 2020, per poi diventare nunzio in Sri Lanka dal 2020. In Etiopia, prende il posto dell’arcivescovo Antoine Camilleri, trasferito a Cuba lo scorso anno. È una nunziatura chiave per l’Africa.

Un nuovo nunzio per l’Olanda

Papa Francesco ha scelto anche un nuovo nunzio per i Paesi Bassi, nella persona dell’arcivescovo Jean Marie Speich, finora nunzio apostolico in Slovenia e delegato per il Kosovo.

Francese, sacerdote dal 1982, è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1986. Ha servito nele rappresentanze pontificie di Haiti, Nigeria, Bolivia, Canada, Germania, Regno Unito, Egitto, Spagna e Cuba. Ha quindi guidato la sezione di lingua francese della Segreteria di Stato dal 2008 al 2013.

Nel 2013, è stato scelto come nunzio in Ghana. Dal 2019 era nunzio in Slovenia.

Si completano gli accreditamenti del nunzio in Nuova Zelanda

L’arcivescovo Gabor Pinter, nunzio in Nuova Zelanda, Fiji, Palau, Stati Federati di Micronesia e Vanuatu, completa le sue credenziali nell’area e viene nominato anche nunzio apostolico nelle Isole Cook, in Kiribati, nelle Isole Marshall, in Samoa e Nauru.

Dal 2019 al 2024, Pinter è stato nunzio in Ecuador, dove aveva appena celebrato la riapertura della nunziatura. Ma il nunzio aveva aperto un’altra nunziatura, quella in Belarus, nella sua precedente posizione. Classe 1964, sacerdote dal 1988, è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1996. Ha prestato servizio nelle nunziature di Haiti, Bolivia, Svezia, Francia, Filippine ed Austria, prima di essere nominato nunzio in Bielorussia. Poliglotta, è conosciuto per essere molto abile nel districarsi tra i problemi.

 

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a New York, la commissione per il Disarmo

L’8 aprile, si è tenuto un generale scambio di vedute alla Commissione per il Disarmo delle Nazioni Unite.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, si è detto “preoccupato” della continua crescita di instabilità politica e conflitto, e ha notato che gli Stati stanno sempre più indirizzandosi verso soluzioni militari. Questo “spostamento” – ha detto – ha effetti negativi sul multilateralismo, il dialogo, e la cooperazione internazionale.

Per questo, la Santa Sede chiede agli Stati di superare la dottrina fallace della deterrenza nucleare e piuttosto aderire al Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari, chiedendo anche agli Stati Parte del Trattato di Non Proliferazione Nucleare di impegnarsi in spirito di cooperazione e rispetto mutuo durante la prossima Terza Sessione della Commissione Preparatoria.

L’arcivescovo Caccia ha infine incoraggiato la famiglia delle nazioni a lavorare insieme per stabilire una cornice legale per affrontare la militarizzazione delle tecnologie emergenti.

La Santa Sede alle Nazioni Unite, la Commissione su Sviluppo e Popolazione

Il 9 aprile, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, è intervenuto nel Dibattito Generale alle 58esima Sessione della Commissione su popolazione e sviluppo.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia si è detto preoccupato riguardo le sfide di salute affrontate dalla popolazione negli ultimi decenni, e in particolare i gruppi vulnerabili. L’Osservatore Permanente ha sottolineato che la mortalità infantile resta inaccettabilmente alta in molte regioni, e ha enfatizzato l’importanza di un approccio olistico che riconosca l’interconnessione di tutti gli aspetti dello sviluppo umano.

In particolare, l’arcivescovo ha messo in luce come la famiglia sia l’unità naturale e fondamentale della società, e che questa giochi un ruolo indispensabile nell’assicurare una vita sana e nel promuovere il benessere. Per questo, ha chiesto di prioritizzare politiche che rafforzano e supportano le famiglie, mettendo in luce le crude disparita sanitarie che persistono tra le nazioni sviluppate e quelle in via di sviluppo.

Inoltre, l’arcivescovo ha messo in luce come la situazione venga esacerbata dai pesi debitori delle nazioni in via di sviluppo. “Non si tratta – ha detto Caccia – solo di una ingiustizia economica, ma anche uno scandalo morale che richiede una azione urgente”.

Ha concluso, poi, riaffermando che la promozione della salute e del benessere delle persone “debbano sempre iniziare con un fermo impegno alla dignità inerente di ogni persona, in ogni fase della sua vita, dal concepimento alla morte naturale”.

La Santa Sede all’UNCTAD, la questione della scienza e la tecnologia per lo sviluppo

Il 10 aprile, si è tenuta a Ginevra la 28esima sessione della Commissione delle Nazioni Unite su Scienza e Tecnologia per lo Sviluppo.

