Ma non solo. Prima di ogni viaggio papale, ci siamo impegnati a raccontare i luoghi anche nelle loro situazioni politiche sociali, con schede ad hoc, e anche ricordando i viaggi dei Papi precedenti, consapevoli che nella Chiesa tutto è un costante ritorno, e niente è davvero uno scoop.
Sin dall’inizio, abbiamo deciso di guardare alla Chiesa nella sua globalità, andando a pescare in ogni luogo del mondo qualcosa che raccontasse l’universalità della Chiesa e la sua eterna bellezza. Dai mille anni della cattedrale di Strasburgo alla storia delle grandi basiliche mariane di Europa, dai viaggi al seguito dei vescovi europei fino alla copertura degli eventi ecumenici, dalle trasferte in Italia – con la copertura degli Incontri del Mediterraneo, o del Convegno Ecclesiale di Firenze, per fare due esempi – tutto è stato l’opportunità di dare voce alla Chiesa che vive ed è presente.
Viaggi significa attenzione ecumenica, significa dialogo interreligioso, perché tutto alla fine si connette. Viaggi significa comprendere la portata della dichiarazione di intenti firmata tra Caritas Internationalis e Lutheran World Federation World Service a Lund durante il viaggio del Papa nel 2016 e i cinque impegni per la comunione tra cattolici e luterani, ma anche il senso della dichiarazione della Fraternità firmata negli Emirati e quello della partecipazione di Papa Francesco ad un convegno sulla pace in Egitto, nonché l’incontro, importantissimo, con l’ayatollah Al Sistani in Iraq nel 2021, preparato da tempo.
Viaggi significa anche guardare alle relazioni con le altre religioni, andare a fondo sulla convivenza tra le fedi in Marocco, riconoscere il senso degli incontri del Papa con il Consiglio Mondiale delle Chiese a Ginevra.
C’è sempre stato qualcuno di noi in prima linea, in quelle periferie tanto care a Papa Francesco che però davvero ci rendiamo conto che non esistono, perché dove c’è l’Eucarestia, c’è sempre il centro della Chiesa.
Lo abbiamo visto anche nelle situazioni difficili. In Canada, quando si voleva costringere la Chiesa alle scuse sulla base di una ricostruzione storica molto contestabile. In Belgio, quando il Papa si è trovato sotto attacco all’Università di Lovanio. In Grecia, dove i cattolici vivono come minoranza. A Cipro, l’ultimo Paese di Europa diviso, con lo sguardo sempre rivolto alla parte occupata e alla situazione dei cristiani lì – e da un anno Cipro ha un vescovo ausiliare.
Ma abbiamo potuto vedere anche come il popolo di Dio sia davvero Chiesa, e lo sia nonostante tutto, e nonostante le fedi. Siamo stati lì dove il Papa sarebbe voluto andare, ma non è ancora andato, in Libano e Giordania a raccontare il lavoro dei cattolici con i profughi siriani, o in Iraq molto prima che il Papa pensasse di andarci a seguire come la Santa Sede aiutava di fronte agli attacchi dell’ISIS. Siamo stati in Ucraina, a comprendere come la Chiesa reagiva alla guerra in corso.
E abbiamo visto il popolo di Dio vivo alle Case Bianche di Milano, nelle famiglie (non tutte cattoliche) toccate dalla visita del Papa prima della visita al Duomo e allo scurolo di San Carlo Borromeo. O come a Lesbo, o nel quartiere rom Lunik in Slovacchia, o al Congresso Eucaristico Internazionale di Budapest, dove la Chiesa si rendeva presente proprio nei fedeli.
E abbiamo conosciuto il visionario progetto di una cattedrale in Bahrein, Nostra Signora di Arabia, grazie ad un compianto vescovo che era stato a Roma in visita ad limina, e che avrà gioito quando il Papa è stato nella cattedrale da lui voluta.
ACI Stampa era lì. Non solo per raccontarlo, ma per testimoniarlo. Con la consapevolezza che fare giornalismo cattolico non è solo raccontare un evento. È anche cercare di dare la profondità di un evento.
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