L’arcivescovo Jurkovic ha notato che dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rilevano come circa 4,2 milioni di morti premature sono legate all’inquinamento dell’aria, e che più del 90 per cento della popolazione mondiale, vale a dire 6 miliardi di persone, vive in regioni al di là delle linee guida per una sana qualità dell’aria stilate dalla stessa OMS.
L’osservatore della Santa Sede ha anche sottolineato che c’è uno stretto legame tra cambiamento climatico e inquinamento, perché “l’emissione di inquinanti aerobici e di gas serra vengono in larga parte dall’uso di combustibili fossili e biomasse”.
La Santa Sede nota che c’è bisogno di biodiversità per la sopravvivenza delle specie, e che dunque non si può “guardare alla natura come a qualcosa separato da noi”, perché i dati scientifici mettono in luce un urgente bisogno di una “azione decisa, in un contesto di etica, equità, responsabilità e giustizia sociale”.
L’arcivescovo Jurkovic ha messo in luce come le sostanze inquinanti sia utilizzate dalle persone anche a causa della povertà, che non permette di andare a cercare soluzioni rinnovabili, e un approccio ecologico appropriato include un approccio sociale, che integri la lotta alla povertà con questioni ecologiche, con un riconoscimento globale del diritto a un ambiente sano e sostenibile.
Si tratterebbe di “un approccio legale comune” che darebbe “solide basi per implementare misure di prevenzione contro l’inquinamento dell’aria”.
Per questo, la transizione che porta a ridurre inquinamenti dell’aria non riguarda la tecnologia, ma anche la salute pubblica, dato che “la qualità della nostra aria è vitale”, e una “povera qualità dell’aria contribuisce a un vasto raggio di effetti avversi”.
La delegazione della Santa Sede apprezza, dunque, la necessità emersa di “smettere di pensare in termini di intervento”, e piuttosto di prendere in considerazione un approccio integrato e globale.
Santa Sede all’ONU di Ginevra: sulla libertà religiosa e di credo
Il 5 marzo, la 40esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra si è discusso sulla libertà religiosa o di credo, uno dei temi centrali per la diplomazia pontificia. L’arcivescovo Jurkovic, prendendo la parola a nome della Santa Sede, ha notato che la libertà religiosa ha una vicina relazione con la libertà di espressione, perché secondo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ogni persona ha il diritto inerente di esprimere la sua più alta dignità cercando la verità e agendo in conformità con la verità stessa.
La Santa Sede considera il diritto alla libertà religiosa “radicato nelle profondità di ogni persona”, il cui rispetto è la “cartina di tornasole di tutti gli altri diritti”.
L’arcivescovo Jurkovic ricorda che negli ultimi decenni “la cornice legale internazionale su questo diritto è cresciuta solidamente e costantemente”, e nonostante questo “i recenti rapporti sulla libertà religiosa” colpiscono e preoccupano, prima di tutto, per la discriminazione oltraggiosa che vivono le vittime, e poi per il futuro delle società perché “quando a persone e comunità non è permesso di vivere e celebrare e in coerenza con le loro convinzioni più profonde, i legami che tengono insieme la società si dissolvono e la violazione dei diritti diventa spesso una crisi violenta”.
Secondo l’arcivescovo Jurkovic, anche la corrente crisi del multilateralismo dipende da crescenti interessi che vogliono imporre le loro idee.
Per questo, la Santa Sede “difende l’applicazione universale e imparziale” del fondamentale diritto della libertà religiosa, ed esprime apprezzamento per “gli sforzi offerti da alcuni governi per assistere i cristiani perseguitati in tutto il mondo”, così come “lo stabilimento di cornici legali efficaci per difendere questo diritto”.
L’osservatore della Santa Sede estende il tema della libertà religiosa alla libertà di coscienza, e in particolare al diritto all’obiezione di coscienza, sottolineando che “sempre più spesso, persone di culture, religioni e credi differenti vivono fianco a fianco”, ed è per questo “vitale e sensibile incorporare nelle legislazioni, con la dovuta prudenza, opzioni che permettono a tutti di agire liberamente secondo le proprie più profonde convinzioni”.
Insomma, per la Santa Sede proteggere il diritto alla libertà religiosa, insieme al diritto alla libertà di espressione, aiuta a creare un “futuro inclusivo”, che potrebbe davvero “portare ad una implementazione di successo dell’agenda 2030”.
Sud Sudan: perché l’accordo di settembre non funziona
Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir Mayardit è atteso in visita da Papa Francesco il prossimo 16 marzo. E si parlerà sicuramente della situazione in Sud Sudan, considerando che i vescovi hanno fatto sapere lo scorso 28 febbraio in una nota che “nonostante l’accordo di pace, violenze e scontri sul terreno continuano”.
L’accordo cui si riferiscono è il “Revitalised Agreement on the Resolution of Conlifct in South Sudan”, firmato lo scorso 12 settembre ad Addis Abeba dal presidente Salva Kiir e l’ex vicepresidente Rick Machar, leader dei ribelli. Raggiunto grazie alla mediazione dell’Intergovernmental Authority on Development, he riunisce gli Stati dell’Africa orientale, l’accordo dovrebbe mettere fine alla guerra civile scoppiata nel dicembre 2013. Ma è un accordo che – denunciano i vescovi – non porta ad “affrontare le cause profonde dei conflitti del Sud Sudan”, anche perché “il modello di condivisione del potere incoraggia le parti a contrattare posti e percentuali di potere”, mentre l’attuazione dell’accordo è in ritardo, tanto che le ostilità sono meno, ma sono rimaste, e continuano “le violazioni dei diritti umani”.