L’arcivescovo Ettore Balestrero, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite aa Ginevra, ha messo in luce nel suo intervento l’influenza esercitata dallo sviluppo della tecnologia di informazione dal World Summit on the Information Society, notando che questo offrirebbe “nuove opportunità per lo sviluppo”, e tuttavia “disparità considerevoli persistono nella distribuzione e accessibilità delle tecnologie emergenti”, perché “molte nazioni in via di sviluppo ancora mancano di infrastrutture, risorse e capacità tecnica”.

La Santa Sede si dice “preoccupata riguardo la significativa mancanza di progresso nel raggiungere una connettività alla portata di tutti e significativamente universale, specialmente nelle nazioni meno sviluppato”, perché “una connettività affidabile a banda larga” non è un mero obiettivo. Piuttosto, una necessità, dato che “nel mondo digitalizzato di oggi, una ridotta connettività significa, tra le altre cose, una mancanza di educazione e di opportunità di occupazione, un limitato accesso ai servizi sociali e una limitata partecipazione economica”.

Insomma, mentre le tecnologie, inclusa l’Intelligenza artificiale, offrono nuove soluzioni a un ampio raggio di sfide, si deve evitare “l’errore di percezione che le tecnologie possano risolvere tutti i problemi”, essendo questo “un paradigma tecnocratico” che mette da parte la dignità umana, la fraternità e la giustizia sociale nel nome dell’efficienza.

Invece, dice la Santa Sede, le nuove tecnologie devono essere poste “al servizio di un altro tipo di progresso”, che sia “più sano, più umano, più sociale, più integrale”.

Soprattutto, aggiunge Balestrero, è essenziale riconoscere che “le tecnologie emergenti pongono rischi significativi in vari campi”, inclusa la mercificazione della comunicazione, l’impatto negativo sui lavoratori, la virtualizzazione delle relazioni umane.

Ancora una volta, la Santa Sede chiede una autorità per la governance dell’Intelligenza Artificiale, considerando “le enormi opportunità e rischi paralleli presentati da queste tecnologie”. La Santa Sede denuncia anche “la concentrazione di potere delle applicazioni mainstream di Intelligenza Artificiale nelle mani di poche compagnie”.

Insomma, il processo in corso di redigere i “Termini di Riferimento del Panel Scientifico sull’Intelligenza Artificiale” proposta nel Global Digital Compact è “un primo passo nella giusta direzione verso un approccio bilanciato e basato sul rischio alla governance dell’Intelligenza artificiale”, mentre le cornici di regolamentazione etica dovrebbero assicurare che l’intelligenza artificiale promuove un progresso reale, e che le entità legali restino responsabili per l’uso del’IA e di tutte le sue conseguenze.

                                               FOCUS SEGRETERIA DI STATO

L’arcivescovo Gallagher invia un messaggio a un simposio sulla diplomazia religiosa

In un mondo segnato da un “disperato bisogno di pace”, le confessioni religiose possono fornire una visione che superi “i meri accordi politici”. Lo dice l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ad un simposio sulla diplomazia religiosa  organizzato dall’Università Cheikh Anta Diop di Dakar.

Il simposio si è tenuto il 7 e 8 aprile scorsi, e vi avrebbe dovuto partecipare anche Gallagher, che però non è riuscito a far combinare le agende. Ecco allora che ha inviato un messaggio, soffermandosi su cil che la Santa Sede intende per “diplomazia religiosa”.

Gallagher ha ricordato che “la coesistenza pacifica tra persone di diverse tradizioni religiose e culturali è una realtà significativa in Senegal”, e ha reso omaggio al Khalif di Bambilor, nella regione di Dakar, Thierno Amadou Ba – figura molto rispettata nel Paese per il suo impegno a favore della pace e del dialogo – che ha visitato il Vaticano lo scorso 22 febbraio.

Nel messaggio, l’arcivescovo ha sottolineato che in Senegal “musulmani, cattolici protestanti e seguaci delle religioni tradizionali convivono in notevole armonia all’interno della stessa famiglia”, e questo “incoraggia il dialogo interreligioso”.

Gallagher ha messo in luce che la Chiesa si impegna a dimostrare che la religione non è un “ostacolo alla pace”, ma piuttosto un suo “pilastro” fondamentale. Le religioni possono dare il loro contributo alla diplomazia andando “oltre una visione limitata agli scambi tra governi o agli accordi politici”, e fondandosi piuttosto “sulle prospettive etiche e morali offerte dalle tradizioni religiose”, con l’obiettivo di influenzare le relazioni internazionali non attraverso il potere politico o militare, ma attraverso la capacità di “toccare i cuori e le menti degli individui”.

Obiettivo del simposio è stato quello di “strutturare una riflessione accademica e spirituale sul ruolo delle religioni nella costruzione della pace e nella mediazione sul ruolo delle religioni nella costruzione della pace e nella mediazione dei conflitti”.