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Diario del Sinodo, la sinodalità il tema che Papa Francesco ha voluto con forza

Il Cardinale Tobin rivela che il tema del Sinodo sulla Sinodalità sia stato voluto personalmente da Papa Francesco. Verso la veglia di preghiera ecumenica. I passi avanti da fare

Sinodo 2024, briefing | Il briefing del Sinodo dell'11 ottobre 2024 presso la Sala Stampa della Santa Sede | Daniel Ibanez / ACI Group Sinodo 2024, briefing | Il briefing del Sinodo dell'11 ottobre 2024 presso la Sala Stampa della Santa Sede | Daniel Ibanez / ACI Group

La maggioranza dei membri del Consiglio del Sinodo non avevano indicato il tema della sinodalità come loro preferenza per questo cammino sinodale. C’erano altri due temi: uno che riguardava i migranti e i rifugiati e uno che riguardava la vita e il ministero dei sacerdoti. Papa Francesco, però, ha voluto che si riflettesse proprio sulla sinodalità, e non è che la sua decisione sia piaciuta subito. Lo ha rivelato il Cardinale Joseph Tobin, arcivescovo di Newark, nel briefing che conclude la seconda settimana del Sinodo.

Ci sarà, questa era, la veglia di preghiera ecumenica, e si va verso la terza settimana. Le discussioni vedono tornare e ritornare alcuni temi che, in teoria, non dovrebbero essere inclusi nel dibattito sinodale, come quello del diaconato femminile, o quello della pastorale LGBTQ. Di fatto, però, tutto riguarda molto il percorso che viene fatto.

Lo stesso Tobin, in conferenza stampa, ricorda che, rispetto al Sinodo passato c’è “grande accento sulla preghiera e sul silenzio”, nonché questo maggiore coinvolgimento di “canonisti e teologi”.

Mentre il vescovo Mackinley di Sandhurst (Australia) sottolinea che questa modalità sinodale ormai è lì per restare, e che ci troviamo di fronte a “un Sinodo per una Chiesa sinodale”, la teologa Giuseppina De Simone parla addirittura di “metodo significativo e rivoluzionario, un segno di speranza, che ha qualcosa da dire a questo tempo e da dire all’umanità tutta”, e che dal Sinodo viene la parola di una “riflessione seria, rigorosa, che si costruisce insieme”.

E sul ritorno dei temi spinosi nel Sinodo? Secondo Tobin, fa semplicemente parte del “concetto di sinodalità”. Ed è qui che fa l’esempio dei temi più gettonati per questo sinodo – migranti e sacerdoti, e non sinodalità.

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“Io – racconta l’arcivescovo di Newark – ero a favore del tema dei migranti, perché non potevo pensare ad una questione più drammatica. E anche gli altri erano in maggioranza a favore dei temi dei migranti o del sacerdozio. Papa Francesco ci ha ascoltato con pazienza. Poi ha detto: io credo che dovremmo concentrarci sulla sinodalità. Alcuni hanno reagito male, e il mio peccato è stato quello di non cercare di capire perché il Papa preferisse questo tema”.

Aggiunge il cardinale Tobin: “Nello scegliere questo tema, è andato contro tante voci forti della Curia romana, ma ci è andato lo stesso”.

Il vescovo Mackinlay riflette sul fatto che c’è stata una “conversazione” a partire dallo Instrumentum Laboris, e anche una serie di scambi sulla pastorale LGBT e sulle situazioni maritali irregolari, e in fondo “non è una sorpresa che nella cultura occidentale le questioni LGBT siano significative”, né è una sorpresa che “questi temi abbiano priorità diverse in ogni parte del mondo”. Ma, tra un Sinodo e l’altro, c’è stata anche la pubblicazione della Fiducia Supplicans, che “ha avuto un impatto sulle nostre risposte”. Insomma, al di là del Sinodo, le azioni e le scelte del Papa possono indirizzare il percorso.

Sul ruolo delle donne, Tobin ricorda una “esperienza drammatica” lo scorso anno, in un tavolo in cui sedevano insieme una donna russa e una donna ucraina, e ha sottolineato che nelle operazioni di peacemaking ha appreso che è importante che ci siano le donne, perché portano un altro tipo di conversazione.

Di certo non si deciderà al Sinodo, ma è evidente che la seconda settimana del Sinodo dei vescovi ha riportato in superficie dei temi controversi che pure si pensava fossero stati sottratti dal dibattito sinodale. Tuttavia, il fatto che questi temi ritornino, sotto varie forme, testimonia, da una parte, una pressione forte affinché questi temi siano presi in considerazione, e dall’altra una resistenza altrettanto forte perché la Chiesa mantenga la barra sulla sua dottrina tradizionale.

Tuttavia, c’è un elemento degno di nota in questa settimana sinodale, ed è il fatto che uno dei due vescovi cinesi nominati dal Papa ha preso la parola. Si tratta di Joseph Yang Yongqiang, vescovo di Hanzhou, che aveva già partecipato al Sinodo 2023, e che è stato protagonista, lo scorso giugno, del primo “trasferimento” di diocesi nell’ambito dell’accordo sino-vaticano, arrivando a Hanzhou dalla diocesi di Zhoucoun.

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Il vescovo Yang ha preso la parola il 7 ottobre, nella sessione aperta, durante la quale chiunque può chiedere la parola ed esprimersi per un tempo di tre minuti. Yang non ha parlato a braccio, ma ha letto un breve intervento in lingua cinese che ha avuto una traduzione simultanea. L’intervento non è stato diffuso. Fonti all’interno del Sinodo hanno riferito ad EWTN che la dichiarazione del vescovo Yang si è concentrato su tre aspetti principali.

Il primo è la storia del cattolicesimo cinese. Yang avrebbe rivendicato pari dignità per i cattolici di Cina e per la loro storia rispetto alle altre Chiese locali e all’interno della Chiesa universale.

Il secondo è l’accordo sino-vaticano per la nomina dei vescovi. Una delegazione vaticana è stata a Pechino e Shanghai nell’ultima settimana di settembre, dice ad EWTN una fonte della Segreteria di Stato vaticana, per colloqui su un eventuale rinnovo dell’accordo. Rinnovo che dovrebbe essere comunicato a ridosso della scadenza dei due anni, e che potrebbe essere rinnovato per più di due anni (o 3 o 4 anni).

Secondo Yang, questo accordo “approfondirà le relazioni tra Vaticano e Cina.

Il terzo tema affrontato dal vescovo di Hanzhou è lo scambio culturale: Yang ha aperto le braccia ad eventuali visitatori esterni interessati ad uno scambio con la Cina. Yang ha comunque anche sottolineato l’importanza del processo di sinizzazione, per dare alla Chiesa in Cina un volto cinese.

È da notare che è la prima volta che c’è un intervento di un vescovo dalla Cina. Rispetto allo scorso anno, i vescovi cinesi sono venuti più liberi, e dovrebbero rimanere fino alla fine del Sinodo.

Sinodo che diventa, dunque, anche luogo in cui costruire ponti e scambi. D’altronde, lo stesso vescovo Norbert Pu di Kiayi, Taiwan ha detto ad EWTN di essere in dialogo con i vescovi cinesi che si trovano al Sinodo. 

Si tratta, insomma, di una notizia di un certo peso, che rischia di essere sovrastata dal dibattito sinodale.