Erevan , mercoledì, 4. novembre, 2020 14:00 (ACI Stampa).
L’attacco dello scorso 8 ottobre alla cattedrale di Sushi, simbolo della cristianità armena in Nagorno Karabakh, era già un primo segnale. Il 13 ottobre, era stata una chiesa battista ad essere colpita dalle bombe. Ma, nel corso di questi anni di conflitto – un conflitto freddo e caldo alternato – sono stati tanti gli edifici della cultura armena nel territorio che gli armeni chiamano Artaskh ad essere colpito. Tanto che un recente studio ha parlato di un vero e proprio “genocidio culturale” in atto nel territorio.
Dalla fine di settembre, il Nagorno Karabakh è teatro di un nuovo e sanguinoso conflitto. L’Armenia ha dichiarato, fino ad ora, poco più di mille morti, mentre non ci sono state dichiarazioni ufficiali dei morti da parte delle forze dell’Azerbaijan.
Il territorio è conteso tra i due Stati da quando Stalin lo assegnò all’Azerbaijan, sebbene tradizione, cultura e popolazione fossero armene. Così è stato per tutto il periodo della dominazione sovietica. Ma quando l’Azerbaijan si distaccò dall’URSS, allora l’Artsakh votò la sua indipendenza. L’Azerbaijan non ci stava a perdere il suo territorio. L’Armenia non voleva lasciare da sola la propria popolazione.
Come succede sempre in questi casi, altri interessi entrano in gioco. Quelli economici, che diventano facilmente geopolitici. E che, in un quadro particolarmente teso come quello della regione, diventano facilmente religiosi. Perché l’Azerbaijan è musulmano, mentre l’Armenia è cristiana. La prima nazione cristiana, per l’esattezza, cresciuta nel culto del libro e in una incrollabile fede che ha fatto sopravvivere gli armeni in tempi di diaspora. Una diaspora causata dal genocidio armeno, termine che la Turchia continua a non accettare.
E la Turchia sembra essere un attore importante nella regione, e anche dietro le scelte di “pulizia culturale” fatte nella regione nel 21esimo secolo. Il giornale di arte Hyperallargic ne aveva parlato già lo scorso febbraio, definendolo “la più grande campagna di pulizia culturale del 21 esimo secolo”. Il rapporto ha spiegato come il governo azero si è, negli ultimi trenta anni, impegnato in una sistematica cancellazione della storica eredità armena della nazione. Si è trattata di una distruzione di artefatti officiale, sebbene coperta, che ha superato in grandezza persino la distruzione di Palmira in Siria ad opera autopromozionale del sedicente Stato Islamico, scrivono Simon Maghakyan e Sarah Pickman, autori del rapporto.