L’ultimo conflitto tra Azerbaijan e Armenia si è concluso con un doloroso accordo che ha portato la perdita di diversi territori da parte dell’amministrazione armena, dove tra l’altro c’erano storici monasteri la cui integrità è sorvegliata dalle truppe di pace russe. Ma questo vale anche per il corridoio di Lachin, che ha delle eredità cristiane, ma che soprattutto dovrebbe essere preservato dalla Dichiarazione Trilaterale che pose fine al conflitto.
Il blocco è stato poi rimosso dopo alcuni giorni, ma resta la gravità della situazione, definita dallo special advisor dell’ONU per la prevenzione dei genocidi come possibile preliminare di un genocidio.
Da qui, gli appelli provenienti dalla Chiesa Apostolica Armena. Il catholicos Karekin II, che più volte ha incontrato il Santo Padre e con il quale intrattiene un buon rapporto, ha denunciato in una comunicazione della Sede Madre di Etchmiadzin che le azioni di provocazione che hanno portato al blocco del corridoio di Lachin hanno l’obiettivo di “portare a termine una pulizia etnica, cosa che dimostra ancora una volta la politica armenofobica degli azerbaijani”.
La Sede Madre di Etchiamiadzin, mettendo in luce la catastrofica situazione umanitaria, ha dunque affermato di aspettarsi che “la comunità internazionale dia risposte appropriate alle provocazione azerbaijane che violano le norme fondamentali dei diritti umani, mettendo gravemente in pericolo la fragile pace e stabilità della Regione”.
Il capo della Chiesa Apostolica Armena si è anche rivolto allo Sheikh ul-Islam Allhshukur Pashazade, capo del Consiglio dei Musulmani del Caucaso, perché “faccia passi reali e tangibili, consistenti con i suoi richiami umanitari, per mettere fuori gioco le azioni provocatrici dell’Azerbaijan”.
Anche il Catholicos Aram di Cilicia ha lanciato un appello, condannando, con “i più forti termini possibili il blocco azerbaijano dell’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia”.
Secondo la Dichiarazione Trilaterale del 10 novembre 2020, il corridoio doveva rimanere aperto, ma – dichiara Aram – “in violazione dei suoi impegni internazionali, l’Azerbaijan ha bloccato la strada e separato l’Artsakh dalla madre Armenia, così “i 120 mila residenti dell’Artsakh restano completamente intrappolati”, e altri 1100, tra cui 270 bambini, sono rimasti “incagliati sulla strada bloccata, impossibilitati a tornare a casa dalle loro famiglie.
Oltre alla carenza di servizi, il Catholicossato di Cilicia denuncia che “stiamo assistendo a passi deliberati e concreti verso la pulizia etnica e il genocidio della popolazione armena dell’Artsakh”, secondo “una politica che l’Azerbaijan ha perseguito continuamente dall’inizio del conflitto, come evidenziato dai pogrom e massacri azerbaijani a Baku, Sumgai, Kirovabad e altre città”, e ricordando l’Operazione Anello del 1991. In quell’operazione, gli azerbaijani cercarono di “accerchiare e poi strangolare la popolazione armena dell’Artsakh per sterminarla”.
Anche Aram si è appellato alla comunità internazionale, ma anche agli armeni in diaspora, chiedendo di “agire in modo decisivo chiedendo ai governi di condannare le azioni azerbaijane, di chiedere che siano imposte sanzioni contro l’Azerbaijan e di prendere tutte le misure legali necessarie con convinzione per salvare il popolo dell’Artsakh dall’imminente sterminio”.
Nel corridoio di Lachin ci sono anche antichi luoghi di culto cristiane, ma anche nuove chiese costruite dagli armeni in Arttsakh, tra cui quella di Surb Hambartzum costruita nel 1998.
Se le altre chiese sul territorio sono considerate azerbaijane o albaniane, quindi viene proposto di metterle sotto il controllo della Chiesa Ortodossa Albaniana Udi, quella del 1998 è tipicamente armena e si è anche discusso se abbatterla o meno.
Gli azeri da una parte sottolineano di voler tutelare i cittadini armeni nel loro territorio, ma dall’altro alcuni gesti, come la visita del presidente Alyeev alla bombardata cattedrale di Shushi, avevano comunque suscitato preoccupazione.
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