Anche in questo caso il passato ha il suo peso, ma soprattutto, scrivono i Rabbini: “Ci rendiamo conto che dal Concilio Vaticano II gli insegnamenti ufficiali della Chiesa cattolica hanno cambiato radicalmente e irrevocabilmente i rapporti con l’ebraismo”.
Un apprezzamento degli insegnamenti cattolici e uno sguardo in avanti basato, come sempre nella tradizione giudaica, sugli insegnamenti dei grandi Rabbini del passato. “Come ha fatto Maimonide e Giuda Halevi, riconosciamo che il cristianesimo non è né un incidente né un errore, ma il risultato della volontà divina e un dono alle nazioni. Nel separare ebraismo e cristianesimo, Dio ha voluto la separazione tra collaboratori con notevoli differenze teologiche, non una separazione tra nemici.”
Insomma è chiara la presa di posizione dei Rabbini che affermano come si debba lavorare insieme per un unico scopo perché “ Nessuno di noi può realizzare la missione di Do solo in questo mondo.”
Citazioni del Talmud, dei grandi maestri dell’ebraismo portano ad una convinzione: “Ebrei e cristiani hanno più cose in comune di quanto ci divide: il monoteismo etico di Abramo; il rapporto con il Creatore del cielo e della terra, che ama e si prende cura di tutti noi; le Sacre Scritture ebraiche; una credenza in una tradizione vincolante; e i valori della vita, la famiglia, la giustizia compassionevole, la giustizia, la libertà inalienabili, l'amore universale e della definitiva pace nel mondo”. Lo scopo finale per i 25 Rabbini. “Siamo tutti creati ad immagine di Dio, ebrei e cristiani rimarranno fedeli all’Alleanza avendo un ruolo attivo comune per redimere il mondo”.
E gli scopi del dialogo sono ben espressi nel documento vaticano, come ha ricordato il cardinale Kurt Koch, Presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo presentando il testo alla stampa.
“Tra gli obiettivi da perseguire, vi è però anche la collaborazione nel campo dell’esegesi, ovvero dell’interpretazione delle Sacre Scritture, che ebrei e cristiani hanno in comune. E ancora: “Un importante obiettivo del dialogo ebraico-cristiano consiste indubbiamente nell’impegno comune a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo” (n. 46). “Giustizia e pace non dovrebbero comunque essere concetti astratti nel dialogo, ma dovrebbero concretizzarsi in modo tangibile. La sfera sociale-umanitaria offre un ricco campo di attività, poiché sia l’etica ebraica che l’etica cristiana comprendono l’imperativo di assistere i poveri, i deboli e i malati” (n. 48). Il documento aggiunge poi che, nell’ambito della formazione delle giovani generazioni, ci si dovrebbe sforzare di rendere noti i risultati ed i progressi compiuti nel dialogo ebraico-cattolico. Infine, si fa riferimento all’antisemitismo: “Un altro importante obiettivo nel dialogo ebraico-cattolico consiste nella lotta comune contro ogni manifestazione di discriminazione razziale verso gli ebrei e contro ogni forma di antisemitismo” (n. 47)”.
Significativo anche che nella conferenza di presentazione in Vaticano del documento ci fossero il Rabbino David Rosen, Direttore dell’ American Jewish Committee e Edward Kessler del Woolf Institute, di Cambridge. Proprio Kessler ha ricordato che in collaborazione con la Pontificia commissione si sta organizzando un incontro ristretto di Rabbini e teologi per il prossimo anno a Cambridge per studiare le più importanti sfide teologiche proposte nel documento.
Il Rabbino Rosen in particolare ha parlato della importanza dei gesti oltre che dei documenti. Ha ricordato i gesti dei Pontefici nel post Concilio e citato spesso la Evangelii gaudium di Papa Francesco.
Certo molte sono ancora la questioni aperte, ma si potrebbero definire “immanenti” e in questo senso più facilmente affrontabili come la revisione della preghiera per il venerdì santo nel rito straordinario alla beatificazione di Pio XII.
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