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Concistoro, l'Arcivescovo Battaglia: "Continuerò ad annunciare il Vangelo e a dare voce agli ultimi"

Intervista di ACI Stampa al neo porporato

L'Arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia |  | Arcidiocesi di Napoli L'Arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia | | Arcidiocesi di Napoli

Tra i 21 cardinali che saranno creati dal Papa nel concistoro di sabato prossimo c’è anche Monsignor Domenico Battaglia, Arcivescovo metropolita di Napoli. Il suo nome è stato annunciato solo in un secondo momento tramite un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede il 4 novembre scorso. Calabrese, 62 anni il prossimo 20 gennaio, Monsignor Battaglia – che in diocesi si fa chiamare semplicemente Don Mimmo – è stato nominato Arcivescovo metropolita di Napoli alla fine del 2020, è succeduto al Cardinale Crescenzio Sepe. In precedenza era stato vescovo di Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti. Durante il suo ministero presbiterale ha guidato per oltre 20 anni a Catanzaro un centro  per il recupero dei tossicodipendenti. ACI Stampa ha rivolto alcune domande al neo porporato.

La mia prima reazione è stata un profondo silenzio interiore, abitato dallo stupore ma anche dal timore. In quel momento ho sentito tutto il peso e la grazia di una chiamata che non avevo cercato né immaginato. E da subito mi sono convinto del fatto che questa nomina non è un riconoscimento personale, ma un appello a sognare insieme al nostro Sud una Chiesa ancora più vicina, una Chiesa che si sporca le mani, che non ha paura delle periferie e che si lascia guidare dalla forza trasformante del Vangelo.

Che senso ha per lei oggi, in questo contesto storico per Napoli e per la Chiesa, diventare cardinale? Il Santo Padre le chiederà un impegno “fino all'effusione del sangue”…

Diventare cardinale in questo tempo e in questa città significa abbracciare la croce dei più deboli, fare spazio ai loro sogni e alle loro lotte, condividere la speranza di chi, pur tra mille difficoltà, continua a credere in un futuro diverso. Napoli è una città che sa cosa significa vivere tra ferite profonde, ma è anche un luogo dove il cuore della gente non smette mai di battere forte verso la direzione della prossimità. Napoli quando ama, ama totalmente e credo che in questo, il mio popolo, possa aiutarmi in questa totalità della donazione. C’è da dare tutto, fino all’effusione del sangue, che non vuol dire altro che vivere come il Maestro ci ha insegnato: senza calcoli, senza riserve, mettendo l’amore al centro. Don Tonino Bello diceva: “Non abbiamo il diritto di sederci sul bordo della strada a guardare chi passa; dobbiamo riprendere il cammino con il Vangelo tra le mani e la povertà nel cuore”. Questo è il senso della porpora: servizio, non onore.

In più occasioni Lei ha fatto riferimento al Vescovo don Tonino Bello. È certamente una delle sue fonti di ispirazione. Si può dire che questa porpora è un po' anche di don Tonino Bello?

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Sì, non vorrei sembrare inopportuno ma per il legame interiore che mi stringe a questo grande profeta sento di dire che questa porpora è anche di don Tonino, non per il titolo, ma per il sogno che lui ha custodito, che ha guidato la mia vocazione e che ha consegnato a tutti noi: una Chiesa del grembiule, capace di chinarsi sui piedi feriti della gente, non di arroccarsi su troni dorati. Don Tonino ci ha insegnato che il Vangelo è una bussola che ci conduce sempre verso gli ultimi, verso chi non ha voce, verso chi è dimenticato.

 

Lei da quasi quattro anni guida lArcidiocesi di Napoli. Un territorio tanto affascinante quanto complesso. Come e quanto è cambiata la situazione dal suo arrivo a Napoli?

Napoli è una città che ti cambia prima ancora che tu possa immaginare di cambiarla. In questi anni ho visto emergere con forza il cuore pulsante di questa terra: la generosità delle persone, la creatività che fiorisce anche in mezzo al degrado, la fede profonda di chi si affida a Dio con tutta la sua fragilità. Ma ho visto anche il dolore che non cessa, la solitudine di tanti, i giovani che faticano a trovare prospettive, i legami spezzati dal malaffare, e soprattutto la difficoltà dei bambini che vivono in una reale emergenza educativa. Napoli non si cambia dall’alto: bisogna camminare insieme, ascoltare, mettersi al fianco delle persone, costruire reti di speranza. È un po' quello che stiamo cercando di fare con il Patto Educativo, dove chiamiamo a raccolta, invitando a cooperare nella logica del noi, tutti coloro che si occupano di educazione e di ragazzi. Forse non si vedono cambiamenti clamorosi, ma credo che il Vangelo stia mettendo radici nei cuori di chi, ogni giorno, lavora per il bene comune. Come diceva Dom Helder Camara: “Quando tutto sembra crollare, è allora che i sogni più audaci possono fiorire”.

In che modo cambierà il suo impegno per Napoli, dopo aver ricevuto la berretta rossa dal Papa? Da dove ripartirà come cardinale per Napoli?

La berretta rossa non è un punto di arrivo, ma un invito a scendere ancora più in profondità. Quindi cercherò di continuare il mio cammino insieme alla mia Chiesa, ripartendo sempre e ogni giorno dalle strade, dai vicoli, dai volti che incontrano la mia vita ogni giorno. Come cardinale, sento ancora più forte la chiamata ad allargare il mio cuore all’intera Chiesa universale, collaborando con Papa Francesco e miei fratelli vescovi, per annunciare il Vangelo e continuare a dare voce agli ultimi, a denunciare le ingiustizie, a costruire alleanze per il bene comune.

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Il Papa punta molto sulla sinodalità, Lei ha partecipato allultimo sinodo. Ci avviciniamo a grandi passi verso il Giubileo che il Papa ha dedicato alla speranza. Speranza e sinodalità: come legherebbe questi due elementi?

La sinodalità è camminare insieme, mentre la speranza è la forza che ci spinge a muovere i passi. Il Papa ci invita a essere una Chiesa non chiusa in sé stessa, ma aperta al dialogo, all’ascolto reciproco, alla costruzione di percorsi comuni. Questo non è solo un metodo, ma uno stile di vita, una conversione del cuore. Il Giubileo della Speranza ci ricorda che il nostro cammino non è un viaggio nel buio: è illuminato dalla certezza che Dio cammina con noi. E noi, come Chiesa, siamo chiamati a essere seminatori di questa luce, artigiani di pace, lavorando insieme per un mondo più giusto e più fraterno.