Si tratta, insomma, di una pace imperfetta. Papa Francesco avrebbe voluto viaggiare nel Sud Sudan, e segue attentamente la situazione. È stata di recente aperta una nunziatura in Sud Sudan, che attende un nunzio, ma ha già un incaricato d’affari residente. Fino a quest’anno, il nunzio in Kenya aveva anche l’incarico di rappresentare la Santa Sede nel Sud Sudan.
La situazione in Repubblica Democratica del Congo
La Chiesa nella Repubblica Democratica del Congo ha fatto la sua parte prima partecipando alle manifestazioni che chiedevano libere elezioni, quindi difendendo l’accordo di San Silvestro che ha portato alle recenti elezioni, quindi dando un necessario impulso per accettare l’esito elettorale.
Ora, la Conferenza Episcopale mobiliterà più di 4 mila osservatori per le elezioni nazionali e provinciali nelle circoscrizioni di Yumbi e nel Nord Kivu. Gli osservatori erano già stati preparati durante l’addestramento dei 40 mila osservatori previsti per le elezioni di dicembre. Ci saranno due osservatori per seggio elettorale. Le elezioni avranno luogo il prossimo 31 marzo a Yumbi, Beniville, Beni-Territoire e Mutembo. Più di un milione di persone sono chiamate a votare deputati nazionali e provinciali.
La questione cinese nelle parole del Cardinale Filoni
Il Cardinale Filoni, prefetto della Congregazione della Evangelizzazione dei Popoli, aveva già parlato della questione cinese in una intervista concessa a febbraio all’Osservatore Romano, in cui aveva sottolineato anche le perplessità riguardo l’accordo, ma ne aveva comunque messo in luce la portata storica.
Dopo essere stato a Taiwan come inviato speciale del Papa al IV Congresso Eucaristico nazionale del Paese, il Cardinale Filoni ha viaggiato ad Hong Kong (dove era già arrivato in missione diplomatica nel 1992) e a Macao. Le sue dichiarazioni fanno seguito a quelle del Cardinale Pietro Parolin, che a margine di un convegno sui concordati ha detto che ora l’accordo si deve mettere in pratica.
Parlando da Hong Kong lo scorso 5 marzo, il Cardinale Filoni ha sottolineato che l’accordo sulla nomina dei vescovi “è soltanto provvisorio e sarà migliorato in futuro”. Parole che arrivano due giorni dopo le dichiarazioni del vescovo Paul Meng Oinglu, vice presidente dell’Associazione Patriottica, che aveva detto che l’accordo sarebbe stato rivisto in due anni.
Con l’accordo, la Cina ha per la prima volta riconosciuto il Papa come leader della Chiesa cattolica. Secondo indiscrezioni, l’accordo darebbe alla Santa Sede un mese di tempo per decidere se approvare o meno un candidato vescovo raccomandato dall’Associazione Patriottica, legata allo Stato.
“La Chiesa in Cina è una sola Chiesa – ha detto il Cardinale Filoni – mentre in passato c’era anche una Chiesa sotterranea. Ora sono uniti”.
La situazione non è comunque semplice, per cattolici. Il governo cinese considera le Chiese non ufficiali illegali. “La Chiesa in Cina non sarà differente da tutte la Chiese nel mondo. In molti posti, le Chiese stanno soffrendo e lavorando. La cina non fa differenza”.
Il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ha anche notato che “dopo 70 anni di divisioni, non ci si può aspettare una soluzione al problema in un solo giorno.
Il cardinale Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong., è comunque critico dell’accordo, e ha attaccato le dichiarazioni del Cardinale Filoni, che darebbe una “incredibile fiducia” al governo cinese”, e sottolineato che l’accordo è “la cooperazione tra opportunisti e il governo”, e una “caduta in ginocchio” di un Vaticano che “è sempre più debole e ha perso la sua dignità davanti al governo”.
Durante il suo successivo viaggio in Macao, dove ha inaugurato i nuovi edifici dell’università di San Giuseppe, il cardinale Filoni è tornato a parlare dell’accordo con la Cina, descrivendolo come “un accordo pastorale” e sottolineando che questo “aiuterà grandemente la Chiesa Cattolica Cinese nel Paese”.
La Cina e la Santa Sede hanno rotto relazioni diplomatiche nel 1951, dopo la scomunica comminata da Pio XII ai vescovi che erano stati nominati dal governo cinese.
L'ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede presenta le lettere credenziali
È entrato in carica il 28 dicembre scorso, ma ha presentato solo oggi le lettere credenziali, Garen Nazaryan, nuovo ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede. Prende il posto dell'ambasciatore Minasyan, che lo scorso 8 ottobre era stato da Papa Francesco in visita di congedo.
Al servizio diplomatico di Armenia dal 1991, Nazaryan ha ricoperto in passato l'incarico di ambasciatore di Armenia presso l'Iran e presso le Nazioni Unite a New York. Da viceministro degli Esteri, ha negoziato il partenariato Armenia - Unione Europea.